27. Progetto di “rifondazione sociale”. educare per un atto d’amore

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DINA TORTOROLI

La fierezza con cui Samuel Dupont si compiace delle proprie scelte di vita, dettate da un interesse più generale, più nobile, più fraterno dell’interesse privato, riporta alla mente sia l’autostima dichiarata anche da Gio. Carlo Imbonati nel poemetto La Résignation sia l’elogio – da rendersi  pubblico e solenne all’apertura del suo Testamento – del vero disinteressato attaccamento di Giulia Beccaria.
Gran parte del merito spettava anche ai suoi educatori.
Si sa che dai dieci ai quindici anni, in cui fu cura e diletto del Parini, Carlo bevve soprattutto quelle parole che ispirano virtude e impegnano i privilegiati a essere degni del proprio illustre sangue. Inoltre, lui sentì esaltare a iosa l’atteggiamento virtuoso, anche durante le riunioni accademiche dei Trasformati, cui il padre lo faceva partecipare.
Si trattò di “esperienza narrata o trasmessa”, non  di “esperienza fatta”, direbbe Paulo Freire*.
A Roma, però, abbiamo visto il collegiale Imbonati, dai diciassette ai vent’anni, a fianco di giovani provenienti da diverse regioni d’Italia e d’Europa, impegnato quotidianamente in nove ore di studio, e – nelle rimanenti – in esercizi di cavallerizza, di scherma, di ballo, e in attività teatrali, e nell’apprendimento di lingue straniere: occupazioni ritmate da momenti non brevi, dedicati a esercitare la capacità di ascolto di sé, per vedere con chiarezza le proprie priorità e recuperare la propria histoire de l’âme.
Possiamo quindi immaginare che fin da allora un imperativo, convintamente interiorizzato, gli comandasse di “fare”, proprio come viene detto in una delle digressioni sopra principi che connotano Fermo e Lucia (tutte drasticamente estromesse dai Promessi Sposi), cui ho già accennato, ma che ora è opportuno leggere con particolare attenzione:
«Il genio è verecondo, delicato, e se è lecito così dire, permaloso: le beffe, i clamori, l’indifferenza lo contristano: egli si rinchiude in sé, e tace. O per dir meglio prima di parlare, prima di sentire in sé le alte cose da rivelarsi egli ha bisogno di misurare l’intelligenza di quelli a cui saranno rivelate, di trovare un campo dove sia tosto raccolta la sementa delle idee ch’egli vorrebbe far germogliare: la sua fiducia, il suo ardimento, la sua fecondità nasce in gran parte dalla certezza di un assenso, o almeno di una comprensione, o almeno di una resistenza ragionata. […] Ma v’ha pure di quegli ingegni ai quali è per così dire comandato di fare; e questi tenendosi in comunicazione con un’altra età o con un’altra società d’uomini, dicono ai loro contemporanei cose che questi ascoltano da prima con disprezzo o con indifferenza, quindi in parte pure con qualche curiosità quando la fama viene dallo straniero ad avvertirli che fra loro vi è uno scrittore imparano un poco mal loro grado, e sono poi quasi tutti concordi sul merito dello scrittore quand’egli ha dato l’ultimo sospiro»**.
Di fatto, dal 1796, Carlo Imbonati visse a Parigi, insieme con Giulia Beccaria, anche se – come dirò – ho motivo di credere che avesse deciso di espatriare non soltanto per essere a contatto con una società d’uomini cui spettava il merito di aver fatto progredire la ragione, ma anche per sottrarsi alle ricerche, scatenate da un furibondo Giove napoletano.
Quanto alle alte cose da rivelarsi, a me pare che coincidano con gli ammaestramenti sintetizzati nel  celeberrimo decalogo – potremmo ora dire somasco-massonico – che il giovane Manzoni immagina di sentirsi proporre dalla voce fantasmatica del benefattore: Sentir, riprese e meditar...
A questo punto, nonostante io apprezzi gli Ideologues, amici di  Carlo, per la loro  scrupolosità nel non attribuire mai a semplici supposizioni la consistenza dei fatti, trovandomi di fronte a situazioni che si incatenano del tutto naturalmente, sono indotta a credere sempre più fermamente che il verosimile possa coincidere con la verità.
Pertanto, ora oso affermare che l’invio al Concorso di Parma di una Commedia massonica che mostra in filigrana il “caso Mirabeau”, si connota come gesto politico di un intellettuale militante, in grado di collaborare alla  realizzazione di quanto stava in quel momento a cuore ai “fratelli Massoni” europei.
Che cosa?
Lo si può intuire, leggendo, oltre alle lettere, le opere che Mirabeau scrisse negli anni di prigionia trascorsi a Vincennes: non soltanto l’Essai sur le despotisme già menzionato, ma soprattutto Des lettres de cachet et des prisons d’état: un testo che doveva porre rimedio a quel vuoto di conoscenza dei propri diritti che rendeva gli uomini incapaci di ribellarsi, per ottenere giustizia:
«Intraprendo a parlare degli imprigionamenti arbitrari e delle prigioni di Stato […] Molti scrittori hanno già trattato questo soggetto di fondamentale importanza; ma gli uni hanno dato delle massime generali, senza l’utilizzo, per non averne mostrato l’applicazione: gli altri non si sono permessi che delle mezze verità e queste reticenze pusillanimi prestano delle armi ai cattivi e scoraggiano i buoni. Molti, inaspriti dalle loro sofferenze e attaccandosi unicamente ai dettagli, hanno screditato le loro opere con delle esagerazioni o falsi aneddoti. […] L’unico rimedio  consiste nella possibilità che gli uomini abbiano di giungere a conoscere i propri diritti e le proprie forze, e che la volontà e l’interesse generale, vale a dire la giustizia, siano un giorno, grazie ai progressi dell’istruzione, la legge universale e fondamentale delle società, ugualmente obbligatoria per i loro capi e tutti gli individui che le compongono» (Des lettres de cachet et des prisons d’état, edizione 1820, disponibile in rete, p. 7).
Per ora, ignoriamo l’identità dei Massoni che fecero conoscere al milanese Imbonati il contenuto di quell’opera, resa pubblica soltanto nel 1782, ma i vaghi accenni di più di uno studioso a viaggi di Carlo in Europa, dopo il suo ritorno a Milano, suggeriscono che egli avesse voluto, fra l’altro, riprendere contatto con ex allievi del Clementino.
Alcuni loro nomi potrebbero quindi essere ricavati dal manoscritto del Padre Paltrinieri, in cui è compresa anche la scheda biografica di Carlo Imbonati (Biografia di seicento circa uomini illustri per dignità ecclesiastiche o secolari o per cariche civiche, politiche, militari o per letteratura, e santità i quali furono educati nel Collegio Clementino di Roma diretto da’ Padri della Congregazione di Somasca).
Avendo accesso ai loro archivi familiari,  si potrebbero ottenere non poche informazioni utili, ma  per adesso importa tornare al documento che possediamo: un testo teatrale che non solo conferma il ruolo di educatore dell’Imbonati, rivelato da Falquet-Planta (puntata 21), ma addirittura lo mostra intento alla realizzazione del progetto educativo massonico, affidato a Mirabeau, la cui liberazione si stava, però, rivelando più difficoltosa del previsto.
Carlo, dunque, lo condivideva; anche se il suo modo di procedere è agli antipodi di quello di Gabriel-Honoré, come opposto era il loro stile di vita.
Basti dire che la denuncia dei mali è affidata al Governatore della Bastiglia, vale a dire a un detentore del potere.
L’Imbonati si rivela poi particolarmente reticente nel fornire indizi circa il tempo dell’azione, nonostante noi abbiamo già constatato che la veridicità della storia narrata è per lui un dato imprescindibile.
Sicuramente non si tratta del XVIII° secolo, in cui si cessò di assegnare denaro ai prigionieri, per il loro mantenimento, mentre il servitore Giacomo, a cui il Governatore raccomanda di serbare il gran segreto dei suoi  convegni notturni con i prigionieri Riccardo e Roberto, dice tra sé:  «Quand’anche mi vedessi un laccio al collo / Non tradirei giammai il mio Padrone. / Quei poveri infelici Prigionieri / Meritan questo po’ di passatempo. / Son tanto galantuomini, che quello, / Che loro avanza della lor pensione, / Tutto a me lo regalan. Infelici»*** .
Siamo invece nel secolo precedente, in un anno posteriore al 1682, poiché si parla di Consiglio a Versailles (La Corte – come è noto – si installa a Versailles nel maggio del 1682) e posteriore anche al 1685, epoca in cui la Bastiglia cominciò a circondarsi di mistero, divenendo quella prigione «dove qualsiasi persona, qualunque sia il suo rango, la sua età e il suo sesso, può entrare senza conoscerne la ragione, rimanere senza sapere quanto, attendere di uscirne, senza sapere come» (Servan).
In verità, nel corso del XVII° secolo, un anno potrebbe essere individuato; infatti, è storicamente accertato che “au mois d’octobre 1697” l’allora Governatore della Bastiglia “le sieur de Louviere”, “en fit la dimission”.
Tanta diligenza nell’evitare una precisa datazione non può essere casuale: io ho l’impressione che Imbonati voglia che si rifletta sul fatto che è sempre l’interesse presente che muove a esaminare le cose passate, proprio come è detto nelle pagine del Fermo, che soprattutto mettono in guardia dalla cagione potente d’inganno rappresentata dall’ignoranza oltre che dalle passioni:
«Le passioni s’introducono sempre nei giudizj che l’uomo porta d’un oggetto, d’un interesse presente; e lo fanno traviare. Gli è vero, pur troppo. Ma le passioni non hanno forse una azione anche sugli oggetti lontani? E quegli oggetti non possono forse avere sempre un interesse vivo e potente, se non altro per la relazione, per la somiglianza con le cose presenti? E non è questo interesse che muove principalmente i posteri ad esaminare le passate? Che cercano in quelle più di tutto? Autorità, antecedenti, esempj da seguirsi, o da sfuggirsi, giudizi in somma applicabili ad essi, a ciò che preme loro, che gli agita, che li mette alle mani» ( Fermo e Lucia, cit., p. 730).
Si era nel secolo dei lumi, ma la situazione reale non era migliorata rispetto a quella del secolo precedente: il clima storico dell’Europa anche nel Settecento era, infatti, caratterizzato dal fronteggiarsi di due logiche di potere.
L’Inghilterra, avendo un Parlamento che non consentiva al Re di preporre l’interesse della dinastia a quello del Paese, perseguiva anche interessi nazionali; sul continente, invece, ai Borbone e agli Asburgo era consentito di agire secondo la mentalità dinastica, a costo di sacrificare il benessere dei sudditi.
Inoltre, la Francia avrà guardato con particolare apprensione al contesto britannico, per il pericoloso esempio che poteva venire dalla duplice esperienza rivoluzionaria del 1640 e del 1688-89.
Non si deve infine dimenticare la situazione oltremare, cioè il fatto che nel XVIII° secolo come nel XVII° l’Inghilterra contese alla Francia i possedimenti canadesi.
Pertanto, la maggior disgrazia del misero marinaio Roberto, rinchiuso alla Bastiglia da trenta mesi è perché è Inglese. E l’altro protagonista, Riccardo di Rabson, è ribelle della Corona, che coll’armi in mano fu preso nella guerra cogl’Inglesi nel Canadà.
Purtroppo, la Commedia non ebbe un pubblico ascoltante, perché Parma, nel 1779, non era più laboratorio di tutti gli esperimenti, ma non fu cosa da poco aver sottoposto quel testo all’attenzione  dei componenti dell’Accademica Deputazione, inducendoli a riflettere sul fatto che l’adesione all’ etica massonica avrebbe potuto porre rimedio a una situazione disumanizzante.
E uno di loro, Castone della Torre di Rezzonico, figlio di un Decurione di Como, avrebbe anche potuto essere un destinatario particolare di quel testo “cifrato”.
Veramente non può dirsi cosa da poco un componimento che suscita speranza: la speranza che l’artificiale fraternità creata dall’amore realizzi una piccola società separata che potrebbe estendersi successivamente nei progetti di riforma della società profana (Cazzaniga).
Inoltre, è notevole il fatto che venga detto il nome della città in cui l’utopia stava per diventare realtà, tanto più se si considera la notorietà di Bordeaux, di lì a un decennio.
Non possediamo ancora documenti che attestino l’affiliazione dell’Imbonati alla Massoneria, ma dalla razzìa di testimonianze della sua esistenza nel tempo si è salvato un medaglione con cornice, ispirato alle monete romane (su un fondo scuro, si staglia di profilo, a rilievo, la testa, al disotto della quale spicca il  nome: CARLO IMBONATI).
Alla fisionomia di Carlo è conferito un valore caratteriale e morale, espressione di sentimenti nobili: un’idealizzazione.
Ricorrendo alle parole dell’Umanista Guillaume Roullé, potremmo dire:  «si veggon chiari scolpiti i segni di ogni virtù».
A me, l’excellence de coeur dell’Imbonati comanda di perseverare  nel tentativo di recuperare il suo patrimonio di idee, anche ricreando l’atmosfera sentimentale in cui egli operava,  con l’aiuto delle sue stesse fonti.
Ho citato più di una volta l’ Avocat-Général Servan”, ma ora voglio riportare almeno il proemio e la perorazione finale del suo Discours sur l’administration de la justice criminelle, per far sentire la voce di chi, come Carlo Imbonati, provava un dolor de l’altrui danno che gli comandava di fronteggiarlo:
«En parcourant tous les devoirs du Magistrat, aucun ne m’a paru plus essentiel que l’administration de la Justice criminelle; & j’ai été surpris qu’un sujet si grand fût traité si rarement dans ces discours où l’on s’occupe du bien de l’État & des fonctions de la Magistrature: un simple coup d’oeil découvre dans cet objet mille rapports utiles; & l’émotion continuelle que j’éprouvois en le considérant, m’a fait sentir qu’il n’est pas moins intéressant qu’utile.
Il n’appartient qu’aux hommes éloquens de communiquer leurs sentimens; je suis bien éloigné de me flatter de ce succès […].
Cependant ce sujet & mon zele m’inspirent quelque confiance, il faut même que je l’avoue, je desirerois que tous nos Citoyens m’écoutassent en ce moment: je voudrois leur dire, c’est pour vous, pour vous seuls, pour vous tous que je vais parler; je vais parler pour vos biens, vos libertés, vos vies: qui de vous pourra m’entendre avec indifference? Vous êtes libres aujourd’hui; votre fortune, vos jours vous paroissent en sûreté; mais demain, peut-être demain, vous serez accusateurs ou accusés; peut-être en cet instant un Citoyen ennemi épie le moment de vous surprendre; peut-être un noir complot exposera votre vie aux soupçons de la Justice: qui le sait? peut-être un jour vos mains porteront des fers. O mes Concitoyens! Écoutez et rassurez-vous; en exposant nos devoirs, je vais vous instruire de vos ressources; apprenez le peu que vous avez à craindre, par les obligations que nous avons à remplir.
[…]
Messieurs [Avocats, Procureurs], nous sommes tous hommes, et par consequent amis; nous voici tous rassemblés dans le temple de la concorde et de l’équité; profitons de cette solemnité, pour renouveller le traité sacré que la Nature nous inspire avec tous nos semblables; et tandis que des hommes d’une profession généreuse vont faire serment de servir le Public, jurons tous, au fond de nos coeurs, d’être justes et vertueux, d’aimer les hommes et de leur être utiles» (Discours sur l’administration de la justice criminelle, Prononcé par M.r Servan, Avocat-Général, MDCCLXVII, disponibile in rete,  pp. 1-3 e 152)****.
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* «Se l’educatore è colui che sa, se gli educandi sono coloro che non sanno, spetta a lui dare, consegnare, trasmettere il suo sapere a loro. Sapere che non è “esperienza fatta”, ma esperienza narrata o trasmessa» (Paulo Freire, Pedagogia degli oppressi, Edizioni Gruppo Abele, 2021, quinta ristampa, p. 80).

** (Tutte le opere di Alessandro Manzoni, a cura di Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti, Volume secondo, Tomo terzo, Fermo e Lucia, Prima composizione del 1821-23, Arnoldo Mondadori editore, 1959, p. 318).

***Non deve essere sottovalutato il fatto che Giacomo abbia gli stessi parametri di giudizio  utilizzati dall’ostiere, per dire a Fermo come faccia a sapere che avventori forastieri siano galantuomini: «Le azioni, caro mio: l’uomo si conosce alle azioni. Quegli che bevono il vino e non lo criticano, che mostrano sul banco la faccia del re, senza taccolare, e che non fanno questioni con gli altri avventori, e se hanno una coltellata da consegnare a uno, lo aspettano fuori e lontano dall’osteria, per non far torto, quegli sono i galantuomini» (Fermo e Lucia, cit., p. 120)

****Passando in rassegna tutti i compiti del Magistrato, nessuno mi è sembrato più essenziale dell’amministrazione della Giustizia penale; e mi ha sorpreso che un soggetto così grandioso sia stato trattato tanto raramente in questi discorsi in cui ci si occupa del bene dello Stato e delle funzioni della Magistratura: un semplice sguardo scopre in questo oggetto mille rapporti utili; e l’emozione costante che provavo considerandolo mi ha fatto capire che esso non è meno interessante che utile.
Appartiene solo agli uomini eloquenti la capacità di comunicare i loro sentimenti; io sono ben lungi dall’illudermi di questa riuscita […].
Tuttavia, questo argomento e il mio zelo m’ispirano un po’ di fiducia, bisogna pure che io l’ammetta, desidererei che tutti i nostri Cittadini mi ascoltassero in questo momento; io vorrei dir loro, è per voi, per voi soli, per voi tutti che io sto per parlare; sto per parlare per la vostra proprietà, le vostre libertà, le vostre vite: chi di voi potrà ascoltarmi con indifferenza? Voi siete liberi oggi; la vostra ricchezza, i vostri giorni vi sembrano in sicurezza; ma domani, forse domani voi sarete accusatori o accusati; forse in questo istante un Cittadino nemico spia il  momento di cogliervi di sorpresa; forse un oscuro complotto esporrà la vostra vita ai sospetti della Giustizia: chi lo sa? forse un giorno le vostre mani porteranno dei ferri. O miei Concittadini! Ascoltate e rassicuratevi; esponendo i nostri compiti, io vi farò conoscere le vostre risorse; imparate il poco che dovete temere, considerati gli obblighi che noi dobbiamo adempiere.
[…]
Signori, [Avvocati, Procuratori], noi siamo tutti uomini, e di conseguenza amici; eccoci tutti riuniti nel tempio della concordia e dell’equità; approfittiamo di questa solennità, per rinnovare il patto sacro che la Natura ci ispira nei confronti dei nostri simili; e mentre uomini di una professione generosa stanno per giurare di servire il Pubblico, giuriamo tutti, nell’intimo dei nostri cuori, di essere giusti e virtuosi, di amare gli uomini e di essere loro utili.