Un’oasi nell’attimo di Sohrāb Sepehri

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Opera di Sohrāb Sepehri

Dalla descrizione della casa editrice

Sono qui raccolte le più significative e intense poesie di Sohrāb Sepehri, il poeta mistico per eccellenza della letteratura novecentesca persiana. Pur essendo profondamente legato alla sua terra e cultura religiosa d’origine, Sepehri ha saputo raggiungere uno sguardo universale sulla condizione umana e spirituale del suo tempo, in sintonia con quanto avvenuto per altri intramontabili autori dell’Iran, tutt’ora letti e apprezzati, basti pensare a Rumi. Questa silloge, recante testo persiano a fronte e postfazione di Giuseppe Conte, è la testimonianza che la poesia, al di là dei suoi possibili confini geografici e tematici, se autentica e necessaria, riesce a scavalcare qualsivoglia distanza linguistica e culturale, arrivando dritta al cuore dei lettori di ogni tempo e paese.

Nota di lettura di Paolo Pera

Il volume Un’oasi nell’attimo (Jouvence 2022) raccoglie la silloge del poeta Sohrāb Sepehri (Iran, 1928-1980) La dimensione verde e i due poemi Il suono dei passi dell’acqua e Il viandante. Di grande rottura con la tradizione prosodica classica persiana, Sepehri è poeta, pittore e soprattutto mistico. Questa traduzione in versi si propone di conservare la limpidezza e l’armonia delle immagini in una fluidità di prosa lirica con versi metrici sapientemente mimetizzati, l’intento generale pare sottolineare anzitutto la leggerezza con cui si dà il senso di solitudine in chi scelse l’abbandono (e l’«annientamento») in Dio, finendo quindi a essere costantemente chiamato all’incontro con l’«Amico» (il divino con le sue “orme” sparse, appunto) nel mondano. In tale immersione nell’arcano indicibile e conciliante del Tutto, il poeta («rapito dal soffio azzurro del mistero») si fa creatura d’acqua, capace di far risplendere la divina Luce su di sé sino a diventare egli stesso emanazione di quella, come di un cantabile silenzio («Nel mondo di Sepehri, i poeti sono eredi dell’acqua, scorrono e riflettono la terra e il cielo nella loro purezza specchiante», dalla postfazione di Giuseppe Conte). La traduzione di Mardani e Occhetto assolve quindi ottimamente al compito di rendere lo spirito d’una tale sottile “poesia dell’oltre” colma di pienezza per ogni umana mancanza.

Da Un’oasi nell’attimo (Jouvence 2022), a cura di Faezeh Mardani e Francesco Occhetto

LUCE, IO, FIORE, ACQUA

Non c’è nuvola.
Non c’è vento.
Mi siedo sul bordo della vasca in cortile:
pesciolini, luce, io, fiore, acqua.
Grappolo puro della vita.

Coglie il basilico mia madre.
Pane, basilico e formaggio, cielo senza nubi, rugiada sulle petunie.
La redenzione è vicina: qui, tra i fiori del cortile.

Quale carezza versa la luce nella ciotola ramata!
La scala fa scendere il mattino dalla cima del muro.
Tutto è nascosto dietro un sorriso.
Ha uno spiraglio il muro del tempo, lì si intravede il mio volto.
Ci sono cose che non so.
So che morirò, se colgo un filo d’erba.
Salgo su, fino in cima, sono pieno di volo.
Scorgo vie nelle tenebre, sono pieno di lumi.
Sono pieno di bagliore e sabbia,
di alberi e rami.
Pieno di vie, ponti, fiumi, onde.
Pieno dell’ombra di una foglia nell’acqua:
quanta solitudine dentro di me!

UN’OASI NELL’ATTIMO

Se venite a cercarmi,
sono oltre la terra del nulla.

Oltre la terra del nulla vi è un luogo
dove le venature dell’aria
sono tanti messaggeri che portano notizie
del fiore appena sbocciato
nei cespugli delle lande più lontane.
Là, impresse sulla sabbia
troverete tracce di delicati cavalieri
che salirono all’alba su quel colle
dove i papaveri scalano il cielo.

Oltre la terra del nulla
è aperto l’ombrello del desiderio:
non appena la brezza assetata
soffia nelle radici di una foglia
suona la campanella della pioggia.
Qui l’uomo è solo
e in questa solitudine
fino all’eternità
scorre l’ombra di un olmo.

Se venite a cercarmi
venite adagio, lievemente
che non si screpoli la fragile
porcellana della mia solitudine.

ACQUA

Non infanghiamo l’acqua:
forse più in là disseta una colomba.
Forse in un bosco lontano irrora le ali di un cardellino.
Forse giù nel borgo riempie la brocca di qualcuno.

Non infanghiamo l’acqua:
forse questo torrente scorre ai piedi di un pioppo
per lavare le nostalgie di un cuore.
Forse un eremita ne intinge il pane secco.

Sulla riva vedo arrivare una bella donna,
non infanghiamo l’acqua:
ora quella bellezza raddoppia.

Com’è buona quest’acqua!
Com’è cristallino questo fiume!
Com’è sincera la gente del borgo lassù!
Vi sgorghino le fonti
e le mucche diano latte in abbondanza!
Non ho mai visto il loro paese
ma non ho dubbi, ci sarà l’orma di Dio tra le siepi.
Lassù la luna illumina la distesa delle parole.
Non ho dubbi, là i muretti a secco sono più bassi
e la gente sa così un papavero.
Non ho dubbi, lassù l’azzurro è azzurro.
Appena sboccia un fiore tutti lo vengono a sapere.
Oh, che paese è questo!
Nei viali risuona la musica del vento!
La gente, vicino alle fonti, intende il senso dell’acqua.
Lassù non l’hanno infangata,
non infanghiamola noi.

INDIRIZZO

«Dov’è la casa dell’Amico?»
Chiese all’alba il cavaliere.
Il cielo esitò.
Il passante teneva stretto un ramo di luce
tra le labbra, lo offrì alle sabbie oscure
indicò col dito un pioppo e disse:

«Prima di arrivare all’albero,
trovi un sentiero più verde del sogno di Dio
dove l’amore è azzurro come le ali della sincerità.
Prosegui fino in fondo al sentiero
che emerge oltre l’adolescenza,
poi volgi verso il fiore della solitudine,
e fermati due passi prima,
a contemplare l’eterno ruscello dei miti terrestri
colto da un limpido timore.
Nell’intimità mutevole dello spazio
sentirai un fruscio:
vedrai un fanciullo arrampicarsi sull’alto pino
per rapire il pulcino dal nido della luce
chiedi a lui
dov’è la casa dell’Amico».

Sohrāb Sepehri nato a Kāshān nel 1928 e morto a Tehran nel 1980, è uno dei massimi poeti persiani contemporanei. Dopo aver compiuto gli studi nella città natale, nel 1948 si trasferisce a Tehran – spinto dal grande amore per la pittura che, insieme alla poesia, nutrirà la sua vita artistica – dove si diploma all’Accademia di Belle Arti; comincia così a viaggiare all’estero per farsi conoscere come pittore, risiedendo per lunghi periodi a Parigi. Da sempre interessato alle vie mistico-sapienziali, a partire dagli anni Sessanta esplora l’Oriente in cerca di un Sapere capace di dissetare la propria ricerca spirituale. Nel 1965 pubblica il poema Sedā-ye pā-ye āb (Il suono dei passi dell’acqua) che, insieme alla successiva silloge Hajm-e sabz (La dimensione verde, 1967), segna la parte centrale e più significativa della sua attività poetica. Nel frattempo continua a collaborare con varie gallerie europee e americane. Tornato in patria, nel 1977 pubblica la sua intera opera poetica in un unico volume intitolato Hasht ketāb (Otto libri). Colto da un male incurabile, si spegne a soli cinquantuno anni, mantenendo uno stile di sobrietà e discrezione sino all’ultimo. Alla sua celebre lirica Indirizzo è ispirato il film Dov’è la casa del mio amico? del regista Abbas Kiarostami.

(Articolo a cura di Silvia Rosa)