GABRIELLA MONGARDI
La stagione “Mondovì Musica 2025” non poteva concludersi in modo migliore e in luogo migliore: la barocca “Chiesa della Missione”, capolavoro di illusionismo pittorico di Andrea Pozzo, non riusciva a contenere tutto il pubblico accorso per ascoltare dal vivo il massimo capolavoro di Ludwig van Beethoven, la Nona Sinfonia op. 125 in re minore, eseguita dai solisti, dal coro e dall’orchestra del Conservatorio “Giorgio Federico Ghedini” di Cuneo diretta dal maestro Gian Rosario Presutti, con la partecipazione della Corale Polifonica “Il Castello” di Rivoli, della Società Corale Città di Cuneo e del Coro Polifonico di Boves; maestro del coro Massimo Peiretti.
Un organico imponente sicuramente voluto da Beethoven per “incarnare” gli ideali che la sinfonia vuole affermare – un organico imponente per un’opera monumentale, una pietra miliare nella storia della musica europea, ma non solo. La Nona sinfonia infatti non segna solo lo spartiacque tra il classicismo viennese e l’incipiente romanticismo, ma grazie alla rivoluzionaria scelta beethoveniana di inserire solisti e coro in un genere fino ad allora esclusivamente strumentale come la sinfonia diventa veicolo di un messaggio universale di fratellanza, espresso con le parole dell’Ode alla gioia di Friedrich Schiller, che conclude l’opera e ne rappresenta il vertice.
Il quarto e ultimo movimento, articolato in presto-allegro assai-recitativo-allegro assai, “ricapitola” l’intera sinfonia, riprendendo i temi dei tre movimenti precedenti, ed è stato definito una “sinfonia nella sinfonia” suonata senza interruzioni, ma scandita solo dalle pause delle strofe.
Con pathos tipicamente romantico, l’ode celebra l’ideale illuministico di una società di uomini legati tra loro da un vincolo di fratellanza universale fondato sulla “gioia”, intesa non come semplice allegria, ma come pienezza di vita che l’uomo raggiunge gradualmente, liberandosi dal male e dall’odio – un ideale davvero rivoluzionario. Con parole infuocate, e usando sempre il “noi” comunitario, Schiller esalta il momento in cui gli uomini entrano nel “santuario” della gioia, “scintilla di Dio, figlia del Cielo” e l’effetto che la gioia produce: «Tutti gli uomini diventano fratelli, dove si posa la tua dolce ala». Si rivolge poi direttamente ai “milioni” di esseri umani esortandoli a vivere “abbracciati”, a seguire la loro strada nell’amicizia e nell’amore, fonti di “gioia”, e a “guardare in alto” per riconoscere, al di sopra della “tenda di stelle” la presenza di un “padre” comune a tutti.
La musica potente e impetuosa ora asseconda il ritmo incalzante e marziale degli ottonari piani e tronchi alternati, ora lo sfuma in un alone di dolcezza: i due temi dell’inno si intrecciano passando da una sezione all’altra dell’orchestra e del coro, da un solista all’altro, dalle voci di nuovo agli strumenti, in un vortice di tensione ed esultanza.
È stato profondamente emozionante ascoltare dal vivo la Nona Sinfonia, interpretata con freschezza e passione, e insieme con solennità e rigore, da “milioni” di musicisti accomunati dalla “gioia” della musica.
Ma i rumori di guerra del nostro presente spengono quella gioia, e dopo il concerto rimangono nella mente, come una preghiera ancora vergognosamente attuale, le parole che Beethoven stesso, 200 anni fa, ha premesso ai versi di Schiller, e che il baritono intona come breve preludio all’ode: «O amici, non questi suoni! ma intoniamone altri più piacevoli e più gioiosi». Purtroppo al mondo ci sono troppi sordi.