Onora la figlia, di Anna Segre

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Dalla prefazione di Manuela Fraire

Anna scrive questi versi a ridosso della morte della madre. Non sono un omaggio né un congedo, ma un atto di verità. Un gesto che tocca l’intoccabile: la madre, il lutto, l’amore, la legge. «Manca», scrive Anna, «il comandamento del rispetto» che si deve a una figlia, dell’onore che si deve a una figlia. Se esistesse, dice, «il mondo ti giudicherebbe», e «tu temeresti, e staresti attento.» Ma quel comandamento non c’è. E allora scrivere diventa l’unico modo per fare esistere ciò che manca. In queste parole, la figlia non si limita a ricordare: attraversa, interroga, restituisce. Non è la posizione a contare, ma il soffio, il quotidiano. Non la genealogia del sangue, ma quella dell’ascolto. Questi versi non chiedono giustificazione, né indulgenza: aprono una soglia. Parlano da figlia, ma non per restare nel ruolo – per liberarlo, per rifarlo, per dare voce a ciò che non si era mai potuto dire. Ma poi la voce si fa più precisa, più vicina al centro del dolore e della memoria. Non è più solo la figlia che parla del mondo: è la figlia che parla della madre. Una madre che non è figura astratta, ma presenza concreta, quotidiana, irriducibile. Una madre devota e potente, invisibile e sovraesposta. Una madre che si dà e si nega nello stesso gesto, che si fa suora, serva, ebrea, borghese, comunista, povera e ricca. Inafferrabile. Forse irraggiungibile. [...]

Dalla postfazione di Cecilia Lavatore

Se è vero che la sofferenza si può trasformare in altro e non per forza in pianto, se è vero, come scrive Anna Segre, che piangere è piuttosto un atto di aggressione, un ricatto, qui nessuno compiange né è compianto. In Onora la figlia non ci sono vittime da compatire né carnefici da condannare. Non c’è strategia del compiacimento o terapia della sublimazione. Solo esseri umani. Soltanto esseri umani. Anna Segre indaga su una storia di famiglia, la sua, e per farlo scende giù nel pozzo, perpendicolare alla madre e alla terra, aggrappata alla corda tesa della memoria, che certe volte è «come la fame», «più grande dello stomaco». Poi la corda tocca, e allora risale, tenendo del buio «l’intenzione / del fuoco». È una poetica tenace, schietta, tagliente, recide il super f luo e si intreccia alla trama nodosa dei rapporti irrisolti, «come quelli con gli dèi». Il groviglio è da dirimere o forse no, forse solo da osservare, per capirne la forma, i confini, la tenerezza. [...] Al posto della paura qui sono rimasti versi liberi, sciolti in acqua carsica, acqua che diluisce in tante piccole parole la rabbia, la porta sotto il suolo, sotto la prosa paziente dei giorni, sotto l’ipocrisia della buona società e, infine, la rivela, potente e demistificatoria, nella superficie profonda di una poesia. Pagina dopo pagina, Segre ci accompagna tra le stanze di una casa in lutto e ci tiene per mano, siamo noi quella bambina. Siamo noi quella ferita. Scuciamo i punti di sutura, e tuttavia la perdita non si rimargina, continua a smarginare volontà e ribellione in una «primavera implacabile» scambiata per l’inverno, in una lenta caduta scambiata per un volo. [...]

Da Onora la figlia (Interno Poesia 2025)

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Io non sono una proprietà,
anche se nasco dall’atto di qualcuno
e quel qualcuno penserà
di avere dei diritti
su di me.
Potrei non soddisfare le aspettative,
anzi, lo dico subito:

deluderò le proiezioni,
non corrisponderò all’idea
e incenerirò gli investimenti,
sarò un’idiota incurabile,
sarò me malgrado te,
sarò quello che mi pare,
disubbidirò,
disturberò,
busserò
alle tue braccia conserte.

Anche se puzzo
anche se sono matta
anche se sono altra
da quella che speravi.

Puoi mettere tutti i verbi al futuro.
Io sarò lo sperpero del tuo patrimonio,
la tua catena corta di responsabilità
la promessa di fatica
una perifrastica di dolore:
io sono la figlia.

Onora la figlia,
inchìnati
davanti alla gratuità del mio amore,
pròstrati
dinnanzi alla fiducia assoluta
che ti ho concesso
senza nemmeno conoscerti,
senza che te la meritassi.

Chi sarà stato a proporre
onora il padre e la madre?

Commercianti di cromosomi,
tutori dell’ordine costituito
di cui conosciamo
le armi in dotazione
dai secoli dei secoli.

Se non l’amore,
che non si può imporre,
perlomeno il timore.
E non è certo Isacco ad alzare
il coltello,
ma Abramo, uno dei padri d’Israele.
E non è stata Ifigenia
a considerare utile
la propria morte
per un vento a favore,
bensì l’eroe Agamennone,
suo padre.

E quando sarà il momento,
ti verranno a ricordare
il tuo ‘minimo’ dovere,
quel mutuo di obblighi
acceso a tua insaputa
dall’ultima spinta
prima dell’eiaculazione.

Il padre minaccia
e la madre
fa finta di non vedere
(o viceversa)
e alla fine della storia
sono santificati.
Amen.

Non toccare
i genitori.
Non toccare
i padri d’Israele.
Non toccare
i comandamenti.
Non dissotterrare
gli spiriti omerici.

Lascia tutto com’è.
Chi sei tu, per toccare?
Te li troverai contro, ti odieranno
identificandosi nel ruolo,
invece di considerare il sopruso
il non amore
la distrazione
la prepotenza
l’impunità capillare
del quotidiano approfittarsi
del quinto comandamento.
La categoria insorgerà
per tutelare la corporazione
i privilegi le indulgenze i poteri.

Che ne sai tu di educazione?
Solo un genitore sa cosa vuol dire una figlia.
Non sei contenta di quello che hai avuto?
Sei stata fortunata e ci sputi sopra.
Dici che ti hanno danneggiato,
ma eccoti qui libera di vivere, di parlare
(come mai? Hanno fatto il lavoro a metà)

Onora la figlia
cazzo
anche se non sai provare affetto
anche se hai l’anima arida
anche se l’anima non ce l’hai.
Onora la figlia.
Manca il comandamento del rispetto.
Onora la figlia.
Il mondo ti giudicherebbe,
se ci fosse il comandamento.
E tu temeresti e staresti attento.

*

3

A cosa è valso essere
brava ubbidiente ordinata?
Perché quelle cornicette
erano così importanti per voi?
Perché i fiocchi gli astucci
il grembiule la pagella?

Ora che sono riuscita
a stare nei margini,
a farvi contenti,
sento soltanto
la doppia mandata del sistema
che io stessa rendo più forte
e inespugnabile
col mio servizio.

*

14

Le buone intenzioni di mia madre sono atti,
anche se non.
Me le tengo strette,
piano piano si esauriscono,
non saranno eterne.
Le spendo con parsimonia,
le mangio solo nelle grandi occasioni,
quando prego, per esempio.

Vado molto vicino alla comunione, io,
quando penso a mia madre,
cercandone il corpo,
volendola nel sangue, nell’intimo.
Trovo una radice di fede, io,
di religione,
nella madre.
Chiaramente un rapporto irrisolto,
come spesso con gli dèi.
Amen.

*

32

È incesto, se tuo padre si crede tuo fratello?
È abuso, se, in ragione di siffatta convinzione,
ti sfida con tutta la sua forza per dimostrare
che è il primogenito e ti picchia per sottometterti
in anticipo sulla tua eventuale futura statura?

Lo consideriamo violenza domestica,
se tale fratello-padre cerca di zittirti con insulti
prima che tu prenda fiato per emettere un suono?
Come vogliamo codificare la derisione capillare
di ogni inciampo e di ogni passo compiuto,
la svalutazione del massimo dei voti,
l’imbrattare la bellezza,
la malizia non tua
proiettata addosso di continuo?

È un’angheria morale? Possiamo definirla così?
È o non è molestia approfittare di ogni incontro
per insinuare sprezzanti valutazioni di merito?
E tua madre/figlia del padre/fratello,
è incestuosa
o solo sorella di persecuzione?
Possiamo chiamare omissione
il suo mancato divorzio dal padre/fratello?
Possiamo considerare mancato soccorso
che la madre/figlia del padre/fratello
non abbia ucciso
per difendere la figlia figlia solo figlia?
Chi ama chi, qui?
In cosa dovrebbe consistere l’affetto?
Quanto tempo diamo alla figlia figlia
per trasformarsi in figlia/madre?
Possiamo definire
danno
questa trasformazione
obbligata della figlia?
O lo consideriamo resilienza
e applaudiamo alla figlia/dottore
reputando addirittura successo la figlia/terapeuta?

*

50

Me ne sto con le mani
nelle mani
e lo sguardo nel vuoto
pensando che mia madre
era una diga
e adesso
catastrofe
la mia valle è allagata.
Però l’acqua fluisce
come mai prima.

Sempre fonte di vita
anche dopo la morte.

*

Anna Segre, medico, psicoterapeuta, orfana, autoimmune, ha scritto:
Judenrampe (Elliot), Il fumetto fa bene (Comicout), 100 punti di ebraicità (Elliot), 100 punti di lesbicità (Elliot), La distruzione dell’amore (Interno Poesia; premio Camaiore), A corpo vivo (Marietti 1820).

(A cura di Silvia Rosa)