Una “Mole” di armonia

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GABRIELLA MONGARDI

Lo splendido concerto dell’ensemble “La Mole Armonica”, tenutosi a Mondovì Piazza sabato 17 maggio scorso, ha rappresentato un compendio esemplare, una perfetta ricapitolazione delle caratteristiche della musica strumentale nell’età barocca. Si è soliti associare il Barocco musicale al melodramma (“invenzione” del italiana Seicento), ma anche la musica strumentale come la conosciamo oggi, cioè come arte “autonoma”, slegata dal canto, nasce proprio in età barocca, trasferendo nei concerti moduli del  melodramma, quali l’alternanza di “allegro – adagio – allegro” tipica delle ouverture o la struttura “a ritornello” delle arie.

Nell’ambito della musica strumentale, in età barocca predominano due scuole opposte, la francese e l’italiana: la musica francese ha come forma tipica la suite di danze e spesso è musica “a programma”, cioè descrittiva; mentre in Italia i generi tipici sono il concerto grosso e il concerto solistico, il carattere dominante è la cantabilità delle melodie. In questo panorama la Germania, con il suo severo stile contrappuntistico, era in secondo piano, ma i musicisti tedeschi come Bach (1685-1750) o Telemann (1681-1767) fecero propri i generi e gli stili “stranieri” e li ricrearono con la contaminazione tipica dell’arte barocca.

A Georg Philipp Telemann era appunto dedicato il programma del concerto, che già nei titoli dei pezzi proposti (due suite e due concerti) evidenziava l’omaggio del musicista alle scuole francese e italiana.

La prima suite proposta, “Les Nations”, riprende esplicitamente “Les Nations” di François Couperin, piegando la successione di danze alla “descrizione” dei tratti tipici di gruppi umani (non solo “nazioni” nel senso moderno del termine, come i Turchi o gli Svizzeri, ma anche “zoppi” e “corridori”), mentre la seconda suite “Burlescque de Quixotte” addirittura mette in musica una sintesi del “Don Chisciotte” di Cervantes, spingendo la musica descrittiva ben oltre l’imitazione dei suoni della natura o della caccia o della vita agreste, in una sfida – tipicamente barocca – a stupire l’ascoltatore in modi sempre più audaci. Così la musica si fa pomposa o danzante, frenetica o meditativa, solenne o incalzante nel tratteggiare l’indole degli uomini; mentre per Don Chisciotte l’afflato epico iniziale è venato di inquietudine e fatica; un’ironica marcia militare accompagna Sancio, seguita dal galoppo irregolare delle cavalcature; originalissima la conclusione, con i musicisti che lasciano il palco pochi alla volta, continuando a suonare sempre più piano.

Il primo concerto eseguito, per due violini, ha la struttura del concerto grosso corelliano: alterna un movimento veloce a uno lento e, pur mantenendo elementi di danza e strutture fugate, si fonda su un serrato dialogo tra i solisti e l’orchestra, in cui brilla il virtuosismo del violino.

Ma il vertice dello spettacolo è il concerto per viola, il primo in cui questo strumento abbia un ruolo di solista. Il primo movimento, un largo, è aperto dall’orchestra con infinita dolcezza: il solista ribatte riproponendo il tema con languido abbandono; nel successivo allegro la viola afferma perentoriamente le proprie ragioni melodiche in un crescendo tumultuoso; nell’andante l’orchestra lascia una pausa al solista che medita cullato dall’accompagnamento armonico degli archi e poi espone le sue conclusioni: la vista ci inganna, l’orecchio no. È una conclusione malinconica, priva di trionfalismi, eppure la musica è l’unico punto fermo in un mondo destabilizzato dalla rivoluzione scientifica di Copernico e Galileo. Così il presto finale, con la sua cascata incessante di note sempre nuovamente zampillante, è un inno alla  musica, sorgente di inesauribile energia vitale.