Trasparenze richiami risonanze

18082008(008)

La poesia di Domenico Alvino.

Breve biografia.
Domenico Alvino, nativo di Luogosano (AV), ha insegnato lingua e letteratura italiana e latina nei licei della Capitale, dove risiede, ed ora svolge attività di poeta, scrittore, saggista e critico letterario.  Impegnato in esperienze teatrali da studioso, autore, interprete e regista, negli anni 1959-65, col regista Paolo Zacchia ha fondato a Roma un “Centro Sperimentale di Arti Visive”; ha lavorato ad un progetto inteso ad inserire il teatro nella scuola in funzione didattico-educativa e condotto una “Scuola Speciale di Recitazione” per incarico del C.E.A., “Centro di Educazione Artistica” del Provveditorato agli Studi di Roma. Nel 1973 è stato recensore letterario del quotidiano «L’Unità».  Ha tenuto conferenze in varie sedi universitarie italiane ed estere su problemi di teoria, storia e critica letteraria, di politica scolastica e di didattica applicata agli studi classici. Da critico militante, è stato redattore della rivista “Pòiesis”. Suoi testi (recensioni, saggi e opere di poesia) sono altresì apparsi su diverse riviste e quotidiani, quali “Otto-Novecento”, dell’Università Cattolica di Milano; “Critica letteraria”, dell’Università Federico II di Napoli; “Gradiva”, “International Journal of Italian Poetry”, State University of New York; “Riscontri”; “La Mosca di Milano”; “Galleria”; “Fermenti”; “Cartevive”, “Bollettino dell’Archivio Prezzolini e degli Archivi di Cultura Contemporanea della Biblioteca Cantonale di Lugano”; “Ambra”, “Annuario del Dipartimento d’Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia della Scuola di Studi Superiori Daniel Berzsenyi di Szombathely”, Ungheria; “Altro Parnaso”, I libri di “003 e oltre”; “Atene e Roma”, organo dell’Associazione Italiana di Cultura Classica; “Nuova Secondaria”; “Il Tempo”. Ha elaborato un dispositivo di analisi critica, denominato “critica operazionale”, il cui saggio fondativo, col titolo Poesia e riscrittura di poesia: un modello teorico, è pubblicato su “Aufidus”, rivista di scienza e didattica della cultura classica, anno XIII, n. 39, Kepos Edizioni, Roma, dicembre 1999. Oltre a vari componimenti apparsi occasionalmente su riviste, i libri di poesia pubblicati sono: Il suono d’ombra, Ragusa, Cultura Duemila Editrice, 1992, con prefazione di Concetta Fiore; Dove si formano le piogge, Cittadella (PD), Nuove Amadeus Edizioni, 1996, con prefazione di M. L. Spaziani; L’aria inorientata, Roma, Lo Scettro del Re, 2001.

Delle altre opere di saggistica, vengono qui indicate alcune tra le più notevoli: La poesia performativa di Giovanna Sicari (2000, in “Fermenti”, anno XXX, n. 222, Roma); Ipotesi sull’idea di poesia e figura del poeta in Paradiso, di G. Linguaglossa (“Poiesis”, 2002, n. 26-27); La teologia della soglia sottratta nella poesia di L. Canciani (ivi, 2002, n. 23-24);  Monismo androcosmico in Acronico, di G. Pedota, “Poiesis” (2005, numero speciale 32). Un tipo di pratica  intertestuale: la traslazione semantica nell’hodoeporicon di Attilio Bertolucci (“Critica letteraria”,  2005, anno XXXIII, fasc. I, n. 126, Napoli); L’idea della vita nella poesia di Attilio Bertolucci (Ivi, 2005, anno XXXIII, fasc. IV, n. 129), La costruzione del presente nella poesia di Attilio Bertolucci (Ivi, 2006, anno XXXIV, fasc. II, n. 131); Un particolare tipo di riscrittura: la clonazione poetica (2005, “Ambra”, anno V, n. 5, Szombathely, Ungheria); Ungaretti riscrittore di Virgilio? (2005, anno VI, n. 6. Szombathely, Ungheria; Fare libro insieme, in Atti del convegno, Poesia del Novecento tra Liguria e Piemonte, Genova, Claudio Zaccagnini Edizioni, 2006, Febbraio, pp. 155-172; La funzione poesia, una ricerca applicata, in Con dottrina e con volere insieme, saggi, studi e scritti vari dedicati a Béla Hoffmann, Savaria Universiti Press, Szombathely, 2006, pp. 259-274. Membro del Cenacolo dell’Associazione culturale Rossella Mancini, nel 2004 ha tenuto un corso sulla critica operazionale, di cui ha dato conto in due saggi, Concetti base della critica poetica operazionale e Critica operazionale: prove applicative sull’elocutio, pubblicati sul sito dello stesso Cenacolo. Ivi è possibile leggere anche uno studio su Intelletto ed emozione in poesia, ed un altro dal titolo Il problema del linguaggio in poesia.

È stato anche prefatore di libri di poesia, e molti suoi componimenti, in lingua e in dialetto, sono apparsi in rete, dove sono tuttora leggibili.

Dei critici che si sono occupati della sua produzione letteraria si segnalano: G. Capocefalo in Dove si formano le piogge, rileva «la tradizione letteraria rielaborata e personalizzata e rapportata all’esigenza del proprio tempo»; M. Petrucciani in Il suono d’ombra, sottolineata «l’attenzione sagace alla parola, alla costruzione», trova che il risultato è «sempre denso di risonanze profonde»; D. Pisana, in Dove si formano le piogge, avverte una «poesia ricca d’ansia cosmica»; S. Saluzzi definisce «Toccata e fuga, un racconto di delicate pulsazioni»; F. Ulivi addita in Il suono d’ombra, «un linguaggio attento all’eco classica e alla temperie moderna»; S. Gros Pietro vede ne L’aria inorientata «una grande festa tra archivio ed enciclopedia, tra ragione ed azzardo, tra emozione e logica dei segni e dei sogni»; G. Gangemi individua in Dove si formano le piogge «un linguaggio lirico finalmente universale»; L. Nanni fa notare in L’aria inorientata un «movimento versificatorio assai duttile, perforato da luminose intuizioni…» e aggiunge che «il modello sembra risiedere nel profondo con la sua purezza che sa percepire risonanze ed echi nascosti». Infine, Giorgio Linguaglossa e Donata De Bartolomeo sono intervenuti in diverse occasioni sempre con osservazioni generose e molto pertinenti.


Quando e come si è avvicinato alla poesia?
Posso quasi dire che io non “mi sono avvicinato” alla poesia, ma ci son nato dentro, non per altezza d’ingegno, ma per vicende di mio nonno e di mio padre, e un poco anche per la solitudine abbandonata del paesino scosceso giù per una valle del Calore, in Irpinia, dove son nato ed a cui la sorte volle far beffa chiamandolo Luogosano, mentre era tutto rotto di storia, di cultura, risorse e quant’altro serva a fare umani degli esseri che appena diresti che respirano. Mio nonno Domenico, falegname forestiero, lì approdato nel 1896 ponendo le traverse alla ferrovia allora in costruzione tra Avellino e Rocchetta, vi prese residenza e moglie e vi portò il teatro, che fu il primo lampo di cultura esploso in quel paese. Attore dilettante, vivace interprete di Pulcinella, suscitò compagnie occasionali di cui s’inventava spassionato capocomico e regista ingegnoso. Mio padre, Gerardo, inguaribile lettore di Ponson Du Terrail, di Shakespeare, Dostoievsky e di quanti libri, lui che a stento metteva insieme pranzo e cena, riusciva ad avere in prestito da amici e conoscenti, continuò l’opera paterna sia nel mestiere di falegname che nell’avventura teatrale, dove fu attore comico ma soprattutto tragico, regista e autore di drammi e commedie (benché avesse appena la terza elementare!). Fu lui che travolse anche me in questa grandine di follie, onde fui attore all’età di circa dieci anni, sognatore e poeta d’istinto quando la vita mi vi spingeva attraverso sogni e versi che perfino a malgrado mi salivano alle labbra.

Cos’è la poesia per lei?
Ecco, appunto, io mi picco di sapere la definizione di poesia, con grande scandalo di tutti coloro che amano pensarla indefinibile, credo per malia di romanticismo anacronistico. Non so se anche voi ne abbiate l’idea, o se siate come me indisponibili ad ogni conformismo, e disponibili invece a prestare un poco ascolto a un mattoide come me. Comunque sia, ecco qui il corpo del reato:
Modello di poesia come attività creativa
«La poesia come attività creativa è un insieme di operazioni che convertono un testo (T1) o sistema di simulazione primario, nella sua interezza bidimensionale di macrosegno (Dlc1Dc1), a dimensione linguistico-compositiva (Dlc2) di un altro testo (T2) o sistema di simulazione secondario (Ss2 ) con una nuova dimensione concettuale (Dc2), disponibile a schiudersi in successive interne dimensioni (Dc2-I) in numero indefinito».
Modello di poesia come testo realizzato:
«Dicesi testo poetico (T2) un dispositivo fonico-verbale dalla dimensione linguistico-compositiva integralmente semantizzata e stratificata in modo che uno strato sia il rivelatore di quello sottostante, e questo di quell’altro ancora, in un sistema complesso di trasparenze, richiami, risonanze e consonanze».

2013-10_238

D’ANTAN

Eros amore che monti
a fare
chiasso nelle foglie
mutile
in un macero
che nessuno ci vorrebbe
a dire viene la dolcezza
e sentirla venire
alle carezze
nella luce spenta
delle pelli vizze
o sul tenero tremore che appena
verde eccolo cadere in niente
cronaca di niente
in una storia
inutile
viene sera
e noi
sempre noi d’antan
col paniere vuoto
nel cavo
dell’inguine
avete visto uccelli
che tornino a respiro d’anno
e poi svoltando
dietro l’ora sesta
niente più che l’aria
non altro che l’aria
appena smossa sotto i cipressi.
Questo dicevo stando sulla porta alle voci
festaiole
che poi venne giù una pioggia
e dovetti rientrare
con le ossa già sul cancello diacce
e nessuno
nessun gallo a cantare.

Roma, Venerdì 8 marzo 1996, h. 11.51.45.

***

EURICLEA
(da Eujruvkleia, “di larga fama”. Altri, chi sa come, intendono “colei che porta le fiaccole”).

Quella che porta le fiaccole
non sempre giunge
in tempo
si spengono le orme
anche prima
con abissi da colmare
tramonti e tramonti
si spengono
le sue orme
sulle strade di periferia
per i vicoli tortuosi di città
dove non poco è il silenzio
di paesi e di villaggi
sulle rive della sera.
Quella che porta le fiaccole
non giunge
nelle parole amasie
in uno fermo in un infantile
occhio
in un cenno mieloso.
Non giunge
non giunge Euriclea antica
nel gesto sulla porta che esclude
dalla luce della casa
il fratello che se ne va reclino
chissà dove
a portare i suoi piedi smorti
le sue mani vuote.

Né Euriclea giunge nello sguardo
del padre cupido sul tremore
denudato della figlia
né dentro il riso che spezza le attese.
Sono finite fiaccole
fabbriche chiuse, negozi
cancellati
i posti
nelle case
dove ora
c’è una luce scialba.

Roma, 4-8-98.
(Guida alla ricerca del testo referenziale o di prima testualità.
Qui le fiaccole metaforizzano il lume della coscienza, che fa vedere il male che si sta per compiere e blocca il gesto a mezzo).

***

GREMBI

Si dicono giorni
fuori della bocca respiri
a fare memoria
con nessuno nello specchio
e nel dietro
l’uno risucchiato dalle spalle
verso grembi altissimi si dirigono i ceri,
gli stendardi
i guidatori di biascichi
d’una falsa vedova gli sguardi chini
e d’una coppia d’anziani
tèrrei di voglie
dallo sguardo
oscenamente acceso chiedevano
dove guidare
senza bussola,
senza
testa…
C’era solo un poco d’alcool nella bottiglia
l’ha scordata il ragazzo
e una fuga di balconi su
ed ultimo
il pensiero forse
un gancio
la vertigine chiusa negli occhi
c’era molta notte in giro.

Roma, 3 marzo 2000

***

CROLLI

Non vivam sine te, mi Brute
exterrita dixit Portia [1] e di lì a poco trafiggendosi
roteava gli occhi
in cerca delle case
acherontee le si fecero incontro
per l’albedine socchiuso
il loro dolore antico sulle palme
offrendo all’ospite
come vino
sulla soglia.
Ci donammo all’uomo
dissero
ed ecco i crolli
che c’inseguono mentendosi dimore
colme di baci accoglienti.
Lei era a mezzo tra l’andare
e il giungere
una mano all’indietro tesa
e un volto di paura
alla buia meta alla
terribile accoglienza
ma ancora arsa la bocca di fuoco
sentiva là in mezzo incipiente
uno scricchiolio uno
scuotersi
ai piedi traballanti.
Era cominciato dunque
di alcove
e gentili danze per musiche
ad ammucchiarsi
nell’istante
il sisma.
E così allora
una mano al petto premendo
sia
disse
il mare[2].

24 gennaio 2006

[1] Non vivam sine te, mi Brute exterrita dixit Porcia…Epigramma trovato alla British Library di Londra, nella copia di un’edizione cinquecentina (Rime della divina Vettoria Colonna Marchesana di Pescara, di nuovo ristampate, aggiuntovi le sue stanze e con diligenza corrette, 1539. – Al dottissimo Messer Alessandro Vercelli Philippo Pirogallo) scritto sul foglio di guardia che precede il frontespizio e attribuito a Thomas Musconius. Segnalazione riportata in Vittoria Colonna, Rime, a c. di Alan Bullock, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli, 1982, p. 259. Porzia, figlia di Catone Uticense, fu moglie di Marco Calpurnio Bibulo (+ 48 a.C.), mediocre personaggio politico, collega e avversario di Cesare. Da lei ebbe, unico figlio, Lucio Calpurnio Bibulo.  Porzia fu chiesta poi in moglie da Quinto Ortensio Ortalo (114-50 a. C.) per averne prole, ma gli fu rifiutata, e allora egli chiese a Catone di dargli in sposa la propria moglie, Marzia, figlia di Lucio Marcio Filippo. Avutone il benestare dal suocero, com’era costume e senz’altro fine che il proletario, Catone la concesse all’amico, il quale morendo la fece ereditiera. Non per questo, pare, Catone accettò di riprendersela, ma dietro insistente preghiera di lei, secondo la rappresenta Lucano, Pharsalia, II, 326-29; 337-44. Ne fa menzione luminosa anche Dante in Purgatorio, I, vv. 76-93, ma alquanto più dettagliata è la storia che si trova in Plutarco, Cato minor, 25, 4-9. Quanto a Porzia, «che in seconde nozze sposò l’assassino di Cesare, Bruto, dopo la morte di questi venne celebrata come la più eroica delle vedove. Quando Bruto venne ucciso a Filippi, infatti, (alla notizia ferale) Porzia decise di suicidarsi, e vi riuscì, nonostante ogni sforzo dei familiari per impedirglielo. Avendo costoro nascosto tutte le possibili armi di cui ella avrebbe potuto servirsi, Porzia ricorse a un mezzo estremo, e pose fine ai suoi giorni mangiando carboni ardenti (cfr. Marziale, Epigrammi, I, 42; Valerio Massimo, Factotum et dictorum memorabilium, IV, 6, 5. Eva Cantarella, Matrimonio e sessualità nella Roma repubblicana: una storia romana di amore coniugale. In Storia delle donne, 2005, pp. 115-31.

[2] Apparsa in AA. VV., La giusta collera. Scritti e poesie del disincanto, Piateda (SO), CFR Edizioni, 2011, pag. 161.

***

GIANNA

Gianna, chiama la donna la ragazza
a braccetto
pare
che le s’inondi
nel suo dove
e sono una folata di sogni
a correre un mondo dentro.
Dove qui fuori sono stelle
e universi
galassie e nebulose?
Niente.
Tutto in loro a indentrarsi
come
luna a mare, come
ombre nella notte,
che non chiami buia più
ma chiusa
nello sguardo di un dio
solo:
vi s’india il dentro
del miracolo
che fa il nome donna.
E perché ne son rimasto fuori
io
qui?

Roma, sabato 3 marzo 2012.

(foto di Lorenzo Avico)