Febbre d’estate

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GIORGIA DE CAROLIS

Un turbinio di sudore. Nei pomeriggi con 35 gradi fuori e 39 dentro. La gola un fuoco, la pelle un fuoco, le labbra un fuoco. Anche i capelli fanno male.
Il ghiaccio è una benedizione: bibite ghiacciate, borsa del ghiaccio, ghiaccioli, gelati.
Il letto diventa una distesa infinita di lenzuola che si muovono come onde, ti avvolgono, si allungano, a volte ti fasciano come se fossi dentro una teca del Museo Egizio. Il cuscino è bollente, molle, ci sprofondi dentro.
Ti assopisci con la finestra semiaperta da cui arriva una piacevole brezza, e i rumori della strada si mischiano a quelli dei sogni confusi. Verso le quattro di notte arrivano i brividi. Dal deserto del Sahara si passa alla Siberia. Il peggior freddo mai provato con il caldo.
Mentre dormo sogno Benevello, la fresca casa di campagna dei nonni. Lì vedo Gigi, mio nonno, che nel dopopranzo sonnecchia assopito su una sedia sdraio con in mano la Settimana Enigmistica. Quello del sonnellino era uno dei momenti più belli della giornata. Dalle due alle quattro tutto si fermava. Fuori faceva molto caldo, ma dentro casa dei nonni sonnecchiavi nel letto con la copertina che copriva una leggera pelle d’oca. La nonna Dina, invece, si riposa nella camera da letto, alla penombra delle persiane in legno.
Quando mi sdraiavo al suo fianco per prendere sonno guardavo i disegni e gli intarsi dell’armadio in legno di fianco al letto. Mi rassicura pensare ai sonnellini estivi a casa dei nonni, provo anche un po’ di nostalgia. La febbre mi rende ipersensibile. Può capitare che mentre mangio con fatica un piatto di pasta fredda mi vengano le lacrime.
Provo ad aprire il portatile, ma i tasti si sciolgono sotto le mie dita. In testa suonano i Beach Boys con Wouldn’t it be nice mentre immagino Brian Wilson che compone Pet Sounds in mezzo alle caprette. Anche il suono del russamento notturno diventa una rassicurante melodia mentre tremo come un ospite di San Patrignano.
35 gradi fuori, 39 dentro, mentre corro in un ambulatorio medico alle due di un pomeriggio rovente. Ho la borsa del ghiaccio sulla fronte, sul collo, tra gambe. Per una frazione di secondi non capisco bene dove sono. Penso che sto scendendo all’inferno e che lì troverò Billy Crystal che mi aspetta con un cocktail ghiacciato in mano mentre ascolta Benny Goodman. Un cocktail verde, come il ghiacciolo alla menta.
A proposito di gelati, a Benevello si faceva sempre merenda nell’unico bar del paese, quello del signor Claudio, una garanzia. C’è stato un periodo in cui prendevo spesso il cornetto al gusto whisky, era molto buono. Tempo dopo, nemmeno così tanto, ho scoperto che il gusto non corrispondeva minimamente a quello della bevanda alcolica. Whisky era anche il nome di un cane trovatello di taglia media che nelle passeggiate serali ci accompagnava per le vie del paese. Era di tutti ma di nessuno.
All’epoca avevo un anellino che cambiava colore a seconda del calore corporeo, l’avevo trovato in una scatola di cereali. Se lo indossassi ora esploderebbe. Quando diventava nero sapevo che l’estate stava finendo per lasciare il posto all’autunno e all’inizio della scuola.
35 gradi fuori, 39 dentro. Ma tutto sommato l’estate è bella anche così. Nei suoi deliri febbricitanti, nelle perle di sudore che ti rigano il collo. Tutti i rumori sono amplificati, in altri momenti, invece, tutto tace tranne il frinire delle cicale che sembrano pronte al decollo.
A un certo punto il cielo diventa nero e i lampi tagliano le nuvole. Vorrei uscire quando la pioggia è passata, tenerti per mano mentre calpestiamo l’asfalto bollente, mangiare dal tuo piatto al ristorante cinese mentre mi parli della tua giornata e bere un bicchiere di vino fresco a mezzanotte.

(L’immagine è stata realizzata dall’autrice con l’assistenza dell’intelligenza artificiale generativa di OpenAI.)