Lea e il gatto parlante

copertina

SILVIA PIO (a cura)

cap 1

«Lea e il nonno vivevano in una grande città. Case antiche e parchi alberati si alternavano a rari grattacieli e a giganteschi casermoni circondati da lunghi viali in cui una spessa nebbia puzzolente avvolgeva visi e foglie. Tra i suoni dei clacson, emergevano voci, starnuti, richiami, lo sferragliare dei tram e lo stridio delle frenate. Il rumore era così assordante che spesso non si riusciva nemmeno a sentire chi camminava accanto.
Per fortuna, Lea e il nonno abitavano al Mulino, una zona che al posto di strade asfaltate e semafori aveva orticelli disordinati e terreni abbandonati. In quel quartiere c’erano soprattutto basse casette di mattoni con cancelli arrugginiti e staccionate scrostate che avrebbero avuto bisogno di una bella riverniciata.
Era un sobborgo di operai, artigiani, impiegati e pensionati, popolato da frotte di bambini che si sparpagliavano nei campi che qualcuno recintava abusivamente e coltivava.
Questi gruppetti di marmocchi mettevano da parte le regole imparate a casa e a scuola e si scatenavano in giochi violenti e pericolosi. Non avevano paura di niente e non rispettavano nessun divieto. Si sfidavano a darsi la caccia e si infliggevano le peggiori punizioni. Chi perdeva veniva bendato, condotto nel folto della campagna e lasciato lì oppure lo si obbligava a fare il bagno nel torrentello fangoso dove nuotavano grossi lucci che mordevano come dannati. Altrimenti, il malcapitato era spogliato, legato a un albero e abbandonato al suo destino. Anche in pieno inverno.
Quando pensava a quei piccoli delinquenti, Lea tirava un sospiro di sollievo. Meno male che lei era grande. Aveva dodici anni, una grossa testa rotonda con capelli color limone e gli occhi scuri e seri di un’adulta. Non era particolarmente carina. D’altra parte, lei all’aspetto non ci teneva. La sua espressione, concentrata e inquieta, era quella di chi è sempre alla ricerca di risposte a domande difficili, che sconcertano.
Lea abitava al Mulino da tre anni, ormai. I suoi genitori erano morti in un incidente e lei per un lungo periodo non aveva più parlato. A niente erano serviti i colloqui con gli psicologi, le rassicurazioni, le promesse. Aveva ricominciato a parlare grazie a un gatto.»

Guia Risari, Il viaggio di Lea, EL Einaudi Ragazzi, San Dorligo della Valle, 2016
Illustrazioni di Iacopo Bruno

foto di Guia Risari

foto di Guia Risari

Guia Risari è un altro di quegli incontri fatti sul web (e poi scesi nella realtà materiale) di cui non ricordo neppure la storia. Solo dopo qualche scambio di email e la pubblicazione su Margutte dei primi raccontini che ci aveva mandato mi sono accorta del suo ‘calibro’. Per farsi un’idea si può andare sulla pagina dei libri pubblicati del suo sito. Poco dopo Guia ha accettato di diventare collaboratrice di Margutte.

“Il viaggio di Lea” è il suo penultimo libro (l’ultimo è citato in fondo a questo articolo). Inserita nella collana dedicata ai ragazzi della Einaudi, la storia costituisce una lettura piacevole anche per gli adulti, che vi troveranno molti spunti per riflettere.

La protagonista ha dodici anni, da tre ha perso i genitori in un incidente stradale e ha smesso di parlare. Vive nella periferia di una città con il nonno, che le regala un gatto rosso.

Interrompiamo brevemente la storia per ricordare altri gatti della letteratura per l’infanzia: il Gatto con gli Stivali di una favola antica ripresa da Perrault e dai Grimm; il Gatto del Cheshire in “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll (assurdamente tradotto con Stregatto nella versione italiana della trasposizione cinematografica Disney); il Gatto compare della Volpe in “Le avventure di Pinocchio” di Collodi. Tutti gatti parlanti. Infiliamoci anche il mondo felino delle poesie di T.S. Eliot in “The Old Possum Book of Practical Cats” (non voglio neppure sapere come è stato tradotto). Si veda anche la pagina dedicata ai libri sui gatti e ai gatti nei libri nel sito “Wuz Il social dei libri”.

Tornando a Lea, chiama il gatto Porfirio, come il filosofo dell’antichità che sosteneva l’uguaglianza tra uomini e animali; il nome viene dal latino e vuol dire «rosso», anzi, per la precisione, «vermiglio». È un gatto filosofo e realista.

Lea si fa domande sulla vita e, soprattutto, sulla morte: «A che serve essere felici, se dopo si sparisce? È come se avessimo tutti una data di scadenza… Delle volte, dentro di me, ci sono solo domande. Cos’è la vita? Cos’è la morte? Dove andiamo a finire? Perché iniziamo, visto che siamo destinati a scomparire? Ognuno nasce con una dose prestabilita di sofferenza o semplicemente capita? Così tante domande che io rimpicciolisco e finisce che non ci sono più».

Capisce che «non c’è limite al possibile e che bisogna spezzare le catene dell’abitudine» e insieme a Porfirio parte per un viaggio quasi iniziatico attraverso luoghi ai margini della società, accompagnata da sogni improbabili quanto gli incontri che le capitano. Ne cito alcuni: la proprietaria di una bisca che fuma un sigaro amazzonico, una zingara dentro ad una città di ceramica, una famiglia di agricoltori alquanto strana, un assassino con il quale le persone che uccide si confidano, una coppia di pescatori che non usano il denaro, un quartetto di rapinatori mancati che diventano attori. E un buon numero di animali.

Una presenza li segue passo passo, un’ombra che muta: «La Scura Signora, la Dominatrice delle Tenebre, la Guardiana del Silenzio Eterno, la Conclusione di ogni inizio, la Cupa Messaggera, la Grande Sterminatrice», insomma la Morte, dalla quale Lea riesce a scoprire il senso della vita: «Per vivere, bisogna accettare di morire. Con la morte si lascia il posto ad altri che proveranno nuove vie, affideranno al mondo altri semi e troveranno altri significati alla vita. È anche questo che crea la bellezza e la complessità del nostro universo».

Nella ricerca di risposte Lea trova pace alla sua sofferenza, pur capendo che «di facile al mondo c’è ben poco».

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«La Morte è una vecchia signora… una nonnina luminosa e garbata, Vecchia, modesta, sorridente. E necessaria… Perché la morte appartiene a tutto ciò che vive. Non si può farne a meno. Si può, al massimo, sospenderla.

– Come? – domandò impaziente Lea.

– Con piccoli gesti, spontanei ed eterni. Costruendo gli attimi. Vivendo come si beve dopo aver sofferto a lungo la sete. Guardando le stelle».

Guia Risari racconta “Il viaggio di Lea”

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Giugno 2016 – Finalmente esce la II edizione di Jean Améry. Il risentimento come morale (G. Risari,  Castelvecchi 2016), vincitore di cinque premi letterari.
Questo saggio presenta l’opera di Jean Améry e approfondisce alcuni temi del pensiero occidentale – l’invecchiamento, il suicidio, la concezione del tempo e dell’individuo – ma affronta ugualmente le questioni della Shoà, della testimonianza e della creazione letteraria, proponendo una rivalutazione filosofica del risentimento, inteso come re-sentir, capacità percettiva e coscienza riflessiva, «la fonte emozionale di ogni morale autentica, che fu sempre morale degli sconfitti» (Améry).

Maggiori informazioni sul sito dell’editore.

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