“A bordo. Cronache di navigazione a vista” (Gammarò Edizioni, 2025, pp. 327) è una raccolta di saggi sull’attualità di Claudio Sottocornola, filosofo da sempre attento a dar voce alle più diverse esperienze culturali, nell’orizzonte della sintesi piuttosto che della contrapposizione, e nel segno di un approccio ermeneutico che, avallando l’inevitabile disposizione soggettiva verso il reale, avvalora posizioni all’apparenza distanti entro un’aspirazione aperta all’esperienza polifonica delle voci in campo. A ciò egli associa anche una naturale diffidenza verso le grandi narrazioni mainstream, ed una metodologia dubitativa che lo orienta a navigare, come voleva De André, “in direzione ostinata e contraria”. Così, in questa miscellanea di scritti pubblicati in contesti diversi ma anche inediti, realizzati fra il 2022 e il 2024, si spinge a dire la sua su politica e burocrazia, religione e mass media, gender e società, musica e bellezza, guerra e pace, consapevole che la biografia intercetta non di rado la Storia, e che questa esige esercizio di lucidità oltre che di passione.
Se nell’indagine dell’autore sono spesso entrate l’autobiografia come occasione ermeneutica e la popular culture come terreno d’elezione, questo volume testimonia invece una concentrazione sempre più insistita sui temi della domanda di senso, del declino della civiltà occidentale, delle dinamiche della vita interiore e della critica alla banalità delle antropologie prevalenti nel tardo-capitalismo contemporaneo, che coinvolgono ideologie e posizioni politico-economiche un tempo alternative e ormai assimilate.
Così, dopo aver analizzato in altri lavori i grandi temi della post verità, del degrado estetico contemporaneo, del rapporto fra mondo animale e mondo umano, delle possibilità di vita intelligente nel cosmo, qui egli affronta, fra gli altri, il tema della crisi della politica, e in particolare di una Sinistra che in Occidente non sembra più in grado di esprimere un qualche potenziale utopico, limitandosi ad un mero approccio quantitativo della realtà, concepita più come spartizione di risorse che come dotazione di senso da condividere. E si lascia ispirare da quel Pasolini che, in pieno ’68, quando ebbe luogo a Roma lo scontro tra studenti universitari e forze di polizia, noto come Battaglia di Valle Giulia, assunse la difesa dei poliziotti, “figli di poveri” descritti nel loro carattere epico-popolare, a differenza degli studenti, quasi tutti “figli di papà” e avviati a una futura carriera di buoni e dominanti borghesi.
Anche se dietro ci sono Sartre, Marcuse, e post ’68, per Sottocornola assumere nella lotta politica un approccio esclusivamente contrappositivo e delegittimante infatti non permette di incontrare l’interlocutore mentre “per questo i tempi sono maturi, e cioè un arcobaleno delle posizioni, piuttosto che una patologica e miope monocromia”, come vorrebbe un vetusto approccio ideologico. La provocazione che Sottocornola propone in contrapposizione all’ideologia è allora “quella della sapienza taoista che, nel più assoluto rispetto per l’esistente, invoca invece il non agire o lasciar essere come la modalità più eccelsa e sublime di governare, considerato che ogni angolo di mondo chiede espressione, manifestazione, vita, proprio nell’ordine della propria vocazione a integrarsi nel tutto”. E continua: “Ma una siffatta azione politica si limita a coadiuvare la vita, ad accompagnarla, a sostenerla, semplicemente fornendole pragmaticamente gli strumenti di cui essa ha bisogno, appunto, per fiorire e compiersi, rispettandone l’autonomia, l’indipendenza, l’unicità. E quando lotta deve esserci, essa non può che identificarsi in quella “insistenza per la verità” che praticava, ad esempio, il Mahatma Gandhi ispirandosi al principio induista del satyagraha, che comporta una resistenza passiva nel violare pacificamente quelle leggi che ad essa verità siano ritenute contrarie, mantenendo tuttavia un atteggiamento di attenzione verso i bisogni dell’avversario, di gentilezza e cortesia nei suoi confronti”. Il vero pericolo per Sottocornola poi non è tanto il fascismo novecentesco, storicizzabile e non più ripetibile, ma piuttosto la tecnocrazia digitale incombente, capace di un controllo analitico e subliminale delle masse, qui davvero passibili di totale subordinazione a un potere pervasivo in grado di asservirle sino alla potenziale perdita del libero arbitrio.
Ma non è solo la politica ad essere malata per Sottocornola, anche società, burocrazia, istituzione religiosa e rapporti internazionali denunciano un malessere profondo. Paradigmatico è il racconto, all’apparenza freddamente cronachistico, di una disavventura personale nei meandri della burocrazia italiana che l’autore partecipa al lettore per un congruo numero di pagine, entro una narrazione che rasenta logiche kafkiane e pirandelliane, introdotta da un oracolare “lasciate ogne speranza, voi ch’intrate…”. Una passeggiata nel proprio quartiere periferico, ma ricco di storia e antichi cortili, serve invece come spunto per parlare del degrado dei territori, dell’incuria amministrativa, dei paradossi urbanistici, dell’agonia della vita comunitaria che attraversa le società entro lo scenario di questo tardo capitalismo. La puerilizzazione delle masse entro il medesimo scenario, ottenuta attraverso l’obnubilamento social e mass mediatico, tratteggia poi un paesaggio desolante circa le antropologie oggi prevalenti, percepite come venali e volgari, ove agli affreschi di una Cappella Sistina come immaginario condiviso si sostituiscono le esibizionistiche paginate Facebook come celebrazione di ego immaturi. Stupore e disillusione attraversano quindi una riflessione sulla guerra, occasionata dall’invasione ucraina, come specchio di nuove e devastanti logiche geopolitiche, mentre la mail di un amico musicista che si interroga sulla buona musica diventa spunto di riflessione sul tema della bellezza e, più in generale, sulle condizioni dell’esperienza estetica.
E proprio il tema della bellezza avvalora una pars construens, sviluppata soprattutto in appendice, con tre conversazioni relative a presentazioni recenti dell’autore, che ribadiscono le ragioni di una resilienza fondata sulla riscoperta dell’anima e dei suoi linguaggi, perché “quando il pensiero si immerge nell’attualità rischia di perdersi, a meno che non abbia radici nel cielo del mythos, ove si nutre di bellezza e di speranza”. La stessa polemica col tardo capitalismo economico-finanziario che attraversa tutta la navigazione, permette di integrare il materialismo storico-dialettico non più come ideologia, ma come mythos fondativo entro un programma di bordo, la cui bussola rimane tuttavia, in aperto contrasto con l’approccio woke dominante, l’attraversamento della propria cultura e tradizione – arte, spiritualità, pensiero –, in un costante dialogo con la contemporaneità.
Anche se l’autore, sulla scia di Severino, teme che a prevalere sarà alla fine una tecnocrazia digitale, egli è anche convinto che occorra già sin d’ora seminare affinché un giorno si scopra l’insufficienza di tale prospettiva, riaprendosi alla domanda di senso e alla ricerca di salvezza. Ecco perché, nell’ottica di un mythos da recuperare in prospettiva esistenziale, egli dedica due sezioni del volume, “Un cuore diviso?” e “Attraversare la fede”, alla analisi della crisi spirituale dell’Occidente, auspicando un attraversamento del cristianesimo come linguaggio destinale della nostra civiltà, chiamata ad attualizzarne le esigenze entro un paradigma culturale totalmente cambiato ma che ha ancora bisogno di speranza, utopia e progettualità.
Claudio Sottocornola, A bordo. Cronache di navigazione a vista (Gammarò Edizioni, 2025, pp. 327)
(a cura di Gabriella Mongardi)


