Il tic del non. Sussulti e risa di uno scala(u)tore

Azzurro

Azzurro

MILLEPORA RUBRA

Il tic è la breccia aperta nel muro della fisionomia, che dilata il viso in sembiante fuggitivo, clandestino e impercettibile come un leonardesco raggio ombroso. A cavallo di tale raggio che sfugge al raggio perché “negativo” e si caratterizza dunque come un “tic del non”, Paolo Ramaccioni sparge la grazia d’ombra sui propri intermediali esercizi. Di tale spore silvestri, disseminate in 4 volumi e un video, è possibile fornire il seguente, sintetico elenco:

1)      NON-BIOGRAFIA

L’entità monellesca e mocciosetta del Non-autore rivendica la sua appartenenza alla categoria landolfiana dei “non-nati”. Ramaccioni, infatti, deve ancora nascere all’Università di Camerino dove ha insegnato; deve ancora nascere ai boschi che non ha avuto pudore di abitare per ventun anni (“neque erubuit silvas habitare” – Virgilio); deve ancora nascere ai testi pubblicati e ai lavori progettati, ma non completati (Semiofisica del potere); e soprattutto, all’invenzione di un libro il cui soggetto patafisico è per l’appunto la non-nascita di un libro… Qualcuno potrebbe chiedere: è reale Paolo Ramaccioni? C’è sempre il sospetto che non lo sia o che sia solo il nomignolo affibbiato ad una costellazione di autori di libri curiosamente diversi: II geroglifico sociale (Dedalo), La pace al di là (Affinità elettive), Il nome al potere (Aracne), Suffleus, L’invenzione montata a neve (Robin). Se poi i vari mondi di questi presunti autori diversi si alzano come un’onda fino a confondersi in un sogno, tale sospetto non può che essere confermato. D’altra parte, che importa la realtà di chi firma quest’opera, dal momento che non si tratta di incastrare l’autore in un discorso, ma di aprire uno spazio in cui Paolo Ramaccioni stesso possa vaporosamente eclissarsi dietro un burlevole spruzzo d’argento?

2)      NON-SCRITTURA come NON-PASSEGGIATA

Secondo Freud (“Inibizione, sintomo e angoscia”) il camminare e lo scrivere simboleggiano la pressione sul corpo materno. Esistono, però, vari tipi di “passeggiate”. Il cammino metodico di Kant a Könisberg non è il cammino rizomatico di Rimbaud e Nietzsche. Per loro, come per Ramaccioni,  la passeggiata acquista le caratteristiche di un torneamento plurimillenario che volteggia ridendo “su caposelve di nessun paese”. La strada, il vento, l’ora e la stagione sono tutte attraversate dalla stessa vertigine, che trasforma i sentieri in piste flemmaticamente levitanti sopra un vibrío di bollicine (Suffleus, p. 164) a guisa di spioncelli furtivi che fan tiritít… Basta sostituire al termine “passeggiata” quello di “scrittura” per ottenere la percezione elettrizzata di fogli che divergono da sé in altro e che profumano di miele come le pigne al vento di resina e i bordi delle vigne di mosto…

3)      NON-POEMA (Suffleus)

Con i suoi 800 versi “Suffleus” sembra un poema sulla Montagna. In realtà, sconfina in altri mondi, dove, per esempio, la Montagna è anche Non-Montagna, cioè Mare (v. p. 157: “Il monte dell’Est cammina sulle acque”) e questo Mare, a sua volta, è un Non-Mare, ossia un’immensa distesa di Panna. Le montagne innevate diventano gelati con la panna. Dunque hanno un sapore. Il sapore è complesso e mutevole come un polpo. Due dei suoi molteplici tentacoli stimolano i sogni: la freschezza, simbolo del “nuovo”, sogna infatti la dolcezza, simbolo del calore, e viceversa la dolcezza glucosata sogna una freschezza che la raffreddi. Questa montagna sognante è il regno del fanciullo ghiottone, che cambia a suo piacere tutte le forme e, cambiando le forme, conosce e scrive. Di che cosa? Di corvi, per es., che, nella sua fantasia, diventano polpi beccuti sulle cime delle montagne su cui sta per cadere la fresca neve. Si tratta dunque di un esperimento imaginifico e fuori da ogni genere di scrittura ironica con inflessioni liriche, saggistiche, fotografiche, etc. Tali embricazioni parodiche danno luogo ad uno spettacolo di parole, foto di gatti, ombre e luci in fuga, culminanti in una clownerie d’alta quota, scintillante di trovate, sorprese, effetti, illusioni e …contaminazioni, a partire dal nome stesso di Suffleus, umoristico ibrido fra il culinario Sufflè e l’appellativo di Dioniso Phleus…. E così ogni pensiero è anche un sapore, ogni scherzo è anche un bacio. Ma questa grottesca mistura di geometrie, sapori, poemi e rêveries non è solo frutto di letture. È anche esperienza di vita di montagna e lancio di dadi di uno studioso “faustiano” che si attarda con la Demoiselle Lust per godere del respiro come opera d’arte. “Il faut tenter de rire!” e seguire le tentazioni che sono cariche di lontananze come le musiche dei preludi. È dunque inevitabile che anche il poema sulla Montagna diventi un Non-Poema, o meglio: un ridere il poema come ride il lattante quando sembra dire “Basta e avanza” prima di stemperarsi nel sonno… È un Poema o un granello di sale attico? Un’ode o un tintinnio di sonagli? Un carme o una sella di spuma su cui scendono nebbie e calembours?…

4)      NON-SAGGIO (Il riflesso del corallo)

Da un certo punto di vista, questa operetta sperimentale e differenziale può apparire come un saggio su Musil. Ma, cambiando prospettiva, ci si trova di fronte ad una sorta di gioco delle perle di vetro sulle “forme nuove” innescate dalla mescolanza degli eterogenei, ad una festa carnevalesca della liberazione impersonale dal senso del possesso, grazie alla quale il desiderio della lingua e della carezza fascinosa delle parole gioca con il riposo da questo stesso desiderio e la gaia vicissitudine polisemica può culminare nella levità del soffio come il vento che piega l’erba culmina nel divenire esatto della topologia riemanniana. I rami corallini della geometria che gioca con la non-geometria si allargano, si stirano e, attraverso un varco, fanno intravedere scene sottomarine su cui fioriscono le scoppiettanti miscele di arte e scienza, le inconsuete decostruzioni del Potere attraverso la conversione del Nome proprio in ironico soffio poetico e i sospesi momenti di grazia tra uomo e donna, già descritti da Robert Musil ne “L’uomo senza qualità” ed oggi finalmente dotati di un solido spessore epistemico.

5)      NON-TELA (Renoir Bouchon)

Per Auguste Renoir la tela non è una tela, ma una donna, con la quale è possibile intrattenere un giocoso carteggio d’amore. La coppia tela-pittore non smette mai di divertirsi nel riposante esercizio di una pittura sognante. Svuotando le figure in quadratini di azzurro, strisce di giallo e gomitoli solari, il suo ardente pennello acquista la leggerezza scherzosa di un turacciolo nella corrente o quella di una farfalla che si lascia trasportare dal vento nel fremito ondulatorio di una luce diffusa. Sotto un certo profilo, Renoir non si accosta alla tela per divenire pittore, ma per divenire altro e cioè un operaio del Riso, il cui scrittore preferito è, non a caso e per sua stessa ammissione, Francois Rabelais…. Per effetto del riposo dalla percezione delle forme, che è anche riposo dal sistema industriale degli oggetti, nella svelta futilità del “Pranzo dei canottieri” circola uno spolverio rilassato di eros umoristico o – se si preferisce – di umorismo erotico. Basta osservare insieme Aline che guarda vicino e il canottiere Alphonse che guarda lontano. Un avvicinamento allontanante. Un passo d’incontro come passo dell’addio. Un iniziare in quanto si finisce. Un’appropriazione espropriante. Quante volte i gesti dei clowns trattengono-lasciando e bevono liquidi invisibili da bicchieri immaginari! Quante volte i calembours avvicinano il suono delle parole lontane e allontanano il senso troppo vicino da divenire ovvio! Questa ebbrezza del mai bevuto, questo principio di qualcosa che è già remoto ha un’aura al tempo stesso umoristica ed alchemico-erotica, un alone di amo/riso per cui il pathos degli incontri e delle congiunzioni s’intreccia al riso dei congedi e delle disgiunzioni, in un’approssimazione asintotica all’amplesso che forse mai accade (“Audace amante, tu puoi baciare, benché quasi a metà…”). Molti artisti hanno tentato di far risuonare in lontananza questi momenti retrattili. Solo alcuni di essi riescono a iscriverli nell’arco magnetico del riso e del sorriso. Augusto è uno specialista di questo cantare in aria e fischiare lungo l’acqua. Saltando come un clown al di là del possesso, la sua mente abbozza un incontro desiderante per abbandonarlo nel momento stesso in cui lo sta vivendo, con la stessa facilità con cui in autunno l’albero abbandona la foglia. E proprio per questo ride come un bambino sui fragranti fieni, sotto le querce e su la bica flava…

6) NON-ALBUM ( FOTLACH )

La mano dai 1000 palpi del fotografo dilettante tiene nel suo palmo immaginario decine di fiammelle multicolori lanciate nello spazio dalla parodia di una leggera ebbrezza pittorica. In un certo senso, nelle pagine del “Fotlach”, anche le foto ridono, si convertono inavvertitamente in forme di riso. Quando, infatti, osserviamo le foto, siamo come in attesa di un’azione, pur essendo coscienti che tale azione è già accaduta. Ora, aspettare una cosa già accaduta fa ridere, come tentare di acciuffare una pulce che è già saltata via (vedi MacRonay domatore di pulci). Ogni foto è dunque uno sbuffo, un fac-simile dell’Avventura (che va avanti tornando indietro), non diversamente da Sussi e Biribissi rispetto al “Viaggio al centro della terra” di Giulio Verne… Non resta quindi che abbandonarsi con calma a questa amena raccolta di figurine, dove si è spesso in attesa di mangiare ciò che è già stato mangiato, di lanciare una palla di neve che è già stata lanciata o di bere da una borraccia l’acqua che è già stata bevuta…

Beninteso, la raccolta è anche una liquidazione. L’autore non-autore offre in potlach tutte le sue fotografie, le svende all’incanto. Chi non ricorda La vente aux enchères cantata da Gilbert Bécaud? “Primo lotto! La grande Avventura! Un sogno poco caro/nella vendita al rincaro” …Ebbene, anche questa è una svendita a candela, destinata a durare fin quando non si spengono le cosiddette candele vergini, o – come dicono i francesi – “les petites bougies”…Come in una serie di fiammiferi, si accende qui la prima foto archivistica, poi si accende la seconda foto western, poi la terza foto giullaresca e così via… Se pervengono più di due offerte di brani lirici, si va avanti nell’accensione dei fiammiferi fino all’ultima offerta, cioè fino all’ultimo fiammifero fingitore e dunque – sempre per dirla coi francesi – fino all’ultima, farneticante e rapsodica BUGIA!

6)      NON-VIDEO (Dottor Suffleus)

Per “non-video” si potrebbe intendere un oggetto appena visibile con gli occhi socchiusi di chi è incline al Riso… Lo scatto del Non-montaggio è come il click del Non-fotografo. Al di là della celebrazione “faustiana” dell’eterno ritorno della scrittura che si fa non-scrittura (e viceversa…), balenano lampi di dolcissimi stupori davanti a convalli in attesa di un’allegra rivolta del Possibile, profili dalle sfumature perlacee e dai raggi evanescenti, pieghe accarezzate da ampi veli di seta bianchi su cui l’alba e il tramonto proiettano luci colorate, battiti di ciglia e d’ali trasfigurati in pantomime vorticose simili a punti interrogativi sospesi sulle praterie, labbra mattutine dischiuse in una combinazione sinestetica di suoni, piogge d’oro, prismi, modulazioni ed ombre, che danno l’impressione di essere sul punto di parlare una grande parola luminosa… Mimesi di linguaggi. Esitanti vice-dizioni. Qualcosa che potrebbe parlare, ma non lo fa. Come un parlare senza parlare. Un verbo che si ritrae. Ma cos’è che parla ritraendosi dalla voce se non la Fotografìa? Ovviamente, non la foto come cosa neutra. Dietro di essa c’è, infatti, sempre una melodia di sfondo, come un frusciare del bosco o un vasto coro di grilli. La cosa neutra nasconde in sé una cosa cantante. Da prosodia siderale diventa poesia delle stelle. Musica di maree, di mirtilli che tremano, di timi e serpilli che profumano, di campi ondeggianti di lino  che si dipiegano come un lenzuolo azzurro: un canovaccio su cui le risate stesse giocano a rimpiattino con il Senza-riso. Cedi, video, cedi. Si può solo coltivare l’illusione del Riso, come un vecchio fachiro che  tenta di disegnare le sue ultime rêveries sui morbidi veli delle nubi di primavera. Forse solo così le più nebulose illusioni possono illudere se stesse e diventare acrobatiche artiste della follia…

Azzurro

Azzurro

CANOVACCIO AZZURRO

Ora capisco perché per i nativi americani
gli animali e a volte perfino i nomi
sono tutti azzurri:
Lupo Azzurro, Cavallo Azzurro, Ghiandaia Azzurra….
Uno stregone ha dipinto l’alba
sopra un immenso canovaccio azzurro.
Anche la scala su cui è salito
è celeste
e il silenzio in cui cantano le nevi dorate
è inizialmente appeso
ad una sospensione turchina….
Più in alto,
dove gli spazi rilucono in chiarità,
un grande folletto azzurro
riposa, solitario.

***

BIBLIOGRAFIA DI PAOLO RAMACCIONI

-       Suffleus. L’invenzione montata a neve, Roma 2019.

-       Fotlach. Dall’archivio all’arco, Vignate 2020

-       Il Riflesso del corallo. Deleuze, Musil, Valéry, Masini. Bagliori di un’altra genesi, Manfredonia, 2021

-       Renoir bouchon. Valzer di un turacciolo pittore, Manfredonia 2022.

-       Video Dottor Suffleus