La Qabbalah

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ANTONIO VIGLINO

La Qabbalah è quel complesso di insegnamenti e pratiche che costituisce la dimensione esoterica e mistica (la mistica è finalizzata al superamento dell’io e alla unione con una dimensione superiore di coscienza ovvero con il divino) dell’ebraismo, a fianco del Talmud e del Midrash che rispecchiano le componenti religiose e sociali.
Tutte queste dimensioni di conoscenza si fondano sul Tanakh o Bibbia ebraica, cioè l’insieme dei libri che costituiscono quello che i cristiani dicono l’Antico Testamento (esclusi, rispetto a quest’ultimo, alcuni testi), e in particolare sulla Torah, i cinque libri del Pentateuco. Detto con più precisione, ogni aspetto della cultura e della sapienza ebraica è sempre stato in sostanza commento della Torah (laddove i libri dei Re e dei Profeti che completano la Bibbia ebraica sono già essi stessi si può dire un semplice corollario, storico e religioso, della Torah): e questo perché nella Torah Hashèm — termine che significa “il Nome” impiegato per riferirsi a Dio essendo il tetragramma YHWH impronunciabile — si manifesta sulla Terra al popolo eletto.
Secondo Rashi di Troyes, Rabbi Shlomo Yitzhaqi, vissuto intorno all’anno Mille, ritenuto il più autorevole commentatore della Torah, ci sono quattro sensi nella lettura della Sacra Scrittura: letterale, omiletico, allegorico e segreto. La Qabbalah ha ad oggetto per l’appunto il senso segreto della Torah.
Questa considerazione consente di operare una precisazione molto significativa. È noto che la Qabbalah come fenomeno storico-culturale vide la luce nel XII-XIII secolo nella Francia meridionale, e da lì si diffuse in Spagna, in Italia, in Germania e nella Terra di Israele, e questo fatto non certo è dubitabile. Ma esso va apprezzato nella sua valenza propria, che è la seguente: il corpus di dottrine e di testi che costituiscono la Qabbalah sorse appunto nel Medioevo europeo, ma ciò non significa che prima della emersione e diffusione della Qabbalah il senso segreto della Torah non esistesse. È la Torah stessa ad avere un senso segreto; per afferrare il quale la Qabbalah di per sé non è indispensabile, bensì essa è appunto e solo una somma di commenti individuali di questo significato arcano: le vicende del libro di Genesi e dei successivi quattro libri, dall’uscita dall’Egitto all’ingresso in Terra Santa, hanno un loro senso recondito e preciso, che resta segreto perché per lo più gli uomini non lo sanno scorgere. Per fare un parallelo esplicativo, si può fare riferimento al Rigveda, il testo originario e fondamentale della sapienza indiana e della sapienza orientale in generale: esso è il testo supremo della conoscenza, eppure i bramini stessi (i preti indiani) da almeno due millenni non lo capiscono più, per tacere delle esegesi degli studiosi occidentali che a mala pena sanno leggere il senso letterale e superficiale degli inni. Per chi sa leggere il Rigveda, esso è la fonte unica della vera scienza; allo stesso modo, nella Torah è detto tutto cosa può essere detto, così dice la Tradizione ebraica, anche se il suo significato completo e pieno è perduto. Ma così come i sapienti delle Upanishad hanno preservato la conoscenza esoterica del Rigveda, e così come un millennio dopo la hanno perpetuata gli yogin tantrici, allo stesso modo il senso arcano della Torah è stato perduto per la generalità degli uomini, ma preservato da cerchie ristrette di sapienti.
In questa prospettiva, la Qabbalah sorta nel Medioevo europeo è il corrispondente dei Tantra indiani e tibetani, che dopo secoli di silenzio hanno rivitalizzato, pur non esaurendolo, il valore esoterico della scritture rivelate. E analogo movimento si può constatare rispetto all’Egitto, dove il senso segreto dei Testi delle Piramidi (III millennio a.e.v.) e dei testi funerari del Nuovo Regno (II millennio a.e.v.) si è perduto, per poi riaffiorare millenni dopo nel Corpus Hermeticum.
In questo modo, non si avrà difficoltà a vedersi risolta una antinomia creata dall’approccio razionalistico-analitico rispetto a quello che è il testo fondamentale della Qabbalah, il Sefer ha-Zohar, il Libro dello splendore. Questo testo è, naturalmente, un commento alla Torah, che vede come interprete Rabbi Shimòn bar Yochai, e i suoi discepoli; egli, a sua volta discepolo di Rabbi Akiva, visse tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo, e trascorse tredici anni nascosto in una caverna, seppellito nella sabbia fino alla testa, per sfuggire alle persecuzioni dei romani che occupavano Gerusalemme. Gli studiosi insistono che la collocazione storica dello Zohar e la sua attribuzione a Rabbi Shimòn bar Yochai siano una montatura, ed affermano che l’autore del testo sia Moses de León, cabbalista vissuto nel XIII secolo. Il problema non è che l’edizione dello Zohar sia ascrivibile a Moses de León, bensì è che occorre accettare che il contenuto di questo testo non sia parto della fantasia sovreccitata di costui ma sia invece un tesoro che proviene dal passato, e proprio da Rabbi Shimòn bar Yochai. (E lo stesso è a dirsi per il citato Corpus Hermeticum: gli accademici tenendo sicuri in mano l’edizione critica asseriscono che il manoscritto non possa risalire ad oltre l’XI secolo e semmai riproduca scritti ermetici del III secolo; e nessuno di ciò dubita, solo che il contenuto dei trattati del Corpus Hermeticum ha un’antichità e un’autorità che gli studiosi non potranno mai sospettare.) Che si debba accettare questa scissione tra supporto cartaceo e contenuto esoterico circa la datazione e l’attribuzione di un’opera, è in verità un problema che affligge solo gli occidentali, e gli studiosi razionalistici della Qabbalah; in Tibet, ad esempio, è noto e pacifico che molti testi rivelati siano tesori della mente (dgongs-ter) che taluni predestinati si trovano a mettere per iscritto essendogli i contenuti stessi fioriti nella mente.
Questa lunga premessa si salda con quanto ritengono gli ebrei ortodossi e i cabbalisti stessi, da millenni, intorno alle dottrine segrete della Torah: fu Dio stesso a consegnare ad Adamo conoscenze esoteriche, e questi le tramandò a suo figlio Set e da lui ai patriarchi, fino a Mosè; Mosè nel roveto ardente vide il Signore Adonai e quindi fu istruito sulla liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù dall’Egitto al culmine della quale Dio in persona gli consegnò la Torah scritta, sulla montagna del Sinay. Da Mosè, quindi, le conoscenze esoteriche furono tramandate alla élite sacerdotale che le seppe custodire, e riemersero coram populo nelle Qabbalot medievali.
Solo su questo sfondo possono essere avvicinati i testi della Qabbalah, diversamente essi appaiono un coacervo di descrizioni allucinate e pratiche incomprensibili.
Ci sono diverse anime nella Qabbalah, tutte scaturenti dallo Zohar, che ora si enumerano; però questa classificazione è solo uno schema astratto ed esteriore, in quanto ogni corrente della Qabbalah ha in sé anche le altre due e, per altro verso, esse tendono tutte al medesimo fine, che è il superamento delle limitazioni dell’io — si può due che le correnti della Qabbalah siano assimilabili alle diverse vie degli yoga, sentieri differenti rivolti ad un’unica meta. C’è così la Qabbalah teosofica rappresentata in special modo da Isaac Luria, l’Arizal, più orientata alle dimensioni celestiali e noetiche e ruotante sul sistema delle sefirot, entità immateriali che costituiscono tanto la realtà superiore ed autentica quanto ogni singola persona; la Qabbalah profetica di Abulafia maggiormente incentrata sul linguaggio delle lettere ebraiche e diretta alla trasformazione individuale; ed infine la Qabbalah magica finalizzata al poter interagire con le dimensioni non ordinariamente percepibili della realtà. Nel secolo XVIII poi sorse nell’Europa orientale il Chassidismo, ad opera del Baal Shem Tov, il quale tra le altre cose propugnava una estensione degli insegnamenti della Qabbalah ai ceti più sfortunati; eredi del Chassidismo sono correnti cabbalistiche di diverse dinastie operative ai nostri giorni, tra le quali la più diffusa è quella di Chabad-Lubavitch.
Un elemento comune alle diverse correnti della Qabbalah è questo: nel libro di Genesi è scritto che Dio il primo giorno creò la luce, e poi solamente dopo, nel quarto giorno, creò il sole e la luna allo scopo di illuminare la Terra. Gli studiosi ebraici da subito si chiesero cosa fosse mai allora questa luce primeva, anteriore alla luce fisica e diversa da questa, per riconoscere unanimemente che essa fosse la luce spirituale, preclusa agli uomini ordinari e riservata ai giusti (Tzaddiqim). Ebbene, tutte le correnti della Qabbalah, ciascuna a modo proprio, trattano anche di come tentare di raggiungere questa luce, allo stesso modo in cui gli yogin dell’India insegnano a raggiungere la luce di milioni di soli di kundalini, i buddhisti la chiara luce, gli alchimisti l’opera al bianco.
Che l’uomo occidentale preferisca credere che le menti migliori dell’ebraismo per millenni abbiano inseguito fantasmi, è affar suo; certo ciò non vale a fugare il sospetto che sia invece proprio l’uomo occidentale a guardare la luna nel pozzo.