Ruggero Ghiglia: la poesia è segreta trama che unisce i fenomeni dell’universo

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ATTILIO IANNIELLO (a cura)

Biografia.
Sono nato a San Michele Mondovì e, a parte una breve parentesi a Torino nel periodo dell’università, ho sempre vissuto qui. Ho fatto studi musicali e ho preso una laurea breve in filosofia. Mi sono avvicinato alla poesia all’inizio delle Superiori. Frequentando il liceo musicale a Cuneo, ogni giorno dovevo prendere treno e pullman e c’erano sempre lunghe attese a scandire le mie giornate. Qualche volta le riempivo scrivendo su dei bloc-notes semplici pagine di diario o brevi poesie su ciò che attraeva la mia attenzione. La vera passione per la lettura è venuta dopo, intorno ai sedici anni, e con sé ha portato anche il desiderio di affinare lo strumento che prima utilizzavo in modo molto poco consapevole. Ho cominciato a leggere di tutto specialmente perché avevo preso una tremenda cotta per una ragazza più grande di me, che aveva la passione per la letteratura. Volevo poter discutere con lei di tutti quei libri di cui il suo zaino era sempre colmo. E anche se quella cotta non ebbe mai a concretizzarsi, in ogni caso restai con un buon premio di consolazione.

All’università decisi di studiare filosofia perché mi preoccupava l’idea di identificare la letteratura, specialmente la poesia e il romanzo (che considero genere immensamente più profondo e ricco della filosofia) con un clima accademico ed ero spaventato dall’idea di trasformare qualcosa che avevo tanto amato negli ultimi anni delle superiori in un dovere.

Non ho ancora pubblicato praticamente nulla, eccetto qualche verso su una rubrica che teneva Maurizio Cucchi su “Specchio”, ai tempi della IV liceo, e una poesia su un’antologia di testi vincitori del concorso di poesia Convivio 2005, nel quale mi ero classificato primo nella sezione Scuole superiori.

 

Cos’è la poesia per te?
Non è certo impresa facile definire la poesia. La definizione in sé è un processo che rischia di isolare una porzione di realtà, lasciandone la maggior parte in ombra. Ciò che io chiamo poesia è qualcosa di molto diretto. Rispetto alle arti figurative ed alla musica la poesia è di per sé mediata dal linguaggio. Non arriva direttamente a uno dei cinque sensi e difficilmente può portare le sensazioni viscerali che la musica è in grado di trasmettere. Considero la poesia un processo che è simile allo scavare un pozzo, alla ricerca di qualche contenuto profondo che ha una forte carica emotiva e che si cristallizza in parole. Non amo la poesia troppo intellettualistica che crea continuamente barriere nei confronti del lettore. Una simile poesia, come molta arte avanguardistica, può essere un lieve piacere per l’intelletto, ma non ti dà la pelle d’oca, non può portare quelle sensazioni profonde che alcune poesie riescono a dare, con versi che irrompono sul foglio senza farsi annunciare.

La mia concezione poetica e artistica è profondamente influenzata dall’incontro con le pratiche taoiste (Tai Chi Chuan, Qi Gong) e con la concezione energetica che il Taoismo ha dell’uomo e dell’universo, con la dialettica continua tra processi opposti che è ben sintetizzata dal taichitu (mappa del tai chi), cioè il classico tondino che rappresenta lo yin e lo yang, in cui al culmine del nero è presente il seme del bianco e viceversa. Per me la poesia deve in qualche modo rendere conto di tutta la segreta trama di corrispondenze che unisce tutti i fenomeni dell’universo, in cui ogni punto è centro e periferia. Un poeta che fa qualcosa di simile per me è Dylan Thomas. Gli altri miei poeti sono Gregory Corso, Garcia Lorca, Sylvia Plath e specialmente Cesare Pavese, in particolare il Pavese di “La terra e la morte”, ma ho anche amato molto “Lavorare stanca”.

Questi sono alcuni dei poeti che più ho amato, ma devo dire che ho dedicato molto più tempo alla lettura di romanzi che non alla poesia, c’è un’infinità di autori che ancora non ho affrontato e mi piacerebbe leggere in futuro.

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Il pianoforte

Lo stupore, come un arido grido,
e poi l’insostenibile vuoto.
Solo ieri tendevo le mie mani
al polveroso legno nero
e l’alternarsi di colori
che esso, geloso racchiudeva,
scioglieva i rumori del cantiere.
La notte potevo, come un qualunque
perfetto crocifisso orizzontale,
abbracciare pagine e suoni.
Adesso, con il muro denudato,
la mia mano destra abbraccia il vuoto,
la sinistra è un peso troppo grande.

***

Matrioska

L’uomo che spinge
la carrozzella vuota
potresti anche esser tu
se come ruote avesse le stelle.
Fai una certa impressione
con quella tua fronte così bassa,
sembra voglia adagiarsi a terra
così che i piedi
possano dirigersi al cielo
- protesi -
spada sguainata che vibra nel vento
quando il vento scende dalle sue alture
per insinuarsi ovunque,
imprevedibile,
veloce come i passanti dei portici
che scompaiono ai lati
nei pertugi del muro.

Spingeresti la carrozzella
e ti siederesti a pensare,
cantando per ogni cosa
per cui ti va di cantare.
Un motivetto lieve, musicale.
Gira un poco nell’aria
e torna indietro alle tue orecchie,
ti discende fino ai piedi
che al contatto con la terra
iniziano a vibrare.
Alla madre terra ritorna il frutto
quando è maturo,
cadendo come la tua fronte
che si vuole adagiare,
ma quello acerbo fra le alture celesti
è costretto a restare.

E sei di nuovo in piedi,
non ti puoi certo fermare
- l’angelo biondo sghignazzando
si stramazza a terra -
piccolo cherubino
con la testa nel camino,
salta fuori dall’imposta
ma senza farlo apposta.

Quando le rotelle non girano più
sei tu a girarti verso le stelle,
patologiche bugiarde
che ammiccano nella notte.
Con la spada protesa
e i piedi vibranti
puoi di nuovo cantare
e la tua voce non torna più
ma si perde nel vento
che torna alle sue alture,
camaleonte che riarrotola la lingua,
matrioska su foglio piatto.

***

Sotto la manica

Sotto la manica con la mano
ascolti attento
il sovrano del tuo corpo
al ritmo del vento
pulsare
come un pendolo
l’al di là e l’al di qua
sotto la manica
scandire
al tuo cospetto un altro bivio
fresco d’inverno -
Se quindici anni sono l’eterno
(e un punto di questo foglio
.
contiene ogni cosa)
allora è sotto la manica
che la soluzione tua riposa.

Lo so bene
decidere non è certo facile
come giocare a carte
lasciando le doppie da parte
comodamente seduti
sopra la panca
fa male l’anca
sotto la panca il ginocchio è un’esca
(nella manica è giorno di pesca)
ascolta i pesci
danzare
ascolta i pesci
oscillare con la lenza della tua coscia
per i denti appesi
ai pani che in ginocchio hai sbriciolato
quando sotto la manica sei passato,
quando sotto la manica sei passato.

Oltre la manica
c’era una terra ritrovata
come l’amore lasciato indietro
dentro la manica
i gomiti di vetro di chi ti porti appresso
figli & nuore
ricordi accalcati del paese vecchio
dove ogni mattone
è tinto d’inchiostro
sotto la manica
l’al di là e l’al di qua
la fredda disciplina degli isolani
che camminano
guardando i propri piedi
o l’eco molle del Dio
che di parole
libera un vagone
per paura di farne indigestione?
Quale di questi è il posto
per la tua decisione?
Sarà forse piuttosto
nei cerchi di un lago
- fra il Dio e gli abissi -
che troverai il luogo
dove riposare
dove sapere quando salpare
e sotto la manica di nuovo passare,
sotto la manica di nuovo passare.

***

Figlia del mare

Figlia del mare,
con te per mano passeggiando
ho penetrato la campagna nella sera.
Il tuo respiro tremolava
come le farfalle assediano i lampioni.
In te viaggiando
anche le stelle da secoli spente
hanno ripreso a brillare.
In te approdando
a fianco dei noccioli
prostrati a terra in contemplazione
un luogo da tempo orfano
è ritornato sacro.

Sei venuta dal mare,
negli occhi ne porti il colore
e l’odore su tutto il corpo.
Con te come nave
non temo inondazione alcuna
e la vetta più scoscesa è un gioco.
Come bambini che ancora non sanno,
come vecchi che più nulla
hanno da scoprire,
viaggiamo
- io in te, tu in me -
penetrando la campagna,
accogliendo la sera.

***

Piccola donna dei monti

Piccola donna scesa dai monti,
come un rivolo d’acqua
ai loro piedi si è adagiata
vestita di monti e valli,
stati opposti di un tempo
che non scalfisce la sua bocca bambina.
Il sole, d’estate troppo vicino alla testa,
lascia presto lo spazio
alla canzone sfrigolante delle foglie secche,
fino a quando prive di musica
attendono di essere seppellite
da una miriade di specchi.
Anche lei ha un segreto sepolto
e lo porta nel cuore,
uno spazio impenetrabile agli altri
dove scende a riposarsi come il capriolo
si disseta al fiume il mattino.
Per quanto la si offenda o ferisca
potrà sempre rifugiarsi in quest’antro
profondo come le viscere della terra
e là rinnovarsi.
Eccola immobile al centro della stanza
e i riquadri del pavimento
sono già le lunghe radici
di una solida quercia.
Solo il suo mento resta proteso,
provocatorio come quello
di una capretta saltellante.
E la sua ira funesta
si manifesta all’improvviso,
come una pioggia sferzante
o come il grido dell’aquila
che sovrasta la valle
e negli occhi porta scolpita
la sorte della sua preda.