Vacanze

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FULVIA GIACOSA.

Per migliaia di studenti sono cominciate le vacanze: sacrosante, soprattutto se spese in nome degli otia antichi.
Tuttavia l’etimologia della parola “vacanza” ci suggerisce di parlare d’altro, quasi una nota in aggiunta alle riflessioni di Stefano Casarino su questa rivista (“La scuola del Quanto e non del Come”).
Il verbo latino vacare (che contempla anche il significato di “esser libero”, in linea con il senso comune) significa innanzi tutto “esser vuoto”: dunque per vacanza si dovrebbe intendere in primis una “mancanza”. Ed è di ciò che intendiamo occuparci in riferimento alla scuola.
In anni lontani (1947, in due articoli per “Il Mattino del Popolo”) il maestro Pasolini[1] suggeriva di abolire la vacanza e indagava, con lucidità assoluta, gli equivoci su cui si regge la scuola, “un istituto che richiedendo un vastissimo numero di consensi si fonda sul compromesso e si orienta verso il generico”. Una dozzina di anni dopo l’autore, ragionando sull’insofferenza e l’incattivimento della gioventù, scriveva: “I figli non possono che nutrire disprezzo per la morale vigente: disprezzo non critico, naturalmente, e quindi anarchico, improduttivo, patologico. Alla superficialità rispondono con la superficialità, alla crudeltà con la crudeltà … Per quel che riguarda i problemi dei nuovi giovani, le riforme, le misure di emergenza, i provvedimenti non servono; anzi, non ne esistono: ed è bene che sia così, se questo dimostra, ancora una volta, che è la nostra società, nelle sue strutture, che richiede una profonda modificazione.”
Figuriamoci poi quando si vuol fare addirittura una (falsa) rivoluzione chiamata “la buona scuola”.
Ora è chiaro che i modi e le forme sono cambiati radicalmente, ma il giudizio è di una attualità sconvolgente e per questo abbiamo deciso di adottarlo come vademecum.

E veniamo alle troppe “vacanze”.
Prima “vacanza”: scarsa memoria culturale. Chi ricorda gli avvertimenti del maestro friulano?
Seconda “vacanza”: la fatica. La scuola pare dimentica della fatica “utile”. Occorrere essere difficili, diceva Pasolini, e portare lo studente oltre il suo mondo onde evitare di “lasciarlo in una vacanza che lo minora”; e ancora: “l’intelligenza non è mai in proporzione inversa con lo studio: studia colui che è intelligente”. Ed è intelligente colui che è curioso, dunque è sulla curiosità che occorre scommettere. E non importa se il nuovo è difficile.
Terza “vacanza”: collasso linguistico. La dicotomia glottologica tra il mondo adulto e quello giovanile, che si apre a forbice con docenti alla rincorsa di una mutazione comunicativa proporzionata alla velocità delle invenzioni tecnologiche, rende titanica l’impresa di passare contenuti e valori nei linguaggi clonati di oggi. L’imperio della stupidaggine è così assoluto che si è infiltrato anche nella scuola, mascherato da falsa democrazia e falso progressismo sotto lo slogan “andare incontro ai giovani, far incontrare scuola e vita”.
Quarta “vacanza”: dissolvimento della cultura nell’informazione. L’informazione come risultato finale, in quanto pragmatica, consumabile rapidamente e facilmente, non ha nulla a che fare con la curiosità di cui sopra, da cui discendono la costruzione del sapere e del saper fare.
Quinta “vacanza”: di prospettiva. Si scaricano sui figli le colpe dei padri e i padri sono condannati alla cecità e costretti a difendere i figli –edipicamente zoppi – per espiare le proprie colpe: conformismo e mediocrità; presunzione arroganza stupidità aggressività, giù giù fino a teppismo sopraffazione violenza; intolleranza o al più indifferenza; rozzezza, nella sembianza (mancanza di  “distinzione” di aspetto e di pensiero, fusi in globali stereotipi), nel linguaggio (sempre più spento e povero quello verbale, sempre più indifferente ed amorfo quello mimico, dimentico persino del riso trasformato in sghignazzamento). E, infine, apatia, ultima forma possibile di difesa dalle aggressioni esterne. Si è persa la pietas: nulla più indigna o stupisce, tanto è l’abbruttimento con cui si gestiscono i conflitti del mondo, tanta è la distanza che paradossalmente i media diffusi a tutte le latitudini creano tra la realtà e l’immagine della realtà.
Ora, la scuola, in quanto pezzo di questa realtà – e a partire da chi ne è il legislatore e che dovrebbe tutelarne i valori – non può tirarsi fuori dalle sue responsabilità.
E’ tempo che si finisca di stare in “vacanza”, vale a dire di chiudersi in una neutralità difensiva – perdente – e che si ritrovi un antico decalogo: rivolgersi alle intelligenze, richiedere impegno; combattere la mediocrità, abbattere gli idoli e le false sicurezze; sfoggiare un po’ di umanità in sostituzione del ruolo codificato, che peraltro ha perso tanto peso da dare risultati anoressici; stabilire regole e non convenzioni; introdurre un po’ di “scandalo e di incertezza, in cui le cose eterne non siano quelle imparate a memoria, ma quelle che più somigliano alle vocazioni”, di ciascuno.


[1] Le citazioni sono da: P. P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, I Meridiani, Mondadori, Milano, 1999