Fracchia colpisce ancora.

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LORENZO BARBERIS

Il Fracchia del titolo non è il secondo personaggio più famoso del grande Paolo Villaggio, come potrebbe pensare qualche ingenuo lettore. Si tratta invece, ovviamente, di Nino Fracchia, uno dei più importanti esponenti dell’arte monregalese, oggi omaggiato da una bella mostra “Tra decorazione e paesaggio” allestita presso il Casino di Lettura di Mondovì Piazza, da lui affrescato nel 1920, e di cui ho scritto qui su Margutte (Anche il sito ufficiale del comune di Mondovì, nel presentare la mostra, attinge alle fotografie di quel servizio, e la cosa non può che farmi piacere, come riconoscimento – naturalmente implicito – dell’utilità del mio lavoro di promozione culturale).

La mostra è particolarmente succosa perché, in mezzo a una serie di opere “di contorno” di suoi tipici paesaggi rurali, e a due autoritratti dell’autore, sono presentate due importanti ricerche dell’artista, finora mai soggette a pubblica esposizione. La più antica è una serie di 11 pannelli a tempera di proprietà della Camera di Commercio di Cuneo mai esposti in pubblico, risalente al 1930-1932, la seconda, più recente e ancor più famosa, è la raccolta delle tavole realizzate nel 1946 per un prestigioso volume dedicato al primo presidente della repubblica, il doglianese Luigi Einaudi, che ritornava in quei tempi a visitare la sua Provincia di Cuneo.

Giovan Battista (da cui Giovannino, Nino) Fracchia nacque a Vicoforte nel 1888, “annus terribilis” torinese della follia di Nietzche, della morte di Don Bosco e della nascita di De Chirico (che si riteneva perciò legato al filosofo tedesco in visita torinese).

Nel 1901 Fracchia si iscrive presso la gloriosa Scuola Professionale, aperta nel 1874 a Mondovì per formare artigiani di eccellenza, vincendovi sempre la borsa di studio. Si diploma dopo un triennio (1904) e – eccellente tra gli eccellenti – continuò poi all’Albertina nel 1905, dove si licenzia nel 1909.

Siamo nell’anno zero del Futurismo italiano (nel 1907, durante i suoi studi, è apparso il cubismo di Picasso). Fracchia, ovviamente, resterà nell’ambito del figurativo, cui è stato iniziato da Giacomo Grosso, nume tutelare della pittura accademica piemontese del periodo; stile che predomina, ovviamente, anche sulla scena monregalese, dove anzi opera uno dei maggiori nomi dell’arte dell’epoca, Gian Battista Quadrone, scomparso nel 1898 ma ancora venerato come ultimo baluardo del vecchio Ottocento che muore.

Allievo promettente, nel 1911 è alla Mostra etnografica di Roma, dove conosce Balla e il nascente cubismo, cui rifiuta di aderire. Nel 1912 è in mostra a Torino (indispensabile è, come al solito, nelle note che seguiranno, la consultazione delle insuperabili opere su Mondovì di Ernesto Billò, l’invincibile wikipedia del monregalese).

In seguito, a sorpresa, Fracchia lascia la Torino primonovecentesca di Gozzano e torna nella sua Mondovì, al suo caffé, i suoi amici, alla piccolissima bohéme di provincia, che egli sente come più congeniale. Assieme alla ditta Prinotti avvia un cantiere di restauro della parrocchiale settecentesca di Marene (1914).

Fracchia diventa così il genius loci di una Mondovì che scivola lentamente dai fasti giolittiani alla perifericità nell’età fascista. Nel 1916 la prima importante mostra monregalese al Trianon, a fianco di Quadrone ed altri.

Dopo l’esperienza del conflitto, ottiene una prima grande commissione postbellica con la suddetta sala del Casino di Lettura di Mondovì Piazza (avviate dai Prinotti nel 1919), il salotto buono dell’élite cittadina, ponendo la sua firma con data, “G.B. Fracchia 1920” (solo dal 1922 passerà alla firma Nino Fracchia, con cui è noto), sotto l’allegoria del Carnevale. La sala che, giustamente, ospita l’attuale mostra, di cui di recente si è completato il restauro delle pitture di Fracchia e dell’apparato decorativo di Prinotti.

L’opera è uno dei suoi capolavori, decisamente più libero dei suoi precedenti lavori ecclesiastici presso la Parrocchia di Piandellavalle.

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Il palazzo è illustre, Palazzo del Governatore che nel 1583 aveva accolto il duca di Savoia in visita alla città, e che nella facciata a stemmi (recentemente restaurata nel corso degli anni 2000) riportava i simboli di tutti i governatori della città.

Dirimpetto al palazzo, dal lato opposto della Piazza Maggiore che dà il nome alla città alta, si trovava inoltre la chiesa gesuita di San Francesco Xaverio, affrescata nel 1685 da Andrea Pozzo, massimo pittore gesuita che da essa avrebbe tratto spunto per le più prestigiose realizzazioni nelle sedi centrali dell’ordine a Roma.

E, almeno stando al bel saggio del professor Mamino sul bel catalogo della mostra, Fracchia potrebbe aver ripreso ispirazione dall’insigne modello antistante.

Qui, su “Margutte”, ho analizzato gli affreschi (di cui potete vedere alcune foto): alle allegorie femminili dei quattro continenti (dominati dai gesuiti) si sostituiscono le allegorie parimenti muliebri della Lettura, della Festa, del Gioco e della Fortuna. Come in ambito religioso graziosi cherubini contornano sante ed allegorie morali, qui giocosi amorini classicheggianti accompagnano queste allegorie epicuree (anche la Lettura, in fondo, è lettura di cose piacevoli, e sfoglia non un ponderoso librone, ma una rivista illustrata).

Il tema del Casino di Lettura è così interpretato in modo eclettico, con una prevalenza 3 a 1 dell’elemento ludico ed edonistico. Interessanti le interpretazioni su catalogo di Mamino, che confermano l’idea di una valenza simbolica piuttosto raffinata del ciclo decorativo: la Fortuna spande il vile denaro, ma serba per sé lo Scettro (il Potere), la Corona (la Gloria) e una collana di perle verdi (che Mamino legge come Eleganza), mentre dietro all’allegoria del Gioco si cela una donna stravolta dalla Perdita che inevitabilmente colpisce il giocatore.

La Festa è la scena più importante, mentre la Lettura finge solo di leggere, mentre appunto sfoglia giornali illustrati, porti da una fanciulla bionda, la Cronaca, con gossip locale e una caricatura, probabilmente, di Giolitti.

La celebrazione del Casino di Lettura diviene così compiaciuta, subliminale anti-celebrazione, che svela come la Lettura è solo Copertura per feste dell’élite cittadina che, da alcuni accenni (trapelati tra l’altro anche in un romanzo “esoterico” locale come “Il diavolo in Piazza”…) appaiono come decisamente gaudenti, almeno un tempo, e non lontane dagli antichi baccanali.

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Nel suo capolavoro monregalese Fracchia è molto vivace nel brio interpretativo ma ancora vicino a quell’Ottocento che gli fa da modello, ultima emanazione del Classicismo Eterno.

Negli anni seguenti affresca varie chiese e case borghesi, inizia a illustrare per riviste, ed è anche nel comitato ristretto per il Monumento ai Caduti (1924) che sarà poi realizzato dal suo amico Malfatti.

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Ma già nei temi emerge una sottotrama carnascialesca (come nel dipinto sovrastante, in mostra) che emerge bene nei manifesti per il carnevale monregalese, tradizione (condannatissima come massonica e demoniaca sui giornali clericali dell’epoca) dal 1903. Il suo manifesto del 1928, ad esempio, ha già l’essenzialità che apparirà poi nei grandi quadri realizzati per un’esposizione della camera di commercio di Cuneo, realizzati tra 1930 e 1932.

Fracchia non firmerà tali cartelloni col suo nome, usando pseudonimi suggestivi (Del Corallo, Rio Bianco, Marino), probabilmente per non legarsi ad una “arte minore”. Ma queste immagini sono estremamente vitali, energiche, e recepiscono anche nelle spatolate vibranti elementi di modernità, di astrazione, che l’artista riesce a rielaborare in una sua evoluzione popolare.

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Una astrazione che è innanzitutto cromatica, con colori surreali che sembrano quasi seguire l’evoluzione di Kandinsky a un livello artistico globale. Per paradosso è l’elemento iper-tradizionale dei costumi tipici a fornire il La al cromatismo sfrenato che investe, qui sopra, il profilo di una Cuneo simboleggiata dai suoi campanili.

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Qui lo stesso avviene con l’amato Santuario della natia Vicoforte, e uno sguardo sul locale che sembra, per paradosso, non lontanissimo dall’esotismo di un Gaugin. Uno sguardo vicino che è però invece qui, anche, riscoperta, sguardo meravigliato.

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Non possono poi mancare le Montagne, elemento fondante del Pie-Monte e soprattutto della montuosa provincia granda cuneese, di cui però Fracchia sa cogliere ormai i due aspetti dominanti: le solite donnine in abiti tradizionali, ma anche la giovane alpinista, meno sexy ma ugualmente moderna e smaliziata di quelle di Boccasile, anticipazione quasi della ragazza col cappuccio celeste-cielo di Calvino, simbolo ambiguo, ma affascinante, dell’Italia del Boom.

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Una di queste opere, quella coi simboli di Mondovì astrattamente associati (Torre, Santuario di Vico, Moro di San Pietro) diverrà la copertina del fondamentale volume di Billò-Morandini (1999) sulla Mondovì 1900-1940, assurto non casualmente a simbolo di quell’epoca.

Negli anni ’30 Fracchia inizia a insegnare presso la Scuola Professionale ove si è formato (1932), e realizza la sue grandi ville per il nascente Altipiano: Casa Sarietto-Cavallo (1933), Villa Mondino (1934), Casa Ponzo (1935), Villa Martini e Villa Lamberti (1936), villa Venghi (1937).

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Con lo scoppio della guerra, non manca di contribuire ad illustrazioni per le riviste di propaganda fascista, aspetto sottaciuto della sua produzione, ma che sarebbe oggettivamente interessante documentare. Quella sopra è da “A Noi!”, rivista fascista monregalese del 1941-1943, e al di là dell’ovvia propaganda (che sarebbe tornata utile anche negli anni ’50, o per alcuni anche oggi, cambiando nemico…) è innegabile la validità della fattura tecnica.

Finita la guerra, la morte della madre nel 1946 lo porta a incupirsi, a chiudersi in sé. Le ultime opere, meno giocose (per quanto fino all’ultimo illustri i manifesti del carnevale, fino al 1950), sembrano voler essere un testamento artistico e spirituale.

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Un nucleo importante di questa sua eredità è costituito dalle opere del 1948, le incisioni pensate per il libro-omaggio ad Einaudi, sono una delle ultime opere dell’autore, scomparso nel 1950 (anno del suo ultimo manifesto per il Carnevale).

Campiture uniformi di pochi colori si sommano con un effetto optical a realizzare in chiave ormai quasi astratta i grandi classici del cuneese.Il “Cuneo Gotico” di recente riscoperto viene qui rielaborato in una efficace sintesi quasi geometrica, “a collage”, che è in qualche modo l’autorevole testamento artistico di Fracchia. I colori sono cupi, bui, come in molta pittura di questo periodo.

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Curioso notare che negli stessi anni Einaudi fu oggetto anche di un diverso “omaggio” da parte di Guareschi, che sul Candido lo lasciò disegnare a Manzoni attorniato dalle sue bottiglie; atto per cui sia lui che Carlo Manzoni furono condannati a otto mesi con la condizionale. Guareschi, denunciato poi da De Gasperi per celebri lettere – questione molto più discutibile – in base anche a questa vignetta fece due anni di carcere. Per carità, meglio dell’ISIS, ma comunque un’Italia poco distante da noi, agli antipodi da quella che oggi si sente “Charlie Hebdo”.

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Se Einaudi da un lato prese formalmente le distanze dalla condanna, non si attivò però più di tanto – come sarebbe stata sua prerogativa di presidente – per evitare il carcere al giornalista e umorista, attirandosi anche le critiche da parte dei giornali di destra dell’epoca.

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Tornando a Fracchia, la morte nel 1950 pone fine a una esperienza artistica che, del resto, volgeva già verso il tramonto, uomo di una dolce Mondovì ridente chiusa nel suo primo Novecento. E se i Colombari del cimitero di Mondovì, completati nel 1952, sono per molti il definitivo testamento spirituale, credo debba mantenere una valenza che anche in quest’epoca cupa della sua ultima produzione non siano mancati i suoi manifesti del Carnevale, incluso quello del 1950, carnevale particolarmente significativo, momento di rinascita dopo la cupezza della guerra.

La festa nella tenebra, dunque, ma anche la tenebra nella festa, una ambivalenza comunicativa tipica del carnascialesco e presente, in fondo, già nei pur ridenti affreschi del 1920, come sopra abbiamo avuto modo di dire.

Per concludere, dunque, un’esposizione molto interessante, il cui limite maggiore è forse la brevità. Per il resto, non c’è nulla da fare. Fracchia, anche oggi, colpisce ancora.