Lingua di immensità, d’orizzonte

SabineHuynh par AnneCollongues

Foto di Anne Collongues

La poesia di Sabine Huynh

SILVIA PIO (a cura)

Una lunga lista di luoghi agli opposti del mondo: Saigon, Lione, Londra, Boston, Gerusalemme, Ottawa, Tel Aviv, solo per citarne alcuni. Queste le tappe del viaggio esistenziale di Sabine Huynh, che appaiono, nitide o come in sogno ma sempre con forza, nelle opere dell’autrice, scritte in una manciata di lingue diverse.

Una serie di lavori e impieghi e l’approdo alla ricerca sociolinguistica e all’insegnamento. Ma sempre l’hanno accompagnata la poesia e la letteratura, espresse in numerose opere e nella traduzione di opere d’altri, anche in collaborazione con artisti di arti diverse: fotografi, pittori, ecc.

La poesia è per lei identità e lingua, un luogo che si può chiamare proprio e una voce che «non ha nulla di quella materna». È una «lingua dell’altrove»,  per poter sopravvivere a questo presente e dove trovare casa (una casa che oggi capita essere a Tel Aviv, con fiori d’ibisco a portata di mano). Una «lingua di immensità, d’orizzonte» che Margutte è lieto e orgoglioso di ospitare anche nella sua traduzione in italiano.

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Libro d’artista, André Jolivet

Fotografia fatta prima del tuo risveglio

Mattino di tempesta
sul mare, noi avanziamo

Noi siamo ancora da scolpire, ancora
da salvare (la luce
là in basso a sinistra che vacilla
e che io sola so verde
con il suo minareto
e le onde alte intorno
e noi)

dal rovescio dei nostri sogni ancora
da vivere, fugare
la notte, sciogliere ogni dubbio, uscire
dalla nebbia ed ancora

amarti

***

Piedi nudi accarezzano
l’orlo marrone:
con pensosi sorrisi
passano i bonzi

il profumo del riso
traspira fra le foglie dei banani.

Senza auspici
né rimpianti
nubi si sfilacciano

fine della cena.

Non increspa le fronti
desiderio di voli.

***

Nella linfa collosa dei cachi
cola il tempo

dipanato è il rocchetto
dei pensieri-aquiloni.

Il qui è qui
e l’altrove è laggiù da qualche parte.

Bisbigliano fra loro le papaie,
conciliaboli d’ombre.

***

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Gessetti neri di Christine Delbecq

Giardino. Ora di siesta.
I gechi grigi inghiottono
musiche di zanzare.

Abbandonati nonna addormentata
e giaciglio, saltellano i bambini
verso lo stagno, il cuore
gonfio come una carpa

e guizzano girini*
vortici nel silenzio
tiepido, che non è una solitudine.

* Gioco di parole: têtard, “girino”, ma anche, in argot, “bambino”.

(La traduzione dal francese delle poesie precedenti è di Carlo Gazzelli)

***

Identità diverse

Identità diverse?
Tante domande
su un tipo con tre occhi.
Davvero una creatura mostruosa,
Io, io e sempre io,
senza oh senza ah, solo stridore,
solo occhi ed ego.

Identità,
Si tratta di ciò che mi lega
a te, la vecchia me,
e mi costringe a chiedere:
chi sono
io?

***

Tutto può rovesciarsi

Gatti senza ombra & grondaie
spessi muri & segreti
falsa allegria sotto cieli affrettati
frenetici i battiti del tuo cuore
lenti i tuoi passi
in vicoli intessuti di ricordi quasi dimenticati
i tuoi occhi intrappolati in fenditure silenti

Sotto nubi tratteggiate
tutto può rovesciarsi
quando le campane suonano a martello
e la vuota distanza tra te e loro
si riempie di rocce cadute.

***

Caroline François-Rubino 1

China di Caroline François-Rubino

Caroline François-Rubino 2

China di Caroline François-Rubino

Vecchio amore intrappolato in un pasticcio di carne

Dopo tutto quel tempo avrei potuto pensare di averti
inventato, ma mi sono tuffata e ho trovato le tue vecchie lettere dalla Cornovaglia.
Incollate una all’altra, formano una cintura di salvataggio che si gonfia quando sospiro.
Disperatamente tiepido era il microclima sulle Isole Scilly,
ma una volta tornata alla fredda Londra, ho addentato con desiderio un pasticcio,
la copertura a forma di conchiglia fece uscire una sostanza alla cipolla
indegna di ricordo. Abbiamo passato i nostri anni migliori
sotto acque salate? con i cuori avviluppati dalla stessa crosta,
bocconi mischiati a sabbia e sigillati per l’oblio?

Eri così fiero delle fotografie sfocate di gabbiani
che omettevano gli odori di muffa, le croci col muschio, le corse in bus nella pioggia.
Se la ridevano piombando sul nostro amore spoglio.
Al tuo patrigno minatore piaceva ascoltare
la mia felicità precipitare senza voce e fare eco
ai gridi. Suoni scoppiettanti e strani che lo riportavano
alla miniera e al grido della latta. C’è stato un tempo
prima delle latte, non quando mi facevi mangiare le mele aspre, ma
dei pasticci con i bordi ondulati, gustosi e sigillati con onde di confine.

Alla stazione di Paddington un Indiano vendeva pasticci di carne.
Le patate stoppose che masticavo riempivano le mie orecchie dei tuoi piedi
pesanti, che rompevano il fango ghiacciato. Pensavamo il nostro amore
coriaceo come i marinai, che navigavano su treni sferragliando
in giro per il paese, entrando e uscendo da umide grotte urbane.
Da Islington a Helston, da St. John’s Wood a St. Ives,
sperando senza sosta di durare. Ma al buio il motore mugghiava
il dolore atroce a venire, dopo che i sigilli del nostro patto erano stati rotti.

La ricetta diceva di incidere la pasta per lasciar uscire il vapore.
Tu hai inciso il mio cuore e non l’hai ricucito,
senza coscienza del retrogusto. I castelli di farina stantia crollano facilmente,
lavata via è la forma originale del cibo consumato.
Hai detto che non avevi scritto perché eri andato al mare.
Tutto si condensa nel solito oceano di silenzio pieno zeppo
di rimorso che ti aspettavi io dimenticassi e perdonassi.
Oggi vivo vicino al mare e le mie labbra sono sigillate.

(La traduzione dall’inglese delle poesie precedenti è di Silvia Pio)

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Libro d’artista, André Jolivet

Sabine Huynh è nata nel 1972. Ha una laurea in Linguistica acquisita all’Università Ebraica di Gerusalemme, ha fatto ricerche in Linguistica e insegnato lingue e letteratura. Ha scritto libri di poesia e prosa e un’antologia di poesia francese moderna, pubblicati da Galaade, Voix d’encre, La Porte, éditions publie.net, Recours au poème éditeurs and E-Fractions, e altri. La sua raccolta di poesia Kvar lo uscirà nell’autunno del 2015 presso l’editore francese Æncrages & Co. Scrive in inglese e francese, traduce, tiene corsi di scrittura creativa e contribuisce regolarmente con recensioni e traduzioni alle riviste di poesia moderna Terre à ciel, Terres de femmes and Recours au poème.
Ecco il suo sito: presque dire.
Twitter: https://twitter.com/SabineHuynh
Facebook: https://www.facebook.com/SabineHuynhLit

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AnneCollongues 2

Foto di Anne Collongues

Come è pervenuta alla poesia ?
Prima di tutto attraverso la lettura. Le prime liriche lette sono state apprese con il cuore a scuola, grazie a degli insegnanti che non ringrazierò mai abbastanza. Mi piaceva molto recitare poesie, soprattutto a me stessa, perché ero troppo timida per esibirmi in classe. Ne ho lette molte anche alla Biblioteca Comunale, e devo ringraziare tanto i bibliotecari, che mi hanno fornito la “manna” più nutriente della mia infanzia.

Due libri sono stati fondanti, anche se ce ne furono altri: una meravigliosa antologia di poesia francese che troneggiava su uno scaffale sopra la tavola della cucina dei miei nonni, accanto alle “Memorie” del Generale De Gaulle, e che nonno Agostino mi ha donato, dopo aver visto come mi ci immergevo ogni volta che mi trovavo da loro: Les plus belles pages de la poésie française (Le più belle pagine della poesia francese, selezione  del Reader’s Digest, 1982), ottocento pagine, dal Medioevo al XX secolo, con biografie dei poeti e glossario. E poi un favoloso libro di poesia per bambini, intitolato Et patati et patata…, di Krista Bendová (Gründ-Paris, 1966), tradotto dallo slovacco da Zdenka Datheil, illustrato da Mirko Hanák. Non ricordo chi me lo abbia donato, probabilmente una zia. So che si trattava di un regalo perché a casa non avevamo libri, a parte quelli che avevamo ricevuto. Non mi sembra che i miei genitori ne acquistassero, mio padre lavorava in officina, mia madre, quando era in condizioni di lavorare, lavorava come sarta, in nero. Trovo strano oggi mettere in rapporto la loro povertà materiale con una certa “povertà” intellettuale, perché mi dico che io, anche se non avessi molto denaro, cercherei sempre in ogni modo di comprarmi dei libri  (e del resto non ho mai mancato di farlo, anche quando avevo appena le risorse per mangiare), ma come ha scritto il poeta americano Henri Cole, le nostre vite sono molto meno difficili di quelle dei nostri genitori: a loro confronto noi ci limitiamo a sfiorare la superficie delle cose. Così ho ancora quei due libri di poesia, sono quasi quarant’anni che mi accompagnano, ed io trovo la cosa straordinaria, perché ho tanto seminato, perso, dimenticato, tanto lasciato dietro di me passando di continente in continente, di paese in paese, di città in città. La poesia mi è rimasta attaccata alle gonne, fortunatamente per me.

Le prime volte in cui ho avuto coscienza di scrivere in modo creativo, scrivevo delle storie, non delle poesie. Dovevo essere in CE2. Scrivevo in segreto, nella mia camera, unicamente per me, e nascondevo i testi, dopo aver piegato ripetutamente i fogli: le prime poesie scritte in francese datano all’anno della CM2. Realizzo oggi che avevo nove anni, perché ero entrata al CP all’età di cinque anni, mi avevano fatto saltare il primo anno di scuola materna. Il mio maestro di CM2, P.-L. Paquien, avendo notato che mi piaceva scrivere, segnalò alla classe che avrebbe lasciato un quaderno vergine al fondo dell’aula, per quelli di noi che avessero voluto scrivervi in libertà i nostri pensieri durante la ricreazione, in modo anonimo. Sulla copertina c’era scritto “Il quaderno dei Poeti”. Ero la sola a farlo. Mi ci divertivo perché credevo che sarebbe rimasta sconosciuta la mano che scriveva i testi ludici che consegnavo. Poi è stato preparato uno spettacolo di fine anno con i miei compagni, un’opera in cui si rappresentavano i giochi di una ragazzina che aveva appena perso sua madre. Si dovevano scrivere delle frasi in forma di poesie per i nostri personaggi. Io recitavo il ruolo di Gugusse la pulce, la confidente della ragazzina. Ho scritto le mie battute in quattro e quattr’otto, con rime e tutto, e questo mi divertiva follemente, mi lasciavo andare, mentre ero una bambina patologicamente timida, muta, paurosa. Essendo già il “negro” (la scrittrice occulta) della mia classe (per i compiti, i temi…), non mi son fatta pregare per “aiutare” la penna, il robot, la tomba, e non so chi altri, a scrivere i loro pezzi.

Lo stesso anno avevo scritto poesie per un giornale di classe che si era realizzato per raccogliere fondi per l’Unicef, per costruire un pozzo in Bangladesh. Furono le mie prime poesie pubblicate in francese. Scrissi le prime poesie in inglese in Inghilterra, dove vivevo, poi negli Stati Uniti, dove ho anche vissuto. Pubblicai le prime poesie in inglese, liriche scritte a seguito all’incontro nel 1993 a Lione, avevo 21 anni, con il poeta Allen Ginsberg.  Riferisco di questo incontro decisivo e del rapporto che la mia poesia in inglese ha avuto con quella di Ginsberg nel mio libro Avec vous ce jour-là/Lettre au poète Allen Ginsberg (Con voi quel giorno ! Lettera al poeta Allen Ginsberg), pubblicata dalle Edizioni  Recours au poème éditeurs, 2014.

(Ho risposto in maniera abbastanza dettagliata alla domanda sulla “prima poesia scritta” nel numero 22 della rivista Paysages écrits, di Sanda Voïca e Samuel Dudouit.)

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Foto di Anne Collongues

Ci parli delle sue attività poetiche, delle sue collaborazioni artistiche e pubblicazioni
C’è un mio modo di scrivere personale, quando riesco a trovare il tempo (trovo che con un bambino piccolo sia difficile definire e rispettare l’impiego del tempo), e, come sapete per esperienza, qualche volta ci sono delle pubblicazioni che portano a letture pubbliche, viaggi, incontri, scambi, con altre persone che scrivono, che creano. La scoperta di altri universi artistici induce a sua volta la voglia, in me o in altri, di lavorare insieme. Ci sono anche dei collaboratori artistici che apprezzo enormemente, perché imparo altrettanto sull’altro e sul suo modo di pensare, di creare, che su me stessa, segnatamente sui miei limiti, e mi pongo delle sfide in cui mi aspetto di essere aiutata da loro a superare certe apprensioni.

Così ho avuto la fortuna e l’onore di lavorare con la poetessa Roselyne Sibille, per una silloge a quattro mani che abbiamo intitolato La migration des papillons (La migrazione delle farfalle), edizioni La Porte, 2013. Ho anche collaborato con l’artista Christine Delbecq: ha realizzato delle interessanti opere con gessetti neri per la mia raccolta Les colibris à reculons (I colibrì a ritroso, edizioni Voix d’encre, 2013) dopo la lettura dei testi. Nell’ottobre 2014 siamo state invitate a esporre l’opera di Christine in una mediateca francese (Médialude, a Saint-Apollinaire) ed a leggere e presentare le mie poesie. È stato meraviglioso. Ho anche lavorato a diversi progetti con il pittore André Jolivet, quaderni d’artista ma anche un gran libro d’artista, presentato in un cofanetto: Tel Aviv/ville infirme/corps infini, bilingue francese-ebraico, con dieci dipinti originali di André in ciascun dei dieci esemplari. Nel maggio del 2014 l’Istituto francese di Gerusalemme ci ha accolti per una mostra di questo libro d’arte, una lettura delle poesie ed una mostra di fotografie della fotografa Anne Collongues, con cui ho collaborato circa il mio libro En taxi dans Jérusalem (edizioni publie.net, 2013).  Recentemente ho avuto molti contatti con la pittrice Caroline François-Rubino, le cui belle chine accompagnano la mia raccolta di poesie Kvar lo (Edizioni Æncrages & Co, autunno 2015).

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China di Caroline François-Rubino

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China di Caroline François-Rubino

Io lavoro sola nel mio studio, certo, ma mi preme collaborare artisticamente con altre persone, perché bisogna tenere le finestre aperte, per far entrare l’aria: così mi piace lavorare in binomio, e persino in équipe, dare il mio contributo a riviste letterarie in qualità di correttrice o di cronista, di lettrice, di traduttrice: Terre de femmes (curata da Angèle Paoli), Terre à ciel (curata da Cécile Guivarch), Recours au poème (di Matthieu Baumier e Gwen Garnier-Duguy)… Ho anche partecipato ad antologie di poesia, ad opere collettive, segnatamente con le Edizioni Rafael de Surtis. Ho lavorato in équipe quando ho diretto il progetto dell’antologia poetica pas d’ici, pas d’ailleurs, edita con  Aurélie Tourniaire ed i poeti Angèle Paoli e Andrée Lacelle. Non dimentichiamo gli scambi regolari che intrattengo con i poeti che traduco o che ho tradotto (come Uri Orlev, Seymour Mayne, Richard Berengarten, Claudia Azzola, Kyoko Uchida, Dara Barnat, ecc.). Sono in costante contatto con dei poeti di qui, a Tel Aviv dove vivo, e partecipo regolarmente a serate di poesia in lingua inglese, provo ad incontrare poeti israeliani, e per finire animo dei laboratori di scrittura. Per parte francese, oltre le letture in libreria cui partecipo di quando in quando, vado ogni anno al Mercato della poesia di Parigi, in piazza Saint-Sulpice. Questo mi permette di rivedere i miei amici, i miei editori, e di scoprirne altri. Sono mossa da una grande curiosità, che devo spesso tenere a freno, perché se non faccio attenzione posso perdere la bussola, ed io perdo il filo, il sonno, la salute. Insomma, si è tutti un po’ così quando c’è la passione, no?

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Gessetti neri di Christine Delbecq

Cos’è la poesia per lei?
E’ una domanda difficile, ma l’affronto con gioia. Sono tentata di rispondere che per me la poesia è insieme tutto e nulla. Niente perché sono in difficoltà a definirla (forse perché è multiforme e polifonica?). Tutto, perché non saprei vivere senza… niente. Niente, perché in me è nata dal silenzio. Tutto, perché è stata rivincita su questo, ed anche sulle grida, che sono e fanno (il) silenzio.

E poi c’è questo legame in me alla libertà di leggere, di ritirarsi in un universo parallelo, di esprimere, di radunare, i sogni, i segni, le voci, di raccoglierli come si conserverebbe l’acqua della pioggia, preziosa, vitale. Un modo di vivere con gli occhi aperti, con i sensi desti, avendo chiara coscienza di possedere un segreto, che ci riposa dal mondo e insieme ci agita dentro.

La poesia per me è il respiro tra la lettura e la scrittura, trasmettere la parola, travasarla. La poesia è anche il prendere la parola, la sovversione linguistica, l’esplorazione di nuove lingue, la ricerca, perché non si sa mai, in fondo, quel che vuol dire, e quando si crede di saperlo non si trovano le parole per dirlo. La metamorfosi che tutto questo può indurre in voi. Ma la poesia per me è anche fedeltà ad un certo modo di essere nel mondo libero.

Più scrivo per provare a rispondervi, più mi dico che vado alla deriva, che non so! La poesia per me è… no, non so. Vivo di questa, vivo così, scrivo così, è tutto, ed è nulla! Sì, un nulla che viene dal tutto, un tutto che viene dal nulla. Tutto, è tutto per me la poesia, tutto l’universo, la vita.

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Libro d’artista, André Jolivet

Mi ricordo improvvisamente che il poeta Olivier Bastide mi aveva chiesto di confidargli la mia “idea della poesia” per il suo blog Dépositions, io gli avevo fornito una risposta abbastanza poetica, la copio qui (la parola libertà ritorna spesso):

La poesia, una lingua, delle lingue… quest’altra lingua… cui la bambina muta che sono stata deve la sua voce interiore, poi esteriore: Essa è dunque dialogo, essa lo permette, espandendo l’universo, e può condurre, nel migliore dei casi, a una forma di intelligenza possibile. Vi ho trovato la mia casa. E mi protegge anche fuori.

Questa lingua di immensità, d’orizzonte… senza la quale non avrei potuto vivere, ma di fronte a cui mi sento spesso impotente, balbettante, balbuziente.

Questa lingua segreta ed inedita – non detta, non ancora detta, e forse con qualcosa di innato, ciò che non significa ch’essa non sia da elaborare. Una lingua che non è ereditaria, che non è trasmessa, che non ha nulla di quella materna, e neppure di una lingua straniera, d’altronde.

Questa lingua venuta da vissuti vuoti, così come tutte le lingue che hanno attraversato i miei itinerari ed il mio corpo. La lingua dell’altrove che mi sono creata per poter sopravvivere a questo presente. Vista così, la poesia è anche una vittoria sul reale. Se soltanto… ma sì, bisogna crederci.

Questa lingua d’alluvioni, somma di tante lingue… lingua scritta, modellata, cancellando, a tastoni, perché si è persa la lingua materna: la stranezza di scrivere con delle lingue in prestito, zoppicando alla grande.

Queste lingue – ormeggi sono anche quelle che si sentono in tutti i libri di poesia che si leggono: acque in cui si impara a navigare, e forse ciò che conta, alla fine, è la pratica, il galleggiamento, ed il piacere che questo procura.

Questa lingua che incessantemente mormora o rimbomba nella mia testa come una sorgente o un vulcano, e che spunta soprattutto quando il mio corpo si trova in un elemento liquido, o quando io sono in uno stato ipnagogico o ipnopompico… dunque quando il corpo e lo spirito sono in riposo, in qualche modo, o almeno quando sono liberi dal troppo-pieno del quotidiano. Sì, si tratta di un bagno di lentezza, e di arti intorpiditi, invischiati in un tempo che è loro proprio, fuori dal tempo in qualche modo. Quando non restano che le sensazioni, insomma. Durante questi momenti, in cui si sente che non si può, che non si deve, rinunciare – perché tornare “a terra” è allora un sacrificio arrischiato – la lingua si dispiega, si svolge, si distende molto lentamente, con tante esitazioni, difficoltà, anche con tanta passione. Se si risale fino alla parte più segreta,essa si strappa di dosso la confezione superficiale, lasciandomi tremante, riconoscente.

Questa lingua magica e generosa, perché dà la possibilità di toccare, vestendo di parole, l’invisibile, che altrimenti sarebbe rimasto nell’ordine dell’indicibile. Possibilità insieme terribile e meravigliosa. Dire della notte, della luce, dire della vita e della morte, e tutto ciò che questo implica. Fare risaltare, su un fondo di tenebre, l’estremo rischio senza il quale non si saprebbe vivere (il “bello”?).

La mia idea di poesia si può riassumere forse nella libertà che le devo. La poesia è un albero, una bussola. Personalmente, mi dice dove sono, chi sono, essa mi trattiene e mi tiene, insieme.

(Traduzione dell’intervista a cura di Gemma Francone e Franco Blandino)

Le immagini presenti in questo articolo sono di artisti che hanno collaborato con Sabine Huynh: Anne Collongues (fotografa), Christine Delbecq (pittrice, artista multimedia), Caroline François-Rubino (pittrice), André Jolivet (pittore).

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Foto: Silvia Pio