Bogre, un film sull’eresia dei Catari

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LAURA BONFIGLIO

Se un occitano ti dà del bogre non è certo per elogiarti.
In origine la parola significava bulgaro, ma per inclusione anche cataro per via della dottrina condivisa; in seguito, nell’uso comune, in Piemonte e in Francia è diventato un termine dispregiativo per indicare uno zingaro, un inetto, un incapace.
Il regista occitano Fredo Valla ha voluto intitolare il suo ultimo film documentario BOGRE per raccontare un’idea diversa di Dio, un’eresia che durante il Medioevo ha viaggiato per buona parte dell’Europa, dalla Bulgaria alla Bosnia, all’Occitania, interessando anche buona parte dell’Italia settentrionale dove apparve intorno all’anno mille: mi riferisco ai Catari che essendo dualisti, furono considerati eretici dalla Chiesa Cattolica e di conseguenza perseguitati ed uccisi.
Il progetto di questo film è stato realizzato insieme ad Elia Lombardo e Andrea Fantino, la troupe del regista ma anche il suo sostegno, i suoi ragazzi, che hanno frequentato l’Aura, la Scuola di Cinema di Ostana.
Il viaggio è iniziato proprio dalla Bulgaria, dove era nata l’eresia bogomila.
Le riprese, molto suggestive, sono state fatte in diversi luoghi: a Rila, nel monastero, tra rovine e resti archeologici, nella biblioteca nazionale di Sofia, dove, con l’aiuto di emeriti studiosi locali, sono stati visionati antichi documenti sfogliati con mani inguantate per non rovinare quelli che sono i testimoni di quel periodo storico; documenti antiereticali usati nei monasteri, scritti dal X al XIII secolo come il discorso del prete Cosma contro i Bogomili o quello dello Zar Boril.
I Bogomili come i Catari, che erano una loro affiliazione, non avevano chiese, non avevano statue da adorare e l’unico sacramento era il battesimo, praticato con l’imposizione delle mani. E come i Catari praticavano una dottrina che distingueva lo spirito, creato dal Dio buono, dalla materia, dal corpo e da tutto ciò che muore come creatura di un dio maligno perché un Dio pietoso non avrebbe potuto creare il male. Questa era la loro risposta alla questione che perseguita anche l’uomo moderno e cioè perché esiste il male.
I pochi documenti che parlano di questa fede sono conservati in Italia ma la maggior parte è stata bruciata insieme ai corpi di quei poveri uomini. Dante stesso, secondo alcuni studiosi (la più appassionata Maria Soresina) sembra che fosse cataro o almeno influenzato dalle teorie catare ma che per ragioni di opportunità non fosse così esplicita la sua adesione, visto che i roghi non erano ancora spenti.
In Dante infatti viene ribaltato completamente il concetto cattolico dove l’uomo è oggetto di redenzione mentre per il sommo poeta l’uomo diventa soggetto capace di prendere nelle proprie mani la sua vita e il suo destino, capace di risollevarsi.
I Catari credevano di essere la vera Chiesa di Cristo e non avevano un intermediario tra uomo e Dio; quando Dante nel Purgatorio descrive un’anima pronta a salire in Paradiso celebra l’autonomia della coscienza.
I Catari credevano nella morte di Cristo in croce perché credevano nei vangeli ma come i primi cristiani non veneravano la croce perché, essendo un segno di dolore, di tortura e morte non aveva alcuna funzione salvifica, di redenzione.
Tutti gli uomini si chiedono cosa ci sia dopo la morte e molti credono o sperano che ci sia una continuazione e su questa speranza la Chiesa di tutti i tempi ha costruito il suo potere.
Maria Soresina sottolinea come in questa speranza ci sia anche un desiderio di giustizia, che i buoni vengano premiati ed i cattivi puniti ma i Catari credevano invece nella reincarnazione per chi non aveva ricevuto il consolamentum (il battesimo) e quindi non poter raggiungere quella parte di sé (l’anima) rimasta presso il Padre e ricongiungersi a Lui. Quindi la materia rinasceva in un altro corpo (uomo, animale …)
Le immagini del film risultano molto suggestive grazie alla straordinaria fotografia di Elia Lombardo, Massimiliano Nicotra e Andrea Fantino e al montaggio di Beppe Leonetti; immagini rese ancor più commoventi dal suono curato sempre da Fantino e dalla musica composta da Walter Porro che, ispirandosi al repertorio medioevale, ha saputo trovare le note giuste per farci sentire in quei luoghi e in quel tempo.
Voglio ricordare ancora le letture dei testi scritti dall’Inquisizione, da Papa Innocenzo III, per incitare i cavalieri del nord della Francia all’ annientamento degli eretici e alla confisca delle loro terre, fatte in modo incisivo da Giovanni Lindo Ferretti; cosi come le parole del filosofo francese, vissuto nel XVII secolo, Pierre Bayle raccontate, con una carica drammatica da far venire i brividi, dall’ attore Olivier de Robert sullo sfondo delle fiamme dei roghi, parole che ci ricordano che se il perseguitato non ha sempre ragione, il persecutore ha sempre torto.
Credo che l’incontro tra la passione giovanile di Fredo Valla per la cultura occitana (cultura che in quelle vallate si respira ovunque, nel cibo, nella lingua e nella musica, assimilata e preservata soprattutto dai giovani) e quella dei molti studiosi di vari paesi che incontriamo nel film, dopo anni di lavoro, sia stato magicamente incanalato al momento giusto e abbia permesso la realizzazione di un progetto che ha un valore certamente estetico ma anche storico e umano.
Un film che parla di libertà di pensiero e ci racconta un pezzo di storia che, come diceva il grande regista Florestano Vancini, i libri di scuola non raccontano.

(L’immagine è un fotogramma del film)