49. La vicenda Armfelt-Acton-Piranesi

Joseph Maria Grassi (da Wikipedia)

Joseph Maria Grassi ritratto da G.M. Armfelt (da Wikipedia)

DINA TORTOROLI

Compiuta la mia missione a Napoli – individuare il committente della Lettera di Francesco Piranesi al sig. Generale Don Giovanni Acton – non mi resta che far conoscere i fatti ai quali ho soltanto vagamente accennato, dopo aver riferito che Francesco Piranesi, nel 1793, si era trovato coinvolto nella “vicenda Armfelt”: «episodio, ch’è più svedese che italiano e che si svolse più in Italia che in Isvezia» (Vicchi) (puntata n. 44).
Leone Vicchi ama «farsi da principio e narrare i fatti per disteso»; pertanto, sarà lui ad aggiungere al puzzle le tesssere mancanti:
«Gustavo Maurizio d’Armfelt, era nato il il 1° aprile 1757 a Juva, in Finlandia, e s’era distinto nelle guerre del 1788 al 1790 contro la Russia. Alla morte di Gustavo III l’Armfelt sopraintendeva alle cose di Stockholm in qualità di governatore e il Re, poco prima di morire, lo aveva destinato a far parte di un consiglio di reggenza, durante la minorità di Gustavo IV, allora trilustre. Ad onta di ciò, la tutela del principe ereditario e la direzione del governo fu presa e tenuta esclusivamente dal duca Carlo di Sudermania, fratello di Gustavo III, in forza, si disse, del testamento, a cui non si potè contravvenire, sebbene fosse anteriore agli ordini dati dal Re moribondo. La nota amicizia di Gustavo III per il barone d’Armfelt e la violenta usurpazione de’ costui diritti per parte del duca di Sudermania, rese impossibile un modo qualunque di conciliazione tra duca e barone; anzi destò reciproche diffidenze, le quali esternaronsi in guisa da commuovere e scandalizzare l’Europa. Al reggente duca di Sudermania ed ai ministri di Stato per Gustavo IV si dava accusa dagli armfeltisti di propendere al giacobinismo francese […]. A d’Armfelt si dava accusa dai sudermanisti […] di promuovere una diminuzione dell’autorità regia e di favorire in Svezia la preponderanza della Russia. Il duca di Sudermania per troncare il palleggiamento delle accuse e sbarazzarsi di un avversario temuto, creò ministro plenipotenziario di Svezia presso tutti i lontani Stati d’Italia il barone d’Armeflt, che non potè rifiutare l’incarico e partì per Napoli il 1° settembre 1792. […] Ben presto il duca reggente di Svezia si dovè pentire della presa risoluzione. Il barone d’Armfelt, lontano dalla Svezia, non dimenticava il governo della Svezia e meditava di ritornare colà per essere di nuovo, come sotto Gustavo III, l’ispiratore dell’interna e dell’estera politica. A questo scopo egli scriveva frequentemente agli amici e ai partigiani […].  Finalmente, essendo ai bagni di Lucca, nel 1793, scrisse il Prospetto sulla vita di Gustavo III, acerba critica dei sudermanisti, e lo fece stampare e distribuire dappertutto. Il Piranesi, che già dal ministro Reuterholm aveva avuto ordini precisi di sorvegliare il barone d’Armfelt, procurossi una copia del Prospetto e la mandò subito a Stockholm. […] Il duca di Sudermania intimò al barone (18 ottobre) di sconfessare e di disdire l’opuscolo, sotto pena d’essere destituito. Il barone lo mantenne. […] Il governo svedese giudicò l’atteggiamento pubblico dell’Armfelt, come quello di un rivoluzionario, che minava lo Stato. A questo punto nuovamente intervenne il Piranesi, il quale spedì a Stockholm il piano de’ cospiratori, vero od apocrifo, […] con molte lettere svedesi, che misero il duca di Sudermania sulle tracce ed a cognizione degli amici dell’Armfelt. […] Scoperta la corrispondenza, affrettossi il duca di Sudermania a chiedere al re di Napoli l’arresto e l’estradizione del barone d’Armfelt, con lettera del 5 decembre 1793, la quale fu consegnata all’ammiraglio barone di Palmquist perché partisse con una nave e la recasse direttamente a Ferdinando IV. La lettera portava la firma del duca sus la minorité du Roi ed era concepita ne’ termini della più viva premura. Si raccomandava il secreto. Si dimandava che a Palmquist fosse concesso d’impadronirsi colla forza del barone d’Armfelt e delle sue carte. Intanto che il Palmquist veleggiava alla volta del golfo partenopeo furono in Isvezia presi e assicurati nelle carceri della gran guardia al palazzo di Stockholm (18 decembre) il segretario del Re, i colonnelli Sandless e Lilie ed altri molti. Contemporaneamente, con ordinanza pubblica, fu tolta al barone d’Armfelt ogni rappresentanza politica e diplomatica presso i governi d’Italia […]. Il Kracas* nel num. 1991, del 31 gennaio 1794, pubblicava una corrispondenza da Stockholm, nella quale si scriveva ch’era stata sventata una congiura. La corrispondenza portava la data del 20 decembre, due giorni dopo fatti gli arresti. […] Il 2 febbraio a Napoli le gazzette divulgarono il fatto della pretesa cospirazione a danno del Governo svedese e per lettere private si seppe che d’Armfelt era stato accusato di tradimento. A Napoli il barone d’Armfelt aveva parecchi amici personali, come a Roma, a Firenze, a Lucca, e in quasi tutte le città d’Italia, essendo sempre stato benissimo ricevuto alle corti e nelle migliori società. Frequentava egli a Napoli le case dei Ruffo, dell’Acton, di Munk, dei Belmonte e i circoli privati della regina. […] Il 3 febbraio fece inserire nelle gazzette d’Italia una protesta contro le voci di tradimento propalate a danno della sua riputazione. Con la data del 4 scrisse una lunga lettera, stampata pur essa ed indirizzata al duca di Sudermania, nella quale spiegava la patriottica opposizione ch’egli faceva al partito gallofilo, l’incolpabilità e lealtà dei propri intendimenti, la sommessione ed obbedienza professata mai sempre al re di Svezia. […] Il 9, giorno di domenica, poco prima delle 22 ore, le artiglierie della fortezza di Napoli, salutando, rispondevano ai colpi di cannone della nave, sulla quale arrivava il barone di Palmquist. Come si vede, il secreto in gran parte era svelato avanti che l’ammiraglio toccasse la rada.  Ferdinando IV, ricevuta da Palmquist la lettera del re di Svezia, rifiutava d’ingerirsi nella faccenda e si chiamava offeso dall’invio d’un ammiraglio straniero per operare un arresto negli altrui Stati» **.
Qui posso interrompere il dettagliato resoconto del Vicchi, poiché le vicende napoletane sono quelle narrate nella Lettera ad Acton.
Ricorro, invece, a Rossana Caira Lumetti, che presso la Kungliga Biblioteket e il Riksarchivet di Stoccolma ha rintracciato dispacci del Piranesi ai funzionari svedesi, per ascoltare, finalmente, la voce del prestanome, che, naturalmente, interpreta il ruolo di autore della Lettera.
Caira Lumetti dichiara: «La lettera del 3 aprile 1794 del Piranesi ricapitola tutti gli avvenimenti accaduti; l’incisore è già a conoscenza delle accuse che gli rivolge l’Acton e stabilisce quelli che saranno i punti fermi della sua difesa nella Lettera. Scrive l’incisore: “Benché il generale Acton abbia incolpato diversi agenti che oltrepassano i loro ordini, volendo intendere di me, e che la Corte di Svezia di cui ne parlava con tanta lode e amicizia, non aveva potuto mai pensarvi a mezzi sì atroci. Io rispondo benché falso quello che voi dite degli assassini, anche che ci fossero stati, se la corte di Napoli avesse voluto agire con disinteresse, avrebbe detto: Io consegno il barone d’Armfelt al Cuffer, perché è mandato dal re, per altro io l’avviso, che Piranesi ha agito tutto altrimenti ed ha oltrepassato i (sic) ordini reali. Questa sarebbe stata una prova dell’amicizia reciproca de’ Sovrani. Ma essa ha agito tutto altrimenti. All’arrivo del Cuffer l’ha negato prima, che vi potesse essere un’idea d’assassinio, ha nascosto il barone in casa del marchese del Vasto […]. Spero che V.E. vedrà chiaramente tutti questi intrighi, ed io sono abastanza (sic) sicuro della mia innocenza a fronte di tutte le imposture che vi sono, o potessero sospettare”. » ***
Lumetti non deplora la sintassi del Piranesi, ma segnala gli errori morfologici.
Quando è possibile, ha, però, anche parole di apprezzamento. Infatti, dichiara: «Un altro annuncio dell’elaborazione della Lettera si ha il 22 ottobre 1794 quando Pio VI decise di ricevere Piranesi. L’incontro, il primo dopo il “fattaccio” con la corte napoletana, è raccontato da Piranesi in una lettera che ha una sua piacevolezza narrativa. Scrive Francesco: “Le risolute minacce della Svezia contro Napoli hanno scosso anche Roma dal suo letargo. Pio VI ha ascoltata la voce del proprio interesse, e della prudenza e da questa mosso non meno che dal suo attaccamento verso la persona d’un suo suddito naturale rivestito dell’illustre carattere del ministro d’una Nazione generosa e potente ha desiderato spontaneamente di vedermi e parlarmi […]. Egli mi porse subito con destrezza sul discorso della rottura della nostra corte con quella di Napoli e me ne chiese il dettaglio”. Piranesi fece presente al Pontefice che si sarebbe difeso personalmente “senza riguardo e con quella energia, che suggerisce l’innocenza”. Pio VI non nascose di aver creduto alle accuse della corte napoletana: “non mi dissimulò, che sino a quel punto era stato veramente persuaso, come lo era tutto il mondo, che la Svezia l’avesse davvero ordinato, ed io ne fossi stato l’esecutore. Non mi costò il dissipare questi sospetti, perché il linguaggio della verità e dell’innocenza ha un carattere e una energia che convince, e conquista subito la ragione”. E “il Papa si rallegrò molto di questi schiarimenti, e fu maggiore la sua contentezza, quando lo assicurai, che la mia difesa sarebbe quanto prima comparsa alla luce, sebbene la dichiarazione della corte di Svezia avesse copiosamente provveduto alla mia riputazione […]. Non può negarsi (disse il Papa) che questa sia un’indegna impostura e io ne resto attonito. Che credete voi che in Napoli non si troverà un modo di compilar un processo, che vi metta dalla parte del torto? In quel paese si trova tutto. Acton è quello che intriga ogni cosa, e quella corte veramente non ha fede”. » ***
Del tutto inaspettatamente, Piranesi sfoggia espressioni come «linguaggio della verità e dell’innocenza», pertanto si può ritenere che egli apprezzasse lo stile in cui era redatta la Lettera, e cercasse di imitarlo.
In ogni modo, il documento per noi più importante è la lettera del 30 Dicembre 1794, del barone Sparre, Gran Cancelliere di Svezia.
Anche Caira Lumetti lo tiene in considerazione: «lo Sparre comunicava di aver ricevuto l’ultimo dispaccio di Piranesi il 14 novembre. Se consideriamo il tempo necessario per l’arrivo della lettera, il particolare acquista una notevole importanza in merito ai tempi di stesura della Lettera all’Acton. Dopo alcuni convenevoli, lo Sparre scriveva: “J’ai lu avec grand interet la lettre que vous avez ecrite à Mr. le General Acton. Les preuves que vous y constatés de la fausseté insigne et noire des imputations injurieuses et inouies, qui vous ont eté faites sont plus que victorieuses, et mettent au jour une evidence, qui taresseroit le lecteur meme le plus partial, le plus prévénus. Pourvu qu’il prit la peine d’en lire une feuille seulement avec desir de connoitre, il s’aveueroit lui meme la force avec la quelle la verité sait faire eclater sa lumiere. Si à celle force neammoins elle eut joint un tantinet moins de vehemence et de fogue, peut etre ye [sic] eté plus satsfait au premier moment que je commencois à lire; mais aussi je dois avouer que plus je lisoit, et plus il me fallut avant meme de finir ma lecture, convenir, que au point ou vous l’avez eté, Monsieur, et attaqué par l’endroit le plus sensibile pour tout homme probe et integre, celui de l’honneur, il doit etre permis de se defendre avec une chaleur, qu’on n’employe pas sans cela en des cas de moindre consequence. Le Duc espere bien pourtant que vous n’aurés pas signé cette Lettre comme ministre du roi puisque la cour, que vous servéz, pourroit s’en trouver compromise. Mais que vous aurés fait émaner la piece pour votre compte propre et privé S. A. R. ne met pas meme cela en doute puisque c’etoit sous celle condition seule, que liberté vous fut concedée d’écrire”. » ***
Dovendo ormai concludere il discorso, scelgo una lettera che fornisce dati in grado di orientare future ricerche.
Lumetti stessa dichiara: «È interessante quanto Piranesi scriveva a Stoccolma: “Eccellenza / In seguito di quanto ebbi l’onore di scrivere a V. E. nello ordinario passato, la mattina della scorsa domenica mi portai di bon ora dall’Eminentissimo Segretario di Stato, e lasciassi nella sua anticamera un esemplare della mia Apologia, e per non venire a contestazione con Esso scelsi un momento che S. E. non fosse ancora visibile. Ciò fatto ne mandai una copia per ciascuna a tutti i Ministri Esteri, a tutti i Cardinali ed alla maggior parte de’ Principi romani, ed a tutte le persone delle città più elevate, e più capaci di darne libero, ed imparziale giudizio. Non era mezzo giorno che la città fu tanto in moto, ed in fuoco. L’odio naturale dei Romani contro Napoli, i cattivi trattamenti che tutto giorno ricevono da quella Corte, la lode sparsa qua e là del Papa, e di Roma, e soprattutto la credenza della mia ragione, e del torto di Acton determinarono immediatamente l’opinione del pubblico in mio favore. Tutti, è vero la trovano veemente, e gagliarda, ma nessuno nega, che non sia giusta. Lo stesso Papa a cui per mezzo di un confidente ne feci subbito [sic] presentare una copia. Egli ne ha reso questo giudizio, interrompendo quasi ad ogni passo la lettura che gliene faceva Monsignor Locatelli, e dicendo, è forte, ma se la merita, è terribile, ma si tratta d’onore. Siccome poi Regis ad exemplum totus componitur orbis, così l’approvazione del Papa chiude le bocche a quei pochi che erano inclinati a parlare, e un Cavaliere napoletano qui dimorante ha dovuto confessare che sebbene la pittura dell’Acton, e del suo infame Ministero sia tremenda, nulla di meno a confronto del vero, è ancor debole, perché quel mostro, è cento volte scellerato, di quello che io l’abbia saputo dipingere.
Di tutti i Ministri, quello che più ha goduto di questa apologia, è stato il Cavalier Azzara, il quale il dopo pranzo mandò a prendere altre sei copie per mandarle in Spagna. Azzara è mortalmente nemico di Acton, e n’ha ragione, onde nessuno più di lui, è impegnato a propagandare lo scorno di Acton, e il mio trionfo. Non così la Principessa S. Croce la quale, è arrabbiata di vedere stampate le sue lettere, e si scusa con dire, che la Regina di Napoli fu quella che li raccomandò il già Baron d’Armfelt. Del resto la sensazione che ha fatta il mio scritto in questo pubblico è stata profonda, e non credibile l’entusiasmo con cui viene divorato, e cercato. Di 500 esemplari che ne ho fatto imprimere, al momento in cui scrivo non ne restano cinquanta. Onde V. E. assicuri pure S. M.  S. A. R. il Duca Regente [sic], e la Real Principessa, che la mia difesa ad onta della fierezza con cui è stata scritta ottiene fin ora il pubblico voto, e costringe i più prevenuti a darsi per vinti. Intanto i miei amici non lasciano d’inculcarmi di vegliare su la mia persona, mettendomi in vista, che Acton non ha altro modo di vendicarsi, che solo quello di uccidere se stesso, o di togliere la vita a me. Io rispondo a tutti con fierezza, e fermezza, che la mia coscienza è pura, che ho fatto il mio dovere, e che sarà un bel morire dopo aver vendicato il mio onore, e quello del mio sovrano. Non creda però V. E. che io mi abbandoni tanto a questo eroismo, che trascuri le necessarie precauzioni per mettere al coperto la mia persona. Se fin ora sono stato occupato nel difendere il mio onore, prudenza vuole che io m’occupi adesso nel difendere la mia vita. Prevedo la necessità di una ristampa, dovendo questa avere luogo, procurerò di fare quello che non ho potuto fare nella presente edizione, la quale essendo stata eseguita nel più alto segreto, è convenuto farla cattiva di molti caratteri, e pezzi, e scorretta. Questo inconveniente sarà emendato in caso di nuova edizione. Sono col più profondo rispetto / Di V.a Ecc.za Um.o Divot. ed Obb.mo Servitore Francesco Piranesi / Roma 24 Febraro 1795”» ***.
Non ci fu alcuna nuova edizione.
Tra le lettere di Piranesi all’amico Thjulen, conservate nell’Autografoteca Campori, a Modena, –un centinaio di lettere che voglio rileggere con l’impegno che meritano -– si impone ora alla mia attenzione quella datata 7 Marzo 1795, perché, dopo aver detto delle molte sollecitazioni a ristampare la Lettera ad Acton, Piranesi aggiunge: «ma io non mi so risolvere ancora perché quando una volta ho manifestati i miei sentimenti non ci penso più».
In verità, continuerà per mesi a parlare appassionatamente del suo “eroico” pamphlet, ma, evidentemente, provava a giustificare alla bell’e meglio la decisione di fare l’opposto di quello che pochi giorni prima aveva annunciato persino alle autorità svedesi, non potendo confidare neppure all’amico quale terribile evento vietasse l’impresa: inopinatamente, il 28 febbraio, Luigi de Medici era stato arrestato.

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*Il Cracas, fondato nel 1716 dai fratelli ungheresi Luca Antonio e Giovan Francesco Cracas, fu per 40 anni il più importante giornale di Roma.

**Leone Vicchi, Vincenzo Monti, Le Lettere e la Politica in Italia dal 1781 al 1790, Vol IV, anno 1794, pp. 19-20, 23-28, 30-31.

***Rossana Caira Lumetti, La cultura dei Lumi tra Italia e Svezia / Il ruolo di francesco Piranesi, Bonacci Editore, Roma 1990, Capitolo IV, La vicenda Armfelt-Acton-Piranesi, pp.139, 144-145, 147-148.

****R. C. Lumetti, cit, p. 142. Traduzione «di servizio»: Ho letto con grande interesse la lettera che avete scritta al Sig.  Generale Acton. Le prove che voi ivi certificate della falsità somma e atroce delle accuse oltraggiose e inaudite, che vi sono state fatte sono più che vincenti, e mettono in luce una evidenza, che appagherebbe anche il lettore più parziale, il più prevenuto. Purché si prenda la briga di leggerne un foglio solamente con desiderio di conoscere, ammetterà lui stesso la forza con la quale la verità sa fare risplendere la propria luce. Se a quella forza tuttavia ella avesse unito un tantino meno di veemenza e di foga, forse io sarei stato più contento nel primo momento in cui cominciai a leggere; ma devo altresì confessare che più leggevo, e più ho dovuto convenire prima ancora di finire la  mia lettura, che al punto in cui voi lo siete stato, Signore, e attaccato nel punto più sensibile per ogni uomo probo e integro, quello dell’onore, deve essere permesso di difendersi con un calore, che non si impiega in casi di minore importanza. Il Duca vuole sperare tuttavia che voi non avrete firmato questa lettera come ministro del Re poiché la Corte, che voi servite, potrebbe trovarsene compromessa. Ma che voi avrete fatto divulgare il documento per vostro proprio conto privato S.A.R. non lo mette neppure in dubbio poiché era sotto quella condizione soltanto che vi fu concessa libertà di scrivere.