Il peso del ricordo

Il peso del ricordo 001

FRANCES FAHY
Afferrando il braccio della moglie sbigottita, Andrew Elliot schizzò fuori da quello che una volta era il suo mercato ortofrutticolo preferito di Palermo, a un tiro di schioppo dall’università dove erano entrambi lettori fino a circa quattro anni prima. Un periodo che ora sembrava non appartenergli più.
Un periodo di normalità.
La guidò tra i passanti verso il vicino parcheggio.
“Entra in macchina Carol!”
Gli occhi continuamente puntati sullo specchietto retrovisore della macchina noleggiata, Andrew si diresse in silenzio velocemente verso l’aeroporto di Palermo dove erano atterrati quella stessa mattina.
Restituirono le chiavi della macchina al banco noleggio, acquistarono due biglietti last-minute e salirono sul volo per Roma.
L’aereo era in volo prima che Andrew proferisse parola.
“Ho visto il killer al mercato” sussurrò.
“Cosa?” chiese Carol attonita.
“Era la guardia giurata.”
“Andrew, cos’è successo là dietro?”
“C’è stato qualcosa della sparatoria che mi è sfuggito fino a oggi.”
“Oh, no!”
“Quel giorno avevo visto un tatuaggio: una spada sull’avambraccio dell’uomo e oggi l’ho rivisto.”
“Ne sei sicuro?”
“Sì. Oddio!” ansimò.
“Ti prego, Andrew. Non…!”
“…quando ha infilato una patata in bocca all’uomo ucciso.”
Si coprì il volto.
Carol cercò di farlo ragionare.
“Basta, è finita. E non parlarne mai con nessuno. Prometti.”
“Ma io…” Andrew avvertì che qualche passeggero accanto li stava osservando.
“Pensa a Isabel”, insistette Carol.
“ È sbagliato non denunciare.”
“Non puoi risolvere tu i delitti della Sicilia.”
“Potevo identificare l’assassino.”
“ È inutile. Cerchiamo di riposare, Andrew. Prendiamo il primo volo da Roma.”
Allentò la presa sulla mano di Carol e finse di appisolarsi, mentre lei si addormentò subito, la testa sulla spalla del marito.
Che fare? Oggi l’impossibile era accaduto: aveva ricordato.
E adesso? L’ennesimo replay si ripropose. I ricordi lo attanagliavano ancora.
Era andato al mercato con la figlia di sette anni, Isabel.
La sua bancarellista, la vecchia Signora Lucia, la strega di Isabel, che spesso offriva alla ragazzina noci e uva, stava scegliendo le pesche quando dei colpi – di pistola – gli avevano trafitto i timpani. Aveva afferrato Isabel e si erano buttati a terra.
Un attimo di silenzio. Poi il caos.
Allungato sul pavimento Andrew si era trovato faccia a faccia con l’uomo appena ucciso.
Un braccio nudo. Una mano guantata spingeva una patata nella bocca spalancata. Qualcuno curvo su di loro. Sirene. Spettatori ipnotizzati.
Tutti gli occhi sulla mano di Isabel…
… che stringeva una pistola.
Una pistola! Sua figlia con una pistola in mano!
“Per favore lasci la bambina.”
“La tengo io.” Sentì il bisogno di stringerla.
Carol era rannicchiata accanto. Lei, almeno, aveva momentaneamente dimenticato.
Per quanto l’odiasse, continuò ad andare a fondo nel guazzabuglio di ricordi. Indagini. Colloqui. Battaglie legali. Isabel sotto shock. Carol isterica. Problemi al lavoro. I media che avevano assaporato lo scoop. Padre e figlia coinvolti in un agguato mafioso. Lui voleva sferzare l’opinione pubblica. Invece, erano emigrati, fuggiti anzi, in Australia, dove Isabel aveva iniziato a raccontare storie pazzesche su Palermo. Era diventata aggressiva e difficile da gestire. Schivati dai vicini sospettosi, avevano cambiato casa due volte prima di tornare a Londra, dove una sera Isabel li aveva sorpresi annunciando:
“La strega non mi perseguita più da quando siamo tornati a casa!”
Lui, però, perseguitato lo era ancora. La scena continuava a ripetersi come in un film.
Su consiglio dello psichiatra erano tornati recalcitranti a Palermo.
Stamattina erano entrati nel mercato. Lui aveva riconosciuto a stento la vecchia Signora Lucia, né c’era stato alcun segno di riconoscimento da parte di lei. Poco male. Solo un vocio di mercato e persone in giro a badare agli affari loro e scambiarsi battute.
La cura non è qui, ricordò di avere pensato mentre lanciava in giro un’ultima occhiata.
Fu allora che aveva visto il braccio. La guardia giurata in camicia a maniche corte, seduto all’ingresso del mercato, col quotidiano in mano.
La spada tatuata! La patata!
Ansimando, aveva acciuffato il braccio di Carol. La guardia li stava osservando? No, era immersa nella sua lettura.
Erano fuggiti. Di nuovo.
Mentre l’aereo si avvicinava a Roma, lui lottava con l’amarezza, il rimorso, la rabbia. Aveva assistito a qualcosa di così disgustosamente malvagio da esserne rimasto contaminato.
Quattro anni d’inferno e nessuno a risponderne!
Troppi. Rivoleva la sua vita.
Sicché era quella l’omertà siciliana – non vedo, non sento, non parlo -. Quello era un fatto di cui lui non sapeva nulla. Sarebbe stato anche il suo motto.
Che quei bastardi continuassero i loro rivoltanti eccidi.
Aveva ragione Carol.
Era finita.
Avrebbero ripreso la loro vita. Avrebbero rimesso insieme la loro famiglia.

(Traduzione di Giuliana Manfredi)