La “garitta del diavolo”

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MANUELA ZANOTTI.

“Professore, dove abita?” domandò Nicola, mentre uscivano da scuola. Il Professore indossava un’elegante giacca di Armani, con un foulard nello scollo della camicia di sartoria. In una mano una borsa in pelle, questa di Gucci.
“Vieni e vedrai”, rispose il Professore, supplente annuale d’Italiano, Greco e Latino della prima Liceo B.
Nicola lo seguì attraverso l’anfiteatro delle antiche case affacciate sul declivio della collina, solcato, nel punto più profondo, dall’ombrosa trincea della vecchia funicolare. Intorno si assiepava l’antica folla dei palazzi, nobili ormai decaduti.
Il Professore, appena arrivato nella cittadina per il suo incarico annuale, si era sistemato in un antico appartamento al quale si accedeva da un pittoresco vicolo, una stradina in salita, inaccessibile alle auto, che si addentrava tra le mura d’antichi edifici. Aerei archi rampanti erano tesi tra le strette mura che lasciavano solo un piccolo frammento di cielo.
Nicola provava un vago timore, indefinito: pareva esalare, arcano, da quelle stesse mura. Una porta gotica, murata, si apriva sulla sinistra, come a celare antichi misteri. Delle ortensie quasi blu fiorivano in una ciotola sopra un muricciolo in mattoni; in una nicchia crescevano degli alchechengi. Poi entrarono in un cortile che era stato semplicemente pulito e riempito da cascate di gerani.
“Questi erano tutti edifici religiosi, e il vicolo, oggi chiuso, un tempo sfociava accanto al Seminario. Era chiamato “Garita del Diao”, la “Garitta del Diavolo”, come ad indicare che accanto all’acquasanta e al profumo d’incenso resta sempre un sottile odore di zolfo…” disse il Professore con un sorriso lievemente sarcastico. Si sentiva, in effetti, uno strano odore, ma forse era solo il verderame che era stato dato ai tralci d’uva americana che crescevano in un angolo del cortile.
Attraverso una stretta scala entrarono in uno splendido appartamento. “Vedi che bisogna entrare per la porta stretta? Questo era l’appartamento di un ecclesiastico vissuto più o meno quando il Pozzo stava affrescando la vicina chiesa della Missione.”
Lo fece entrare in uno splendido salone dalle pareti dipinte di verde e il soffitto mirabilmente affrescato. Una Natività secentesca dominava una parete. “Accomodati sul divano: io vado a finire di preparare il pranzo; nel frattempo ti metto un po’ di musica…”
Le note del “Requiem di Mozart” si diffusero per l’appartamento. Nicola era quasi intimorito dalla sontuosità degli ambienti: per poterselo permettere, il Professore doveva avere ben altre entrate, ma di lui non si sapeva nulla. Gli sarebbe piaciuto essere come lui: amava quella raffinatezza. Grossi pezzi di antiquariato dominavano nel salone, come la splendida consolle rococò, il secretaire in legno intarsiato di tartaruga, il tappeto persiano che copriva quasi tutto il parquet…
Passarono nella sala da pranzo, mirabilmente affrescata a figure monocrome e statuarie, immense, come non potevano che esserlo gli Antichi. Erano scene dell’Antico Testamento, intramezzate da colonne in trompe-l’oeil. Essendo una stanza interna, restava in penombra. Solo una lunetta lasciava trasparire un po’ di luce naturale, filtrata da spicchi di vetro azzurro chiaro che recavano dipinti strumenti musicali e simboli religiosi.
Doveva avere pure un cuoco o un maggiordomo perché il pranzo era già pronto e sistemato su un carrello da portata.
Sulla tavola imbandita con un prezioso servizio di porcellana, calici di cristallo e posate d’argento, erano accese alcune candele messe in splendidi candelieri da altare.
Il padrone di casa accese l’ordine inferiore delle luci del lampadario in vetro di Murano, quasi lievi fiori di zucchero caramellato.
“La dignità del sapere è anche fatta di queste cose”, disse all’allievo, mentre gli serviva il carpaccio di salmone. “La nostra vita non deve mai cadere nella quotidianità: ogni giorno deve essere un nuovo respiro di vita, di creazione… Chi detiene il potere vuole farvi incancrenire nella mediocrità, inculcarvi l’illusione di molti valori in cui loro fingono di credere, poi a trent’anni, aprirete gli occhi e resterete delusi. Lo so perché questo è accaduto anche a me!”
Nicola apprezzava cosa gli stava dicendo il Professore: per lui un insegnante doveva essere prima di tutto un maestro di vita, e sempre, finora, era stato deluso. Il Professore non doveva mai andare via, solo lui poteva essere un maestro, l’unico che, finalmente, si era accorto di lui!
Mangiarono un’insalata di mare in grandi conchiglie di capesante, le lumache alla parigina ed altre prelibatezze. La vita non doveva cadere della quotidianità, mai!
Poi gli antichi fantasmi lo ripresero.
“Ti vedo pensieroso, Nicola, cosa c’è?”
“Pensavo… noi siamo qui, circondati dal meglio, viviamo la piena dignità del nostro essere uomini, ma allora perché ci sono gli orfanotrofi, ci sono esseri malati e deformi, c’è chi muore di fame?”
Il “Dies irae” risuonava tra le volte affrescate, i cui personaggi quasi giganteschi restavano cupi, truci, anche se filtrati dai rami e dalle infiorescenze quasi zuccherine del lampadario.
“La natura va corretta, e la religione lo impedisce. La religione induce alla rassegnazione! Ma se non ci fosse religione, non ci sarebbero infelici perché si provvederebbe prima a cancellare gli errori della natura!” disse, gustando un sorso di vino dal calice di cristallo.
Il “Rex tremendae” trionfava tra i grandiosi personaggi degli affreschi che un pittore, forse lo stesso Andrea Pozzo, aveva reso quasi immortali su quelle pareti restate troppo a lungo segrete. Il professore servì un favoloso dolce fatto di morbida meringa con crema pasticciera dal delizioso sentore di vaniglia. Ed insieme gli versò un moscato dolcissimo, ambrosia preziosa come il nettare di sapienza che con generosità offriva a chi glielo chiedeva. Come non amare il Professore?

Presto erano arrivate le vacanze natalizie. La città si era come risvegliata: erano le undici e un quarto e qualcuno già si stava preparando per la tradizionale Messa di mezzanotte. Alberi di Natale nelle case, a spiare dietro i vetri e le cortine, o scintillanti di luci sui balconi. Vivo era il centro commerciale di Breo, con le luci del bar Statuto, veloci ladri i tanti rossi Babbi Natale che parevano arrampicarsi fin dentro le case. Illuminato a festa ma silenzioso il Municipio. La neve scendeva copiosa contro i muraglioni che fiancheggiano la statale, sotto l’edificio delle Professionali; gli alti pini lì intorno erano gigantesche creature ammantate di bianco. Ville illuminate, su per la salita.
Passarono per la via di Vasco, lasciando la macchina davanti all’antico Vescovile, ormai disabitato.
Nicola voleva passare a salutare il Professore: l’impervio e suggestivo vicolo era lì, reso un po’ malsicuro dal velo bianco che ne copriva l’acciottolato sconnesso. Prese su per la ripida salita. “Stupido, ma cosa fai?” gli urlò dietro suo padre, ma Nicola neppure lo sentì: La venerazione per il Professore in quei mesi era andata in crescendo.
La neve aveva reso simile a steli di ghiaccio la pianta di alchechengi. Una lampada pubblica penzolava al lieve vento illuminando con la sua fredda luce il turbinio dei fiocchi. Il lampioncino sull’arco d’ingresso al cortile era invece spento. Varcò il cancello ed entrò, ma non scorse alcun segno di vita. Nel lucore spettrale della neve che scendeva dal cielo rossastro dell’antico borgo, Nicola vedeva davanti a sé un cortile che sembrava disabitato da decenni, e la porta che conduceva alle stanze del Professore era ricoperta da una vernice verde scrostata che cadeva in terra in scaglie gelate. Il battente a forma di coda di scorpione era lì, arrugginito, segno che da secoli più nessuno l’aveva usato. Preso dall’oscuro timore di aver sbagliato indirizzo, tornò in fretta sulla retta via e raggiunse i familiari diretti alla Messa in Duomo.

Finite le vacanze di Natale, Nicola e i compagni restarono agghiacciati dalla notizia: il Professore, la notte di Natale, si era schiantato col suo aereo privato contro la Sacra di San Michele. Ma del corpo nulla, solo una sagoma di nerofumo contro la roccia.

La foto è dell’autrice. Un altro suo racconto si può leggere QUI