Look what I did about your silence

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L’antologia  multilingue “Look what I did about your silence. An El Martillo Press anthology”, a cura di Matt Sedillo, Gabor Gyukics, Loris Ferri e Edoardo Olmi, accoglie poesie contemporanee in inglese, italiano, ungherese e macedone (con traduzione in inglese), provenienti da Stati Uniti ed Europa, e affronta i molteplici modi in cui i poeti contemplano e rispondono al concetto di silenzio: silenzi divini e interpersonali, ma anche silenzi che permettono ingiustizie quotidiane e grandi atrocità.
Testi di: Lorna Dee Cervantes, Luis J. Rodriguez, Tongo Eisen-Martin, Gábor G. Gyukics, Loris Ferri, Edward Vidaurre, Matt Sedillo, Adam Feinstein, Lynne Thompson, Ewa Chrusciel, Alyesha Wise, Natasha Sardzoska, Yazmin Monet Watkins, Károly Bari, Edoardo Olmi, Cory “Besskepp” Cofer, Rich Ferguson, Susan Hayden, Raffi Joe Wartanian, Angelo Mazzei “Di Poggio,” Roland Orcsik, Erzsébet Tóth, Ludovica Lanini, Dafne Rossi, Ceasar K. Avelar, Iris De Anda, Natalie Sierra, Margaret Elysia Garcia, Vanessa Torres-Mayorga, Ellen Webre, Solomon Rino, Bernadette McComish, Frankie Hernandez e David A. Romero.

Da Look what I did about your silence (El Martillo Press, Los Angeles 2025)

Tregua

Sarà forse per poche ore. Tornare
a gesti abituali, indolenti; quasi semplici,
solidi. Lavarsi, pettinarsi, andare
a raccogliere legna. Le profonde cicatrici
sono continenti scavati sui volti;
non c’è limite, impronta, e anche se il crollo
ha emesso un suo respiro di tregua, i culti
della rovina attendono sino al midollo.
Oggi noi, noi soli. Corpi nudi, respiri,
parole fatte di pane; e un vaso di viole
raccolto tra le macerie. Più prezioso degli ori,
e un ultimo dono: essere, infine, nel sole.

Loris Ferri

vermiglio

i giorni in cui il tempo
ha la durata che gli dai
gli unici 0-0 che guardi
sono quelli della squadra del cuore.
se il desiderio perde tappi
come polline ad aprile,
il vento sbatte le finestre
della quotidianità.

c’è aria a reprimere gli sforzi,
la farfalla lo sa
si leva in alto il vanto del pettirosso;
anche quest’anno la terra
è sopravvissuta.
come spighe carezzo i tuoi capelli
e rossi cerco i quaderni
per le nostre poesie.

siamo fatti per gridare assieme,
i sudori una colata lavica
sopra campi a maggese;
ribollire di risate
in un posto fuori post.
fra le faglie del silenzio
le catene montuose del risveglio –
freschezza dentro al petto
su altipiani della verità
come un albero affondare le radici
dentro al sottosuolo dei millenni.

sei amato quando cerchi un’estetica
su come uscire dal bagno;
morto quando scambi cinguettii
per suonerie di un iPhone.
dentro lo spartito dei respiri
infiniti modi di fare l’amore,
dilata le pupille
la scintilla di ogni
rivoluzione.

i giorni in cui il tempo
ha la durata che gli dai
gli unici 0-0 che guardi
sono quelli della squadra del cuore.

se il desiderio perde tappi
come polline ad aprile,
come spighe carezzo i tuoi capelli

e rossi cerco i quaderni
per le nostre poesie.

Edoardo Olmi

Senti l’apparizione?

Senti l’apparizione? Le ali dell’upupa mi sbattono sotto la
maglia. Il suono huphuphup huphuphup mi trasuda dai
capezzoli: pole dance pagana, i miei seni hanno la sindrome
di Tourette. I seni mi fluttuano come se stessero cantando inni
di chiesa, in ginocchio, in piedi, in ginocchio. Devo fermarmi
e massaggiarli con nuove ninnenanne.
L’upupa è un messaggero dybbuk che mi chiacchiera nel
reggiseno. Quest’azione non è priva di precedenti. Il re
Salomone mandò un’upupa al di là dell’oceano alla regina di
Saba per esortarla alla religione. Plinio non disse niente
dell’upupa. D’altro canto, nel Collegio Romano Kircher
aveva un’upupa nella sua collezione di scheletri, tra ossa di
aquile, gazze, tordi e scimmie brasiliane.
Mia valle di privazioni, mia Cloude of Unknowyng, prega per
me, Upupa epops. Riconvertimi alla meraviglia. Curami il
cuore dal desiderio morboso di tornare a casa. Sei tu che mi
porti al di là dell’oceano, così come lei una volta portò tutti
gli uccelli del mondo in pellegrinaggio al Simurgh. A una
nuova terra in cui le ghiandaie non si stancano e i fringuelli
non lanciano semi ai bambini.

Quando attraverso il confine mi viene il singhiozzo.
L’ufficiale mi fissa i capezzoli. Porto dentro di me la
meraviglia. Porto abbondanza. Risveglio in lui le ali nascoste.

Ewa Chrusciel

Guardone

“Ah, ma lui ci va sempre nei luoghi di degrade”

—lui sa che va—
a guardonare di sguincio le fabbriche occupate non per politica
ma per accattonaggio,

ad aggirarsi guardingo
senza alcuna competenza del linguaggio di laggiù,
e ogni volta un Rom imberbe gli mostra orgoglioso il suo
tugurio moglie-figli;
la fabbrica è lurida e gelida da brivido
ma lui gradisce,
gli piacciono il fango e la ghisa
e ci torna
laggiù, oltre oltre il Quarticciolo
dove la Prenestina diventa vicolo immondo.

Ludovica Lanini

 

*

(Articolo a cura di Silvia Rosa)