Alatishe Kolawole, il pane della poesia

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ROBERTO MALINI

Lavinia Dickinson Editore inaugura la nuova collana di poesia Isole del Suono con la raccolta del poeta trentaduenne nigeriano Alatishe Kolawole Immergi i piedi in questo fiume di speranza. L’autore rappresenta pienamente l’obiettivo della collana, che è quello di scoprire e valorizzare poeti di tutto il mondo impegnati nell’innovazione del linguaggio e nel recupero dei suoi valori dimenticati o soffocati dalla cultura del nostro tempo. Ho incontrato il lavoro di Alatishe alcuni anni fa e ne ho seguito gli sviluppi con grande attenzione. Il poeta scrive i suoi versi in Nigerian Pidgin, un dialetto inglese che, pur non essendo fra le lingue ufficiali, è comunemente usato in Nigeria. È la stessa lingua in cui scrive le sue opere Wole Soyinka, poeta e drammaturgo nigeriano, premio Nobel per la Letteratura 1986. Grazie a una sensibilità linguistica molto sviluppata, però, aiutandosi con i traduttori online, l’autore compone i suoi versi anche in altre lingue, fra cui l’italiano. Ho tradotto le poesie che fanno parte di questa raccolta in stretto contatto con lui, per coglerne le caratteristiche espressioni locali e mantenerne il il ritmo tribale amplificato fino alla globalità, il colore blu della malinconia e quello aureo della speranza, espressi contemporaneamente in un inno alla fratellanza umana.

Alatishe Kolawole desidera incarnare l’integrità e la consapevolezza di come siano delicati gli equilibri della cività. Il suo sogno e la sua visione sono di diventare un esempio positivo per i giovani. La fede – un potere invisibile – e la volontà di crescere umanamente anche quando i tempi sono duri e difficili guidano e ispirano il suo lavoro. Il poeta ha la certezza che il diritto vincerà sull’iniquità. Ha fede che il sole sorgerà ancora, la vita andrà avanti e le cose miglioreranno, in qualche modo. In qualche modo, anche quando sembra impossibile. È un uomo di pace in un Paese, la Nigeria, in cui la pace, da tanti anni, è solo una chimera. Un Paese dove centinaia di persone perdono la vita a causa degli attentati, mentre si registrano ovunque casi di giustizia sommaria, tortura, trattamenti inumani e degradanti, sgomberi forzati di intere comunità. È un uomo che ha fede nel progresso in un Paese dove l’ottantacinque per cento della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, l’aria è gravemente inquinata e le falde acquifere, i fiumi, le foreste, le coltivazioni che costituiscono l’unica fonte di sostentamento per milioni di esseri umani sono avvelenate dal petrolio.

Alatishe Kolawole concepisce la poesia come uno strumento di pace e progresso. È molto attivo sui social, dove volte riscrive le sue poesie affidandosi alla memoria, apportando lievi, ma significative variazioni e rivelando la tradizione orale della cultura yoruba, da cui proviene. È una cultura antica come la civiltà, che si tramanda fino ai nostri giorni grazie alla memoria ancestrale, al ricordo del dialogo infinito fra i vivi, i morti, la terra e il cielo. Un retaggio che nei suoi strati più recenti comprende la tragedia della schiavitù: quasi un milione di esseri umani deportati dalla Nigeria verso le Americhe, dove persero ogni diritto, ma contribuirono, con le loro lotte per la libertà, a nuove, fondamentali conquiste della civiltà, espresse nella musica e nella poesia afroamericane. Nei versi di Alatishe si riscopre questo patrimonio di sapere e progredire, ancora sottovalutato in Occidente, unito a una personale rielaborazione della poesia internazionale antica e moderna. La parola poetica è, secondo l’autore, necessaria alla comunità dei popoli come l’acqua o il pane. Se si vuole uscire dalla babele dell’egoismo, della violenza, della discriminazione, della paura, è necessario farsi toccare ed affratellare dal sorriso della poesia.

Come nei canti yoruba o nella musica derivata dai canti di lavoro, le diverse tradizioni e culture si integrano in una forma d’arte e scrittura multiculturale, che Alatishe rappresenta e ci propone nell’immagine simbolica di un libro che ha un arcobaleno in copertina. Il libro della Storia di tutti noi esseri umani in forma di poesia, l’opera migliore mai scritta dai poeti, l’oracolo in cui è possibile interpretare le linee del futuro.

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Non c’è pace senza prosperità

Mostrami uno stato senza prosperità
e ti disegnerò una mappa
che metta in risalto i suoi crinali,
le selle e le depressioni con torsioni epistattiche.

Ti guiderò su una strada di disordini e insurrezioni,
dove la pace è solo un vapore che svanisce nell’aria
come viltà in un circolo alieno.

Semplicemente, ho viaggiato abbastanza
da vedere coloro che vivono
con meno di un dollaro al giorno,
non hanno accesso a tre pasti al giorno
e osservano i loro bambini morire,
perché non possono permettersi
una medicina da dieci dollari.

Ti mostrerò uno stato con il regresso
della situazione socioeconomica,
il tragico declino di un’unità sotto assedio
e il popolo che perde la fede.

Uno stato con fronti violenti che si aprono
come terremoti e gemme di militanza
e radici di insurrezione piantate nella terra
come contraddizioni malate.

Uno stato con fondamenta fragili
e milioni di giovani senza una guida
che diventano adulti senza lavoro;
uno stato dai piedi d’argilla.

Ecco, ho visto il nord-est e il sud-sud.

Quindi, se mi dici che non c’è prosperità senza pace,
ti rispondo che non c’è pace senza prosperità.

*

La povertà ci rende ladri

Un uomo non ha toccato cibo in sei giorni.

La sua faccia è rugosa.
I suoi occhi sono stanchi.

Non conosce da tempo un taglio di capelli
e la sua barba è terribilmente ispida.

Un taglio di capelli: ecco cosa gli servirebbe.

Ho camminato con le mie scarpe strette
attraverso gli stati di Borno e Yobe,
che sono ancora più poveri del Ciad.

La povertà accompagna il novanta per cento di noi.

Non c’è prosperità né pace, qui.

E come traduciamo l’economia nella vita
di ogni essere umano?

Questa comunità ha bambini
con le pance sporgenti e le gambe rinsecchite.

Si nutrono prevalentemente di erba e acqua.

Malnutrizione: la leggete nei titoli.

Neanche un dollaro al giorno,
a malapena un pasto.

Le nostre tasche sono bucate, sfondate,
senzatetto, strizzate, sparute, mendicanti.

Nessun accesso all’educazione.

Nessuna assistenza sanitaria.

Mortalità infantile, mortalità materna,
bambini, donne, gente che muore.

Nessun reddito di inclusione.

Niente sembra importare in questa realtà.

Su questa terra i ricchi hanno latte e miele
e i poveri non significano niente.

Il ricco prende dai poveri.

Il povero prende dai poveri.

La povertà ci rende ladri
e i valori, be’, i valori sono nella polvere.

La carta è finita, il nostro denaro non ha valore,
tutto brucia e io sono una voce.

Sono un poeta, una rappresentazione
della gente povera di cui parlo.

Vivo insieme ai poveri.

Combattiamo questo stato delle cose,
marciamo in fila indiana,
al ritmo dei tamburi di speranza.

La povertà ci rende ladri,
sempre più alieni alla nostra autostima.

*

Buone notizie

La notizia è arrivata,
ma non avevamo parole,
siamo rimasti in silenzio.

La notizia è arrivata
e siamo rimasti muti,
mentre vagava per i corridoi
della nostra bocca.

La buona notizia è arrivata;
abbiamo bisogno di dipingerla?

Dobbiamo cantarla?

La buona notizia è questa:
mentre costruivamo la nostra casa
abbiamo sospinto la vita
a un altro livello.

Buone notizie:
abbiamo fatto l’amore,
abbiamo ucciso la morte.

La notizia è arrivata,
ma non avevamo parole,
siamo rimasti in silenzio.

Alatishe Kolawole,  Immergi i piedi in questo fiume di speranza, traduzione di Roberto Malini, Lavinia Dickinson Editore.

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