Manifesto per un futuro sostenibile

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ATTILIO IANNIELLO

Il 12 dicembre 2003 a Dublino nella clinica ostetrica in Holles Street nasce Rory, il primo nipotino di Mary Robinson. «Quando incrociai lo sguardo di Rory sentii una scarica di adrenalina, una sensazione fisica nuova e diversa da tutto quello che avevo mai provato fino ad allora… la mia percezione del tempo è cambiata: ho cominciato a pensare su un arco temporale più lungo, di almeno cent’anni. Ho capito che da quel momento in poi avrei guardato la vita di Rory attraverso il prisma del futuro precario del nostro pianeta. Feci un rapido calcolo mentale: nel 2050 Rory avrebbe avuto 47 anni e avrebbe abitato la Terra con oltre nove miliardi di persone… che come lui avrebbero cercato acqua, cibo e riparo su un pianeta che già sconta le conseguenze della dipendenza mondiale dai combustibili fossili. Che mondo sarebbe stato il suo?». Mary Robinson racconta questa esperienza esistenziale nel primo capitolo del libro “Climate Justice – Manifesto per un futuro sostenibile” (Donzelli Editore) perché rappresenta la genesi di un suo maggior impegno politico e ideale a favore dell’ambiente.

Mary Robinson è stata il primo presidente donna dell’Irlanda dal 1990 al 1997 lavorando poi presso l’Alta Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Nel 2010 ha fondato la Mary Robinson Foundation – Climate Justice (https://www.mrfcj.org/).
Nei dieci capitoli che compongono il “Manifesto per un futuro sostenibile”, Mary Robinson passa in rassegna tutti i trattati internazionali riguardanti l’ambiente e, soprattutto, accompagna il lettore in un viaggio attraverso le varie parti del nostro pianeta dove il cambiamento climatico sta sconvolgendo in modo drammatico la vita di milioni di persone.
Il libro ci parla di popolazioni autoctone che perdono le loro principali attività e fonti di sussistenza. Il ghiaccio che si scioglie nel Nord del pianeta aumentando il livello del mare e rendendo inabitabili alcune isole e zone delle coste, il deserto che avanza (e come non ricordare il monito di F. Nietzsche nel “Così parlò Zaratustra”: «Il deserto avanza, Guai a colui che cela deserti dentro di sé»), la deforestazione, l’inquinamento, la distruzione della biodiversità, mettono a serio rischio la sopravvivenza di popoli che devono quindi migrare perdendo di conseguenza la loro cultura, la loro lingua.
Il libro di Mary Robinson ci fa conoscere inoltre i diversi rappresentanti di questi popoli, il loro impegno per fermare il riscaldamento globale.

La realizzazione di una giusta trasformazione verso un mondo migliore passa attraverso un accesso universale a fonti energetiche sostenibili ed economiche, aria pulita, produzione alimentare resistente al clima, terre, foreste e oceani sani e stili di vita sostenibili in tutto il mondo. Sarebbe una trasformazione che non lascia indietro nessuno e in cui i benefici sono condivisi attraverso una transizione giusta per tutti.
L’agricoltura contadina, in particolare, è colpita dai cambiamenti climatici ed è esposta, se non si pone rimedio ai cambiamenti climatici stessi, ad un ridimensionamento importante sia in termini numerici di addetti che in termini di cultura e colture. Tuttavia, come si legge nel testo di Mary Robinson, è proprio dall’agricoltura contadina che vengono i migliori esempi di resilienza, di associazionismo e di partecipazione democratica nell’impegno per il futuro di una agricoltura sostenibile, perché come scrive l’autrice citando un aforisma: «Dire che una cosa è impossibile non esprime un dato di fatto, ma un atteggiamento».
«Il vero scopo della lotta al cambiamento climatico è tutelare i diritti umani e garantire giustizia a chi ne subisce gli effetti più gravi, ovvero paesi e comunità vulnerabili, che nella gran parte dei casi sono i meno responsabili del problema», afferma la Robinson. «È questa la mia definizione di “giustizia climatica”: mettere l’uomo al centro della soluzione».

Interessante è il contributo delle donne nella lotta contro il cambiamento climatico. Numerosi loro nomi arricchiscono le pagine del libro dall’australiana Natalie Isaacs, fondatrice del movimento “1 million women” (https://www.1millionwomen.com.au/) alla keniota Wangari Maathai, premio Nobel per la Pace nel 2004, che costituì nel 1977 il “Green Belt Movement (http://www.greenbeltmovement.org/). Quest’ultima disse: «Nel corso della storia arriva un momento in cui l’umanità è chiamata a passare a un nuovo livello di consapevolezza, a elevare la propria caratura morale».
Nel suo libro Mary Robinson sostiene in modo convincente che «quel momento è adesso. E dobbiamo riuscirci a ogni costo».

(Pubblicato su “La Piazza Grande” n. 30 ottobre 2020)