La poesia futura

carlucci-poesia

CARLO CARLUCCI

Si può ben dire che la poesia futura sia stata inaugurata dal nostro Leopardi.
Dopo Baudelaire, è continuata con l’altissima impennata di Rimbaud; ha spaziato con Mallarmé; ha volato sulle ali di tanti poeti del ’900, da Blok a Pasternak, da Rilke a Celan, da T.S. Eliot a Thomas Dylan, da Rubén Darío a Machado, a Cernuda, Pellicer, Salinas, Vallejo, Pessoa. E non si dimentichi il volo nordamericano da Poe a Emily Dickinson, a Walt Whitman, a Ezra Pound.
Sri Aurobindo — il poeta e “mistico” indiano educato in Inghilterra, rivoluzionario anticolonialista poi voltosi a cercare di contrastare le ferree leggi della Natura universale che tutto manovrano, compresi quegli animali pensanti che siamo — ha scritto intorno a questa poesia durante tutto l’arco della sua vita (1872-1950).
Dice dunque Sri Aurobindo che vi è uno spirito nuovo all’opera su e fra di noi. Semplificando, l’azione di questa forza la si può definire “un vasto e sottile approfondirsi della mente pensante della specie umana e un modo nuovo, più profondo, più ravvicinato, più intimo, di vedere, di sentire, apprezzare  e interpretare la vita, la Natura, l’esistenza”.
A parte le eccezioni di alcuni poeti che abbiamo prima nominato, il secolo XIX “fu intellettuale ma non intuitivo, più critico che creativo. O meglio, fu criticamente costruttivo (…) Ha rivolto l’attenzione al corpo, alla vita, all’idea attiva, ma poca all’anima più profonda e allo spirito delle cose”. Nel XX secolo invece “questo atteggiamento intellettuale nel guardare le cose sta mutando (…) da una mente che osserva e da una ragione speculativa verso una più intima esperienza interiore (…) La vita e la Natura vengono viste dall’anima nel  loro spirito e nella loro realtà”.
Vi è una differenza sostanziale con le grandi epoche passate, perché in quest’indagare c’è molta più forza ed acume. Non c’è stata una rivoluzione improvvisa o una rottura col passato, bensì una trasformazione profonda. L’io, il senso della soggettività, patrimonio di pochi temperamenti d’eccezione, è diventato patrimonio universale. L’interesse verso l’Uomo non è diminuito, tutt’altro: ha mutato carattere, poiché pone meno l’accento sulle sue realizzazioni esterne, indagandone di preferenza i recessi psicologici; e lo stesso passato umano lo considera negli aspetti più nobili ed alti, come progressiva manifestazione dello Spirito.
Nelle sue grandi tappe, la poesia segue l’evoluzione della specie umana.
Ai primordi, canta con Omero la natura e le epiche gesta dell’uomo; nell’età moderna, col suo più grande rappresentante, Shakespeare, sono le passioni, i dolori e le gioie umane, l’anima della vita e del desiderio ad essere elevate a canto, unitamente all’inizio di una crescente introspezione. Segue poi una fase di superamento di quest’identificarsi con le passioni: sorge il bisogno di dominarle, di cercarne una comprensione intellettuale. E qui i moduli espressivi, eleganti ma freddi, saranno quelli di un ideale mondo classico. Questa costruzione artificiale cede poi, con i Ro-mantici, a una nuova ondata di rivalsa dei sentimenti. Ma anche questa durerà poco, e appena sfiorerà i grandi come Puskin, Shelley, Leopardi.
Passate le ondate positiviste, naturaliste, veriste, eccoci al XX secolo delle novità: dove, malgrado gli orrori e gli immani pericoli che oggi incombono sulla vita stessa del pianeta, si possono scorgere certi segni che — come dice appunto Sri Aurobindo — preannunciano un’era di grandezza umana. Se così avverrà, sarà la poesia visionaria, saranno i poeti “veggenti”, per dirla con Rimbaud, a ritmare l’azione col loro canto. Le altre arti naturalmente coopereranno, e anche le scienze. Il nuovo modo di vedere e comprendere la realtà sarà qualcosa di simile a quella che Leopardi aveva chiamato “ultrafilosofia”, sarà cioè in grado di disvelare l’acerbo, indegno mistero delle cose.
La poesia del futuro sarà soprattutto “la poesia della ragione intuitiva, dei sensi e dei diletti intuitivi dell’anima (…) Librandosi alta, non nasconderà la terra sottostante, ma scoprirà altre realtà e i loro poteri sull’uomo, assumendosi come regno tutti i piani dell’esistenza. Riprenderà, trasformandoli, i segreti degli antichi poeti, ne scoprirà altri mai finora svelati, trasformerà i vecchi ritmi con l’insistenza della voce del suo spirito più profondo e sottile, così da creare nuove armonie e rivelare altri e maggiori poteri e spiriti della lingua. Procedendo dal passato e dal presente non si lascerà limitare dal loro dominio, dalle loro forme e canoni, ma abbraccerà la sua alterata e perfetta ars poetica.”
La verità che viene richiesta allo spirito della poesia esula dalla comune e ambigua nozione che noi ne abbiamo. “La verità poetica di cui parlo è una divinità illimitata, ha la fronte e il volto stessi dell’Infinito, è Aditi, sconfinata madre di tutti gli dèi (…) Quando il poeta si presenta all’altare della Musa deve cambiare d’abito alla propria mente e officiare il rito di una diversa consacrazione. Deve porre dinanzi a sé quell’altra personalità di se stesso che guarda con l’occhio iridato del veggente e parla con voce estasiata (…) La Poesia si offre al richiamo di tre poteri: ispirazione, bellezza e diletto, facendoli arrivare a noi e portando noi a loro col fascino magico del ritmo della parola ispirata. Il poeta crea alla luce universale del sole della verità poetica: può catturarne un raggio isolato, oppure utilizzare quella luce entro la casa del suo essere, oppure guardare attraverso quello splendore (…) E forse solo uno o due possono essere così forti da guardare ad occhi aperti la sorgente di luce. (…) La poesia del futuro sarà sempre meno legata a quelle attualità esteriori che noi spesso scambiamo per l’interezza della vita. Essa sarà la voce della mente umana che preme sempre più verso verso l’essenza delle cose, verso quello spirito di cui l’anima è un potere vivente, verso una visione di unità e totalità.”
Questa poesia del futuro potrà impavidamente a tutto rivolgersi e tutto sublimare: Dio e l’essenza del nostro essere e della specie umana; quella della Natura (non più vista quindi come idilliaca oppure matrigna); quella dei mondi spirituali, mentali e psichici in cui ci muoviamo; esprimerà la tensione umana a raggiungere l’immutabile oltre il presente, il passato e il futuro. Questa poesia ci presenterà la vita in modo totalmente nuovo. E da qui deriverà un nuovo modo di interpretare il senso stesso della nostra vita, che verrà così sottratta non solo al nulla e al pessimismo tragico ma verrà altresì affrancata da tutti i credi. La Natura finalmente ci apparirà in vesti trasparenti, mostrandoci il suo aspetto divino e animale, terrestre e cosmico. Il regno della materia non sarà più l’unico campo d’esperienza dell’uomo: altri mondi premono da dietro il velo per irrompere e finalmente rivelarsi.

E ho visto quanto l’uomo ha creduto di vedere…
e isole e arcipelaghi siderali io ho osservato
i cui deliranti cieli si aprono al vogatore…
È forse in queste notti senza fondo che tu t’esilii, addormentato,
milione d’uccelli d’oro, o futuro Vigore?

Così aveva cantato Rimbaud.

Lo spirito è vivo, vero e reale anche dietro a ciò che noi chiamiamo realtà; gli dèi esistono in altri cieli e in un’altra aria. La nostra vita diventerà ben più vasta se riporteremo gli dèi tra di noi, se riusciremo a vivere in una diversa e più durevole intimità con la Natura, il cui spirito affrancherà la nostra vita quotidiana dalle mille preoccupazioni che l’assillano, librandola finalmente nel senzatempo e proiettandola sullo sfondo dell’eternità. “Questa poesia sarà voce ed espressione ritmica di una esistenza umana più vasta, più totale, più illimitata, esprimendo il potere esaltante di un più profondo respiro di vita.”

Sotto l’influsso dei barbari teutonici abbiamo in parte perduto, afferma Sri Aurobindo, quel misto d’intelligenza sottile e attiva e di istinto verso la bellezza formatosi nella Grecia classica. In Europa ha prevalso l’adorazione del potere e dell’energia di vita, l’ammirazione per lo sforzo intellettuale della scienza. Potremo salvarci solo recuperando un’antica adorazione per la bellezza.
Nel glorioso passato dell’India l’essenza della poesia era definita rasa: intendendosi con ciò una sensibilità concentrata, il succo spirituale dell’emozione, un’estetica essenziale, il piacere che l’anima trae dalle fonti pure e perfette del sentimento. Si può addirittura affermare che l’India antica fu creata dei cantori dei Veda e delle Upanishad: cioè le visioni di quei poeti crearono un popolo.
Il poeta moderno dovrà spaziare in ogni direzione oltre i confini eretti dai poeti del passato, dovrà pretendere tutto ciò che esiste in terra e in cielo e anche oltre.
“La mente umana futura, assai più intuitiva, liberata finalmente da tante pastoie, potrà sentire come mai aveva sentito prima l’unione con un’altra coscienza nella Natura, udrà la voce di una rivelazione interiore di quel che ora ci appare muto: l’anima e la vita di cose che ora sembrano inerti e senza vita, l’anima e la vita del mondo animale, l’anima e la vita delle cose che crescono in silenzio, rinchiuse nel sogno assorto di un’esistenza semiconscia.”
Emergerà così una nuova sensibilità lirica, non legata più alle emozioni della vita di superficie né alla mente senziente. Nella poesia moderna proprio il ricorso al verso sciolto (la poesia di Leopardi, non a caso, ne è uno dei primissimi esempi) testimonia il tentativo di catturare il flusso più segreto e inafferrabile della vita. Tale tendenza ha poi ineluttabilmente portato alla perdita di un centro di musicalità (cantami o Musa…), l’unica in grado di rivelare lo spirito del sentimento poetico.
E tuttavia nella visione di Sri Aurobindo la poesia del futuro saprà risolvere il problema della forma, poiché non è la forma a creare lo spirito ma viceversa. E proprio come la Natura perfettamente crea dalla vita stessa, e non da una coscienza intellettuale, così lo spirito “sovraconscio” — cioè non meramente conscio sul piano mentale —  sarà capace di creare in forma spontanea al di là dell’intelletto.
Poeta è colui che dà respiro di vita alla parola, e che con la parola tornerà a creare i mondi. Poiché la parola non è soltanto suono, cioè onda sonora: nelle mani di colui-che-vede essa assume una sottile forza conscia che l’avvolge ed è “l’anima stessa del corpo sonoro.” (…) “La parola del poeta vede e presenta nella sua corporeità e immagine la percezione sottile e visuale della mente risvegliata da una verità ritmica e uditiva, nata dall’esperienza dell’anima e del pensiero: verità di senso e di vita, spirito e realtà viventi dell’idea e della cosa. (…) Il fenomeno dell’ispirazione poetica altro non è che un entrare in contatto della mente con una scintilla “sopra-mentale”: contatto che trasmette poi l’impulso e le parole adatte a catturare la visione. (…) La parola ispirata, com’era il caso tra i veggenti vedici, viene dal piano alto della verità, dal piano originario di un essere detentore di una luce invisibile all’intelligenza e alla sensibilità normali.”
I poeti che hanno tentato un nuovo ed extra-ordinario cammino verso le pregnanti identità che legano intuizione, percezione ed emozione a un’identità segreta, al di là del velo delle cose (come ad esempio il Leopardi di Alla sua donna, il Baudelaire più segreto, Rimbaud e Mallarmé, e poi via via da Mandelstam agli ermetici) hanno compiuto quest’operazione non tanto attraverso il linguaggio di per sé, quanto attraverso i sensi sottili suggeriti dal ritmo, dalla musicalità della parola. Soltanto grazie alla sonorità ritmica essi hanno potuto compiere un’opera di trasfigurazione altrimenti impossibile, essendo l’espressività della lingua non ancora abbastanza forte e matura.
“I poeti di qualsiasi lingua o razza che in forma più completa sapranno vedere attraverso questa visione e parlare con l’ispirazione del suo verbo saranno i creatori della poesia del futuro.”
Savitri, il grande poema della creazione e dell’evoluzione della vita, e soprattutto di quell’amore trasfigurante con la forza del quale l’eroina Savitri — rivisitazione al femminile della discesa agli inferi di Orfeo — riesce a contendere vittoriosa-mente alla Morte la vita del suo amato Satyavan, è esemplare anticipazione di una poesia del futuro. Alla stesura e alla revisione di quest’epopea Sri Aurobindo pose mano fino al termine del suo mandato quaggiù.