Nella tempesta presente di Loredana Magazzeni

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Recensione di Francesca Innocenzi

Con Nella tempesta presente (Seri Editore 2023) Loredana Magazzeni dà alle stampe una corposa silloge di poesie composte nell’ultimo venticinquennio, in molti casi già raccolte in pubblicazioni precedenti. Ne risulta un’autobiografia poetica volta a ridefinire il senso di un percorso di scrittura, e a interrogarsi nel contempo sulla labirintica multiformità dell’oggi.

L’uso frequente della prima persona plurale sigla la coesistenza della dimensione personale e privata e di quella collettiva: un tratto, questo, peculiare e costante. Se, infatti, l’opera nel suo complesso si pone sotto il segno della varietas stilistica, la forza del noi persiste tanto nei componimenti prosastico-narrativi quanto nei versi onirico-visionari, pervasi dalla densità delle analogie.

Centrale è indubbiamente l’esigenza di raccontare il femminile e le ferite che lo lacerano; gli accadimenti intimi e familiari rappresentano un punto di partenza per esplorare a tutto tondo la sfera del femminile, nel suo lato archetipico e nella sua fisicità. In particolare, la maternità si configura come esperienza ancestrale, affidata ad immagini fortemente simboliche, finalizzate a sottolineare il valore sovrapersonale di questa condizione. A partire dal dialogo con le generazioni delle madri e delle figlie si delinea così la ricostruzione di una genealogia. La stessa riflessione sull’essere donna porta la consapevolezza di un confinamento nella non esistenza, che tocca anche il ruolo di poeta. Non è forse casuale la scelta del colloquio in versi con Antonia Pozzi, autrice del Novecento a lungo marginalizzata rispetto al canone. Da questa interlocuzione a distanza, fondata sulla potenza evocativa della parola, nascono i testi di Miracolosa ferita: «La vita stessa – scrive Loredana Magazzeni – è continua separazione e ricongiunzione, così come la scrittura è allontanarsi da sé per ritornare». La ferita contiene in sé il miracolo, ovvero la prospettiva di una sutura, di una riconciliazione. Se nell’opera della Pozzi è tutt’altro che trascurabile il ruolo del corpo – come lo sarà in Sylvia Plath e in Anne Sexton, tra le altre -, così in Nella tempesta presente il corpo è veicolo di relazione e conoscenza: «Come un enorme occhio spalancato/ il corpo ascoltava il mondo». Anche le poesie di Volevo essere Jeanne Hébuterne (l’ultima sezione del libro) raccontano il riscatto della fisicità, in una cultura che la relega in un atavico silenzio, condannandola ad esprimersi solo attraverso la malattia. Dare voce al corpo in poesia significa riconoscerne la dignità e la sacralità, conciliare la pienezza del vivere con il linguaggio dell’intelletto, dissipando il dilemma sotteso all’interrogativo: «Ma il corpo deve scrivere o vivere?».

Si è detto all’inizio della compresenza di due livelli di scrittura, personale e collettiva; di tale incontro è emblema uno dei temi chiave della raccolta, l’emigrazione. Muovendo dalla ricognizione delle generazioni passate, delle radici, diviene possibile formulare una narrazione di sé, per poi dilatare la storia familiare nella storia della famiglia umana. Pensare l’emigrazione come fenomeno ineliminabile dalle epoche genera connessioni e accoglimenti, consente l’attraversamento dell’umano, nell’auspicio che «una comunità diffusa e planetaria/ crei un’unica riscrittura del mondo».

Uno dei meriti innegabili di questa silloge è quello di consegnare con autenticità l’idea di un laboratorio di scrittura condiviso e in divenire, un lavoro artigianale guidato da una inesausta ricerca di significati. La poesia dice il reale, e proprio per questo, forse, è il luogo in cui ogni cosa si fa altro: «stasera in vena di fuggire/ questi muri nel sole vanno// io non lavoro, ma sogno». In un susseguirsi di versi suggestivi, sketch della memoria o del presente nel tempo liminale che separa e unisce sonno e veglia, l’io si ritrova nel tramutare e nel perdurare, nel corpo e nelle cose, negli oggetti del quotidiano. A motivo della sua inscindibilità dalla vita, la parola si rivolge a poete e poeti amici, reca testimonianza delle vittime di femminicidio e di tragici incidenti, dei morti nel Mediterraneo, di esempi di mitografie individuali e collettive. Ed è nel momento in cui getta luce su realtà di margine che la poesia rivela appieno le sue potenzialità: «La poesia può andare verso e anticipare; in questo senso è profetica. A volte le minoranze hanno anticipato i valori di un’epoca». Ecco perché Nella tempesta presente può essere letto come atto di fede nell’arte del verso, come radicata speranza che contribuisca a diffondere una lingua nuova, l’esperanto in cui rinarrare se stessi e la storia presente e futura del mondo.

Da Nella tempesta presente (Seri Editore 2023)

A Marilyn, sulla bellezza

Penso che le donne belle servano ad essere esibite.
Avanzano come ambulanti trofei.
Io sono contro la bellezza, ha rovinato troppe vite.
La bellezza mi ha reso schiava
perché credevo di non possederla.
Chi ama la bellezza non ama se stessa
perché si guarda in uno specchio deforme
e deforma lo specchio della propria esistenza.
Il confronto con la bellezza è spreco di sé.
Essa si insinua a distruggere
a dire la perdita e mai l’amore
con cui ogni giorno accudisci e rinforzi
la tua vera umanità ineguagliabile
che non sa sorridere della bellezza che possiede.
La bellezza è sempre uguale a se stessa.
Rigida e fredda come una statua greca
congelata nell’eternità di un sorriso.
Tu che muovi le labbra invece puoi
modulare un’ampia gamma di sorrisi
davanti ad occhi che sanno lo sguardo
irriverente e libero del vero amore di sé.
Alcune persone non sanno dire noi.
Saranno stati figli unici nelle loro costellazioni
familiari. Io ho tre fratelli e una sorella.
Nella mia casa non si stava mai soli.
Anche la casa non restava mai sola.
Ognuno entrava a tutte le ore.
Era scortese non gioire di una visita.
Poi vennero gli anni Settanta,
le donne, gli amici
dell’Università.
Vestivo coi fiori e gli zoccoli
ascoltavo Cat Stevens e ti ammiravo, Marilyn.
Il mondo che vedevo mi sembrava
il migliore possibile. Non avevo il
coraggio di parlare.
La città si improvvisava
amica.
Dire noi voleva dire
cambiare. Eravamo piene di sogni.
Non ci immaginavamo vecchie.
Nessuno di noi poteva mai invecchiare.
Questa era la bellezza.
Anche tu, Marilyn, non sei invecchiata mai.

*

L’angelo della storia
Su questi muri
edificati con cura geometrica
l’angelo della storia passò
senza fermarsi nella sua distrazione
strappò qualche fiore selvatico
vide i licheni abitare le soglie
le muffe portarsi via mobili e glorie.
L’oliveto che fu n’coppa o lulito
era di Pataturk, col viso devastato
che a tutti faceva paura
e un giorno lo trovarono morto
benché non avesse mai fatto del male.
L’olio che ne spremeva
era salato di mare
di emigrazione e miseria.
L’angelo stampò un patto
passando e ripassando le sue ali
sui tetti e l’ombra delle fontanelle.
Mi prendo i giovani vi lascio il silenzio
finché qualcuno non verrà a ricantare
il calvario del sole che spacca le pietre
la vita di quanti qui versarono anni
scrissero le cifre dei loro desideri sui portoni aperti.

*

Genesi (In memoria di Aldo Ferraris, poeta)

I

Oggi il caldo animale è il miracolo breve di ogni ricongiunzione.
Ci chiediamo se il senso delle cose racchiuda una violenta bellezza
o solo perseveranza. Tu mi inviti a una danza da cui, divincolandosi,
tutte le cose presero forma ed ora giacciono incomplete.

II

Quello che torna chiaro è la misteriosa grandezza di ogni rito.
Di come, sotto mentite spoglie, gli dei primigeni ritornino a frugarci,
mentre il piede calzato che segna il passo della danza
è la cifra che batte il tempo sacro di ogni perdita.

III

Non esiste voracità ce non ci consegni a una solitudine,
o mai perduta distanza che sei ancora misura di tute le cose.
Il tuo passo germinale è l’onda su cui i miei capezzoli si innalzano,
se scuoti il mare genero latte e tenebra dentro la tua voce.

IV

La tua determinazione a distillato il calligramma della mia potenza.
Dentro il tuo corpo affiorano abissi e desolate terre.
Siamo pagaia ed acqua, vela di spuma ed albero maestro
che tu guidi, nocchiero amante, alle segrete feste.

V

Nel grembo della terra la mia stagione è il ritorno.
Lungamente mi attendono le cerimonie dei muschi.
Gli uccelli e gli insetti hanno divorato la lenta deriva.
Si sono nutriti del mio letto di spuma, dell’eco dei tuoi passi.

VI

Costanza e mutamento non sanno più alternarsi.
La regola terrestre è l’inesausta congiunzione
del fuoco con la pietra, dell’acqua con il vento.
I peccati che indosso come pietre di anelli.

Loredana Magazzeni vive a Bologna e si occupa di poesia e di critica letteraria militante. Ha co-curato varie antologie di poesia, fra cui, con F. Mormile, B. Porster e A.M. Robustelli Corporea. Il corpo nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese (Le Voci della Luna Poesia, 2009), La tesa fune rossa dell’amore. Madri e figlie nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese (La Vita Felice, 2015), Matrilineare, Madri e figlie nella poesia italiana dagli anni Sessanta ad oggi (La Vita Felice, 2018). Fa parte del Collettivo di traduzione WIT (Women in Translation), che ha pubblicato l’antologia Audre Lorde, D’amore e di lotta. Poesie scelte (Le Lettere, 2018). Del 2019 la ricerca di storia dell’educazione delle donne Operaie della penna. Donne, docenti e libri scolastici fra Ottocento e Novecento  (Aracne). Con Luciana Tavernini ha tradotto di María-Milagros Rivera Garretas, Emily Dickinson. Storia vera d’amore e poesia  (VandA Edizioni, 2021). Fa parte del Gruppo ’98 di Poesia di Bologna, la cui storia è tema del videodocumentario Lo sguardo delle altre. Storia del Gruppo ’98 di Poesia, a cura di Zoe Giusti Roversi (2023). Scrive per le riviste Leggendaria e www.letteratemagazine.it. È fra le curatrici del Repertorio critico delle poete italiane contemporanee, di prossima uscita per Vita Activa Nuova. È socia della SIL (Società Italiana delle Letterate) e dell’Associazione Orlando di Bologna.

Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona) nel 1980. È laureata in lettere classiche e dottore di ricerca in cultura di età tardoantica. Attualmente insegna nella scuola secondaria di secondo grado. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (2007), Cerimonia del commiato (2012) e Non chiedere parola (2019); il saggio Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (2011); il romanzo Sole di stagione (2018). Ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole». Ha ideato e dirige il Premio letterario Paesaggio interiore.

(A cura di Silvia Rosa)