Sine Titulo, un noir storico

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ANGELAROSA WEILER

L’INIZIO DELLA FINE (ovvero l’inizio del libro, NdR)

Lo sguardo di Bertand d’En Marti vagava lontano, verso i Pirenei ammantati di neve. I suoi occhi socchiusi rassomigliavano a quelli dell’aquila e frugavano l’orizzonte alla ricerca di un segno, di una visione proveniente dalla natura, alle leggi e alle forze della quale era proclive ad inchinarsi in ogni frangente. Il vento gelido che sferzava i bastioni della fortezza di Montsegur altro non era che un’espressione di quelle forze e impassibile lui ne accettava il soffio, senza scomporre il proprio portamento eretto.
Lo sguardo acuto di Bernard si soffermò sul cielo: era velato da nubi sottili e filiformi, parvenze di bende consunte e sfilacciate, incapaci di avvolgere e proteggere una ferita ormai insanabile, profonda come la ruga che, in risposta a quella manifestazione, prese a formarsi sulla fronte del Vescovo cataro. In quell’immagine, Bernard lesse la conferma dell’inizio della fine.
Quella contemplazione lo indusse ad invocare attraverso la mente il Dio dei buoni cristiani, al servizio del quale aveva interamente dedicato la propria esistenza terrena dal giorno in cui aveva ricevuto lo Spirito Santo nel battesimo di fuoco, l’unico sacramento riconosciuto dai catari. La fiamma spirituale che lo pervadeva era la sua risorsa e in virtù di quell’etereo bagliore purpureo Bernard trovava il coraggio di sostenere e motivare una comunità stremata da mesi di assedio e di assalti, costretta a sopportare la mancanza di cibo, di legna da ardere e di erbe medicamentose a causa della scoperta del passaggio segreto che consentiva a fedeli e simpatizzanti tanto ardimentosi quanto compassionevoli di rifornire la rocca dall’esterno. La capacità di resistenza di uomini e donne inermi, dei soldati della guarnigione, dei mercenari e delle loro famiglie dipendeva pressoché del tutto dalla purezza e perfezione dello stile di vita del Vescovo, dalla potenza delle sue esortazioni.
Del proprio ruolo e della propria importanza, Bertand d’En Marti era profondamente consapevole; per ricevere dallo Spirito il nutrimento supersostanziale che avrebbe apportato nuovo vigore alla fierezza e determinazione del suo verbo, nonché lucidità alle scelte che era chiamato a compiere, si era isolato nel recesso più appartato dei bastioni. La lunga barba ispida e cenerina che ammantava il volto rugoso e affilato di Bernard, così come i suoi lunghi capelli crespi e brizzolati, tremolavano nel soffio algido; al contrario, il corpo sottile ma eretto dell’uomo, avvolto dalla lunga veste di colore nero, era completamente immoto, quasi fosse radicato sugli spalti. Lo scintillio del sigillo argenteo che il Vescovo indossava all’anulare della mano destra era nulla in confronto alla luminosità e altezza delle vibrazioni che la sua anima aveva raggiunto in quell’istante. La mente di lui dimorava in uno stato meditativo profondo, in un armonico contatto con l’infinito al quale si era rivolto per ottenere le risposte che gli urgevano.
Il rumore dei passi di Ramón de Perella, il Signore della rocca, lo richiamò alla realtà, riaccendendo i suoi sensi sopiti. Gli occhi di Bertand d’En Marti si spalancarono sulla figura maschile intabarrata dalla testa ai piedi e ricurva su se stessa nel suo incedere contro il vento, l’olfatto si ricolmò dell’odore di fumo proveniente dai fuochi accesi ai piedi del forte dai crociati che da mesi e mesi avevano posto l’assedio. Falò che parevano occhi di demoni iniettati del sangue dell’inferno. Alle orecchie del Vescovo presero a giungere suoni, rumori, pianti, lamenti, clangori e grida, la pelle avvertì la sferza del gelo e un languore acido, proprio di chi non tocca cibo da giorni, impregnò le sue papille gustative.
Mentre Ramón incedeva verso di lui, il Vescovo sollevò il cappuccio del coprispalle per riparare la fronte dall’aria tagliente come una lama che spirava senza sosta e per nascondere al tempo stesso emozioni, pensieri e sentimenti all’amico fraterno, costernato e stanco che cercava il suo sguardo.
I due uomini rimasero in silenzio, l’uno di fronte all’altro, per un tempo abbastanza lungo da far intendere a vicenda che ogni speranza era tramontata. Fu il Vescovo ad avviare un breve dialogo.
«Quanto tempo, Ramón?».
«Tre settimane. Forse un mese, Vescovo. Non di pi»
«Occorre studiare le condizioni della resa» mormorò Bernard sfiorandosi ripetutamente la barba con le dita. In seguito, il tono della sua voce riprese l’abituale vigore nel dire: «Coloro che non intendono affrontare la morte sul rogo devono avere la possibilità di andarsene senza incorrere in alcuna ritorsione da parte dei papalini. Se il traditore che si aggira tra queste mura è un uomo vicino a uno di noi due oppure al comandante della guarnigione, è possibile che abbia svelato anche il luogo dove i quattro Perfetti discesi in gran segreto due mesi or sono hanno riposto il tesoro della comunità, dunque potremmo essere privi di mezzi materiali per blandire i crociati e avviare un negoziato. Devo riflettere, Ramón. Dio mi aiuterà».
«Hai dei sospetti, Vescovo? Mi nascondi forse qualcosa?» chiese inquieto il Signore della rocca.
«Sospetto di tutti e di nessuno, amico mio. Non ho alcuna prova che mi induca ad accusare l’uno piuttosto che l’altro. A ben riflettere, ti dirò che conoscere il nome del traditore non è poi così importante. Vi sono ben altre poste in gioco sulle quali mi devo concentrare» rispose Bertand d’En Marti.
Di nuovo, sugli spalti scese il silenzio tra i due uomini. Il crepuscolo accendeva il cielo di colori intensi e struggenti, terribilmente simili a quelli delle fiamme che avrebbero avvolto i corpi di coloro che si sarebbero rifiutati di abiurare la fede. Per la seconda volta, fu Bertand d’En Marti a riprendere la parola, mormorando un nome in un sospiro: «Esclarmonde».
Ramón de Perella scosse il capo incappucciato mentre fissava la pietra sotto la suola delle sue scarpe. Risollevando lo sguardo sino ad incontrare le pupille del suo interlocutore, rispose: «La salute di mia figlia peggiora di giorno in giorno, Vescovo. La vista si è ulteriormente indebolita. Da quando è stata ferita nel corso di uno dei tanti lanci di pietre da parte degli assedianti ha difficoltà a camminare. Da parecchio tempo vive confinata nel suo ricovero, affinché non abbia a subire altro male. Trascorre le ore di veglia coltivando l’impegno del noviziato, con l’assistenza di Selvìe de Guntard, la Perfetta alla quale la hai affidata. Mia moglie e la di lei madre l’assistono nelle sue esigenze». Ramón fece una pausa, poi aggiunse piano «La sua intenzione è quella di chiederti di impartirle il Consolamentum per affrontare il rogo nello stato di perfezione e poter riunire la sua anima allo Spirito per sempre».
Il Vescovo prese Ramón per un braccio e lo accompagnò in direzione della scesa dagli spalti verso la corte cinta dalle mura. Il cielo sopra di loro si stava facendo sempre più scuro, così come l’espressione di Bertand d’En Marti. Prima di allontanarsi da Ramón de Perella, disse con tono greve e perentorio: «Tu sai cosa rappresenta Esclarmonde. Il suo sangue reale non può essere incenerito dalle fiamme dei papalini. Non deve accadere per nessun motivo. Lei non può abiurare, né mai lo farebbe; non di sua volontà, non sotto coercizione. Occorre trovare il modo per farla fuggire, affinché rimanga in vita, concluda altrove il noviziato e possa portare a termine il suo scopo terreno. In futuro, quando sarà pronta, lei capirà. Saprà. Quando prima ti parlavo di priorità incombenti in vista della resa, intendevo esattamente questo. Speravo tu lo avessi capito. Ora io ti raccomando una cosa: non fare parola con nessuno di questa nostra conversazione, non far giungere ad altre orecchie e quindi ad altre bocche ciò che ci siamo detti questa sera. Taci con tutti, anche con tua moglie e sua madre. Mantieni il silenzio anche con lei, Esclarmonde. Le parlerò io, ma solo quando avrò escogitato un piano. Hai inteso bene, Ramón? Con nessuno. Non devi parlarne con nessuno».
«Con nessuno, Vescovo. Con nessuno» confermò Ramón, chinando il capo in segno di obbedienza e accartocciandosi sempre più su se stesso per ripararsi dalla sferza del vento e dall’inquietudine che sibilava dentro di lui.
Il Signore di Montsegur indirizzò i suoi passi lesti verso il ricovero di sua figlia Esclarmonde. La trovò in compagnia di Selvìe de Guntard e della di lui suocera, Marquìsa de Lantar. Il Dio dei buoni cristiani aveva indebolito la vista di Esclarmonde, i suoi occhi del colore dell’acqua di mare erano offuscati, ma in lei tutti gli altri sensi erano esaltati per poter compensare l’impedimento subito. Riconobbe il padre dal rumore dei passi, dall’odore della pelle, ancor prima che lui proferisse parola. Il viso di Esclarmonde era smunto e assottigliato dai digiuni ai quali volontariamente si sottoponeva, come tutti gli aspiranti, i novizi e i Perfetti, pur tuttavia era connotato da lineamenti armonici che le conferivano il dono di una giovanile bellezza. Dalla madre aveva ereditato occhi grandi, ammorbiditi da lunghe e flessuose ciglia, pronte a vibrare in risposta ai sussurri dell’anima, nonché un naso minuto e aggraziato; le labbra carnose e l’ovale perfetto del viso, caratterizzato da una fronte spaziosa che si assottigliava in armonia sino a chiudersi nel mento delicato e niente affatto prominente, rispecchiavano in pieno le fattezze paterne. Le lunghe e folte ciocche di capelli biondi che scivolavano lungo la schiena di lei erano un dono comune di entrambi i genitori, la capigliatura dei quali si era lentamente opacizzata e stinta col trascorrere degli anni. Il suo portamento, prima di essere ferita alla schiena in uno dei tanti bombardamenti operati dalle macchine da guerra di Hugues de Arcìs, era stato quello di una fanciulla nobile ed elegante, pur indossando gli abiti semplici in uso presso i catari. Nel percepire la presenza di Ramón al suo fianco, un sorriso dolce fiorì sulle labbra di lei.

Angelarosa Weiler, Sine Titulo, 2021

Sinossi

Nel Maggio del 1243, il Siniscalco di Carcassona Hugues de Arcìs, in compagnia di diecimila soldati, pone sotto assedio la Fortezza di Montsegur, in Occitania. Montsegur è l’ultimo rifugio degli appartenenti alla Chiesa Catara di quella regione, già stremati da una sanguinosa crociata. La roccaforte è stata ricostruita da Esclarmonde de Foix la Grande e da Ramón de Perella, poggia le proprie fondamenta su un focolaio di energia ed il suo allineamento corrisponde ad un preciso riflesso dei giochi di luce di equinozi e solstizi. La scomparsa di Esclarmonde de Foix la Grande è per la Storia una questione incerta e controversa, mentre Ramón de Perella, la sua famiglia e circa cinquecento tra seguaci inermi della Chiesa Catara, uomini d’arme simpatizzanti e mercenari si trovano nella fortezza all’inizio dell’assedio. Gli assediati riescono a resistere sino all’inverno del 1244 grazie ad un passaggio segreto attraverso il quale ricevono mezzi di sussistenza dall’esterno. A seguito di un tradimento, il passaggio segreto viene individuato dalle truppe assedianti e deve essere ostruito dai mercenari per evitare un’irruzione. Ramón de Perella, il Vescovo Cataro Bertand d’En Marti ed il comandante della guarnigione, Pierre Rogèr de Mirepoix, sono costretti alla resa. Coloro che si trovano all’interno della rocca di Montsegur sono chiamati a scegliere tra l’abiurare la fede o prendere la via del rogo. Tra le fiamme, periscono oltre duecento catari. Prima che ciò avvenga, una giovane novizia, figlia di Ramón de Perella, viene fatta fuggire in modo rocambolesco per portare con sé il vero tesoro dei Catari sulle sponde del Lago di Garda, dove la Chiesa Catara è ancora ben radicata. Per favorire la sua fuga, un’altra giovane sale sul rogo in sua vece e di quella ragazza la novizia prende il nome. Dopo un lungo soggiorno a Rénnas del Castél, un manipolo di Cavalieri Templari scorta la fuggitiva sino al porto di Genova. Da lì in poi, la giovane deve proseguire il suo viaggio da sola. Nel tragitto da Rénnas del Castél a Genova, tra la donna in fuga ed uno dei Cavalieri Templari della scorta si stabilisce una sorta di affinità, che al momento della separazione viene compreso da entrambi come un legame affettivo che è loro negato. Pur separandosi, continuano a vivere l’una nei pensieri dell’altro e viceversa. Approdata a Desenzano del Garda dopo turbolente vicende, la novizia occitana, ordinata Perfetta, si pone ai piedi del sommo teologo Cataro Giovanni di Lugio, il quale la inizia ai misteri della Conoscenza e si avvale di lei in qualità di amanuense per la copiatura del testo che racchiude per intero la cosmogonia e la filosofia catara, il Liber de Doubus Principiis. In seguito alla morte naturale di Giovanni di Lugio, contornata da una serie di decessi anomali e misteriosi, la protagonista è designata a divenire la terza figura in linea di successione al Vescovo della Chiesa Catara di Desenzano; la prima Vescovo donna di quella Chiesa. Mentre questo accade, due eventi turbano la vita della Perfetta Catara: il confronto con la propria ombra, l’amore terreno per il Cavaliere Templare che non riesce a fugare dal suo cuore, nonché la necessità da parte dei Signori di Verona, gli Scaligeri, di liberarsi dalla scomunica papale che grava sulla città per la loro comunanza con Federico II di Svevia e i suoi discendenti. Il Castrum di Sirmione, divenuto la novella Montsegur italica, viene distrutto dalle truppe scaligere per riacquistare la benevolenza del papato. Nel momento dell’irruzione e della devastazione del Castrum, la prediletta di Giovanni di Lugio comprende il mistero nascosto nella propria anima, il motivo per il quale è stata un tempo definita da suo padre “il vero tesoro dei Catari”. I Catari sono segregati nelle prigioni veronesi e messi a disposizione della Santa Inquisizione. La figlia di Ramón de Perella, la quale in punto di morte ha promesso a Giovanni di Lugio di mantenere viva la Conoscenza e tramandare la cosmogonia e filosofia catara ai posteri, fosse anche a costo di rinunciare ai propri voti, stringe un patto diabolico con il figlio del boia di Verona per sottrarsi alla tortura e al rogo. A Montpellier, l’indimenticato Cavaliere Templare apprende la sorte della donna amata per anni in segreto, abbandona l’Ordine e raggiunge Verona per trarla in salvo. Riesce nell’intento grazie all’aiuto del figlio del boia, il quale è poi costretto a farsi da parte e consentire che i due amanti platonici concludano insieme i loro giorni terreni, dedicandosi a riscrivere il Liber de Doubus Principiis di Giovanni di Lugio. Il manoscritto pergamenaceo rilegato con ago e filo, privo di copertina, rimane per 661 anni sepolto in una biblioteca di Firenze. Viene ritrovato da un frate benedettino per motivi del tutto fortuiti nel 1939; l’uomo di chiesa ha la pazienza di leggere il manoscritto sino al colophon, prendendo visione del titolo, della datazione e dei nomi dell’autore e dell’amanuense che lo ha scritto.  Gli uomini, le donne, i segni e i simboli della Chiesa Catara in Italia sono stati totalmente ridotti in cenere, ma la Conoscenza è stata preservata. Le Opere Benedettine stabiliscono che quel manoscritto ha ragione di essere pubblicato. Come profetizzato dall’ultimo martire Cataro, mandato al rogo in Occitania nel 1321, “Il ramo d’alloro ritorna a rinverdire”.