La montagna… strega

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GABRIELLA MONGARDI.

Confesso di partire avvantaggiata perché amo le montagne, e di essere stata attirata dal titolo del romanzo di Paolo Cognetti Le otto montagne subito, appena era uscito presso Einaudi, a novembre 2016.
Il primo merito di questo libro è però quello di non essere riservato agli addetti ai lavori, come si capisce già dalle prime pagine, che ne rappresentano una sorta di introduzione: in esse lo scrittore dispone sul tavolo della partita con il lettore le sue carte – l’io narrante, Pietro, i suoi genitori e il loro matrimonio di montagna, mito fondativo della famiglia, la loro vita in pianura, a Milano, e le loro reazioni opposte alla stessa nostalgia, così come era opposto il loro modo di andare in montagna: competitivo, spietato, frenetico quello del padre; meditabondo e contemplativo quello della madre. Alla fine del romanzo, anche Pietro definirà il suo, e quello del suo amico Bruno: perché la montagna non è solo paesaggio, la montagna è un amore assoluto, che rivela quello che siamo. E in questo romanzo la montagna è insieme sfondo dell’azione, oggetto del desiderio, tema antropologico e sociologico, metafora del destino, alleata nel cammino di ricerca di sé in cui consiste la vita.

La storia si avvia con l’arrivo della famiglia in un villaggio alpino ai piedi del Monte Rosa, per trascorrervi le vacanze estive: lì Pietro, il ragazzo di città, conosce Bruno che in montagna abita tutto l’anno e fa amicizia con lui. “Storia di un’amicizia” potrebbe essere il sottotitolo palazzeschiano di Le otto montagne, sostanzialmente un Bildungsroman aggiornato al 2000.
Il romanzo si articola in tre parti, ciascuna di quattro capitoli: Montagna d’infanzia, La casa della riconciliazione, Inverno di un amico. Quindici anni separano la prima sezione dalla seconda, 8000 Km. la seconda dalla terza, che è ambientata tra le Alpi e l’Himalaya, e ci rivela il senso del titolo.
La “formazione” è quella di Pietro, personaggio mobile, e si compie attraverso il rapporto con un padre riluttante al suo ruolo, con l’amico così diverso da lui e con la natura; Bruno invece è il personaggio statico, protagonista essenzialmente di un romanzo “di prove” – che non supererà.

La scrittura procede fluida ed elegante, sicura e nitida come una traccia di sciatori alpinisti che risalgono un pendio innevato; è un italiano sobrio ed essenziale, una lingua di cose come quella della montagna – un dialetto che trovavo più giusto dell’italiano, come se alla lingua astratta dei libri, in montagna, io dovessi sostituire la lingua delle cose, adesso che le toccavo con la mano. Suoi modelli dichiarati i narratori angloamericani di avventure e spazi aperti come Twain, Conrad, Stevenson, London e su tutti Hemingway: vale a dire che il romanzo di Cognetti si ricollega a una tradizione di scrittura en plein air, internazionale, non retorica.
O meglio, se c’è una “retorica della montagna” in questo libro, questa non è quella della “lotta con l’Alpe nobile come un’arte, bella come una fede”, bensì quella della montagna come riserva di wilderness, ma l’autore riesce a tenersene (abbastanza) lontano grazie al tema della casa – e “Le tre case” potrebbe essere un altro titolo per questo romanzo. La prima parte, infatti, ambientata tra Milano e la montagna, cristallizza l’antitesi tra i due spazi, quello artificiale della città e quello autentico della montagna, nella contrapposizione tra i due abitare: l’alloggio rumoroso e soffocante del condominio cittadino e la casa di due diverse origini, nella parte alta del paese; la seconda parte, che si svolge in montagna, è tutta dedicata alla ristrutturazione del rudere che Pietro ha ricevuto in eredità dal padre: grazie a questo lavoro Pietro ritrova Bruno, l’amico d’infanzia, e scopre un volto ignoto del padre – e questa casa, insieme con la montagna, rende possibile la riconciliazione.

In questo modo Cognetti è riuscito a scrivere, su un tema per lo più turistico o specialistico come la montagna, un libro che non si rivolge solo agli appassionati, agli alpinisti – e lo dimostra il fatto che sia stato insignito, meritatamente, del premio Strega.
Ma non è il solo ad averlo fatto: Margutte ha già ospitato o recensito “letteratura di montagna” di qualità non certo inferiore: si pensi ad autori come Silvano Gregoli o Matteo Meschiari. Ma loro non sono editi da Einaudi. Per ora.