L’incredibile storia del profeta Mansur

7Il risveglio di Viktor

Settima puntata Il risveglio di Viktor

FRANCESCO PICCO

Finalmente aprì gli occhi. Sentiva le palpebre pesanti. Sollevarle gli costava fatica: gli provocava un dolore sordo alla base della fronte. Nonostante questo, Viktor alla fine si sforzò di guardare. Spalancò i suoi occhi azzurri da bambino e li richiuse immediatamente. La luce! C’era troppa luce nel posto dov’era… Probabilmente – pensò – era in paradiso. Quella era la luce di Dio, della quale gli avevano parlato tante volte i preti. Certo. Ma se era così, se quello era il paradiso, come mai tutto il corpo gli faceva tanto male? La spalla destra, in particolare – e la pancia, il bacino, le ultime costole. Viktor, a occhi nuovamente chiusi, ripensò agli ultimi istanti della sua vita: la piazzetta sul retro del convento, l’urlo implorante di Sergej, le ombre, il colpo in pieno ventre…

Ecco, il ventre. Si tastò la pancia. Gli faceva male, troppo male per essere morto. Scoperchiò gli occhi con sfida. La luce non era più così forte. Poco per volta le sue pupille misero a fuoco l’ambiente in cui si trovava. No, quello non era il paradiso. Era una stanza luminosa ed ampia, con un soffitto affrescato. Immagini religiose incombevano su di lui, un po’ minacciose. Non erano immagini bizantine. Sembravano più simili a quelle  della sua infanzia e della sua adolescenza, quelle cattoliche del Regno Sardo. Il suo cervello effettuò una serie di associazioni rapidissime e lo portò all’unica conclusione logica possibile: era di nuovo là dove voleva essere, dentro il convento dei frati armeni.

Vincendo il dolore, Viktor  si sollevò sui gomiti per vedere meglio. Tanto per cominciare, voleva vedere stesso. Non si vide come si immaginava. Non aveva ferite aperte  – ma non aveva nemmeno più i vestiti laceri da servo della gleba con cui ricordava di essere entrato nel convento. Era stato spogliato ed ora, sotto la pesante pelliccia di orso con cui lo avevano ricoperto, non indossava vestiti.  I segni di un’attenta medicazione si leggevano sulla sua gamba sinistra. Lì dovevano averlo addirittura accoltellato, eppure non sentiva dolore. Il medico che lo aveva curato doveva essere un santo od un mago. Sulla pancia invece – dove più gli faceva male – si vedevano solo vistose escoriazioni e lacerazioni della pelle. Nulla di grave.

La sue considerazioni terapeutiche furono interrotte da un rumore. Istintivamente, il pudore lo spinse a ricoprirsi con la pelliccia di orso almeno fino all’ombelico. Si sdraiò di nuovo ma non chiuse gli occhi. Guardò dietro di sé e vide che la porta in fondo si stava aprendo. Un’ombra curva e lenta si mosse verso di lui. Viktor non tardò a riconoscerla: era il misterioso monaco taumaturgo, l’oggetto della sua ricerca, la persona con cui più di tutte avrebbe desiderato rimanere solo per carpirne i segreti medici. Ora che il suo desiderio si stava realizzando, però, non era più così sicuro di esserne felice. Intanto, non sapeva  in quale lingua parlargli – non gli era forse parso di averlo sentito parlare nella propria? Ma era solo un’impressione, un ricordo ingannevole magari. Quando lo vide accanto a sé, incombente sopra di lui, si limitò a sorridergli senza nascondere un certo imbarazzo.

Il vecchio monaco lo fissò con severità. Viktor deglutì. Si sentiva stupido, impotente e – chissà perché – colpevole. Anche se non avrebbe saputo dire di cosa. Il vecchio, senza cambiare in nulla la propria arcigna espressione, gli sporse un involto scuro che Viktor non riconobbe immediatamente ma prese comunque in mano. L’involtò si dipanò scompostamente. Era un vestito da frate armeno, identico a quello indossato dal vecchio. Viktor non ebbe la forza di parlare (e in quale lingua avrebbe dovuto farlo?). Puntò invece l’indice della mano destra contro il proprio petto nudo, come a significare – questo me lo devo mettere io?

Il monaco fece segno di sì con la testa. Viktor non avrebbe dovuto dir niente, probabilmente, ma fu più forte di lui l’istinto che lo indusse ad esclamare in piemontese ma mi, son pa n’Armén… Io non sono mica un Armeno!

Il vecchio lo fissò con occhio cattivo, poi scoppiò a ridere. Viktor si sentì gelare il sangue nelle vene, per quella risata. Ma subito il cuore, che gli si era fermato, ricominciò a battere. Il vecchio aveva detto qualcosa. Inequivocabilmente, aveva parlato. E inequivocabilmente aveva detto questo:

-S’a l’é mach për lòn, mi gnanca… [1]

[1] Se è solo per questo, io neppure…

(Continua)

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Illustrazione di Franco Blandino