Intervista a John Irving Clarke

IntervistaSILVIA PIO chiacchiera con il poeta inglese:

Domanda: John I. Clarke, scrittore, poeta, insegnante in pensione. Che altro?

La lettura fa parte di tutto quanto detto prima. Non è possibile scrivere poesia e non leggere quello che gli altri hanno scritto e scrivono. Tengo un corso di scrittura creativa per adulti: tutte persone simpatiche, ma hanno intenzioni serie a proposito della scrittura mentre dovrebbero cogliere il messaggio a proposito della lettura.

Mi piace anche camminare (soprattutto ora che il mio sogno di diventare una stella dello sport si è necessariamente affievolito). Vicino a dove vivo ci sono le rovine di un castello, un bacino idrico e una riserva naturale. Sono luoghi ideali per andarsene in giro. Durante l’estate mia moglie ed io abbiamo passato una settimana al Lake District, senza dubbio famoso anche per essere meta di camminate.

Camminare permette di pensare e non sorprende che questo di rimando conduca alla poesia.

D.: Quando hai cominciato a scrivere, e scrivere poesia?

Per quanto mi ricordo, ho imparato a leggere abbastanza facilmente e da bambino leggevo molto. Anche scrivere è un’attività che ho praticato presto. Quando avevo otto anni sono stato così fortunato da avere come insegnante la signora Procter. Scrivere racconti era una parte fondamentale nel suo modo di insegnare ed io mi divertivo un sacco.

Non ricordo quando iniziai a scrivere poesia ma so bene che quando ero nel coro della chiesa ero circondato dalla poesia della Bibbia e del libro degli inni. “Colline del nord esultate!/Valli e oceani cantate” mi è sempre sembrato un esempio appropriato.

Andando avanti nella carriera scolastica all’età di sedici anni ho scelto di studiare letteratura e questo mi portò in stretto contatto con la poesia, particolarmente con W.B. Yeats e Wilfred Owen; mi sono poi imbattuto, anche se non erano nel programma, in Seamus Heaney e Ted Hughes, i quali influirono molto entrambi su di me.

Ho mandato la mia prima poesia a Raven, una rivista letteraria, nel 1980. La poesia fu accettata e pubblicata. È stato facile, ma ne sapevo poco allora.

D.: Che cos’è per te la poesia? E la scrittura?

Pietre di paragone dell’esistenza.

D.: Tieni laboratori diretti a giovani e adulti, uno di questi si chiama “Racconta la tua storia forte e fiero”, ed è finalizzato alla fiducia, all’autostima e al linguaggio parlato piuttosto che a quello scritto. Ci vuoi dire qualcosa di questa tua attività?

Le storie stanno nell’essenza di ciò che siamo, del luogo dove veniamo e di quello dove vorremmo andare. Le storie ci danno la nostra posizione e la nostra direzione. Una vita senza storie o, altrettanto fondamentale, senza l’opportunità di raccontare le nostre storie, è una vita senza nutrimento. C’è abilità nel raccontare storie, e questa a sua volta conduce all’espressione e all’arte, alla letteratura e al processo creativo. Il laboratorio “forte e fiero” è veramente un tentativo di dare alle persone il permesso di raccontare le loro storie, di liberare quelle storie che altrimenti resterebbero sepolte.

D.: The Red Shed Poets è ciò che ti ha portato in Italia. Come è cominciata l’iniziativa?

Quando insegnavo sono stato contattato dal un ex studente che aveva terminato gli studi in arte drammatica. Era diventato un uomo di spettacolo e uno scrittore per il teatro, ed era sempre di più coinvolto nella poesia e nella rappresentazione della poesia. Mi scovò perché sapeva che il mio interesse nella poesia si estendeva al di là dell’insegnamento. Nello stesso periodo un ex collega mi disse che anche lui stava indagando sulle possibilità della poesia. Era anche un musicista di talento e aveva suonato e fatto spettacoli con numerosi gruppi, ma la poesia lo attirava di più. Devo dire onestamente che entrambi stavamo cercando una direzione da prendere. Suggerii l’idea di mettere giù un libretto di poesie e di organizzare un evento per presentarlo. Ecco come Jimmy Andrex, Gareth Durasow ed io arrivammo a produrre “Too Many Villains”. Prenotammo un luogo chiamato Red Shed (capanno rosso) dove presentammo il libro insieme ad un intervento musicale. Rimanemmo meravigliati della risposta del pubblico. Per caso avevamo usato una formula molto semplice ma che attirava le persone, le quale erano disposte a pagare per assistere. The Red Shed Readings, le letture nel capanno rosso, hanno luogo il primo giovedì dei mesi invernali da più di cinque anni.

D.: Questa è la prima volta che vieni in Italia. Mondovì non è Venezia né Firenze, che cosa ti aspettavi e che cosa pensi di trovare ora che ci sei?

Mi aspettavo di trovare persone a Mondovì con delle storie da raccontare, come in qualunque altro posto. Ora che sono qui, e parlo anche a nome di mia moglie, dico che siamo stati davvero bene. Ritorneremo!

Grazie, John. Aspettiamo di leggere le tue storie e le tue poesie ispirate dal tuo soggiorno in Italia.

Si veda l’articolo sul reading di poesia “Da terre a terre”:  http://www.margutte.com/?p=2287 e l’articolo sulla poesia di John Clarke http://www.margutte.com/?p=2093

Foto di gruppo. Al centro, John con, alla sua sinistra, la moglie Julie. (La foto è di Liliana Fantini)

Foto di gruppo. Al centro, John con, alla sua sinistra, la moglie Julie. (La foto è di Liliana Fantini)