Islafran in Langa

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ALESSANDRA ABBONA (a cura)

Testimonianza di Graziella Altare

Aveva vent’anni, mio padre Carlo, quando fu mandato, soldato di leva, in Grecia.
Nato e vissuto a Bonvicino, primo di sette fratelli, padre sindaco (podestà!) del paese, la madre presidente dell’Azione Cattolica (e nelle Umiliate). Come altri ragazzi di questo piccolo paese non si era mai allontanato dalla Langhe, salvo per le gare di corsa e le altre attività sportive di mussoliniana memoria.
Scriveva a casa, mandando pidocchi schiacciati tra i fogli della lettera per confrontarli con quelli nostrani… Già allora non gli mancava il senso dell’umorismo. E intanto pensava, rimuginava sul fatto di fare la guerra ai contadini greci, tali e quali ai suoi compaesani, poverissimi, pieni di figli e sfiancati dalla fatica.
La svolta nel suo pensiero (o meglio la conferma di quanto già pensava) avvenne grazie all’incontro con un medico, ebreo greco, che aveva studiato a Torino e riconobbe il dialetto piemontese di mio padre. Nacque un’amicizia, il ragazzo di Langa fu spesso ospite a casa sua, parlarono molto e mio padre disse poi: «Mi fece aprire gli occhi, mi resi conto di essere suta ‘na cioca sbaglià (sotto un campana sbagliata)». Il medico gli propose di unirsi alla resistenza greca, ma con l’avvento dell’8 settembre e il disfacimento dell’esercito italiano, prevalse il desiderio di tornare a casa.
Attraversò mezza Europa con mezzi di fortuna, riparò in Jugoslavia per qualche giorno con i partigiani di Tito, ma la voglia di casa lo fece ripartire. Riuscì fortunosamente ad arrivare a Bonvicino, con la ferma convinzione di non restare più “sotto quella campana”.
Pochissimi giorni a casa, e venne prelevato da una squadra di fascisti e considerato un disertore, fu messo su un camion con altri ragazzi del posto per essere deportato in Germania. A Dogliani riuscì a fuggire e grazie alle gare di corsa fatte sotto Mussolini corse così veloce che non lo riacciuffarono. Non tornò a casa, con pochi altri ragazzi andò alla Lovera, frazione di Bonvicino.
Qui si era formato un gruppo di “ribelli” piuttosto eterogeneo e impensabile per quei tempi. C’era Genio quarantenne jugoslavo, evaso dalla carceri italiane e con una forte esperienza partigiana con Tito, c’era Simon, francese, evaso dal carcere di Fossano, combattente nel Maquis, c’era Piero Fagiolo (figlio del medico di famiglia, imprigionato e torturato perché antifascista), c’erano Daniel, Roger, anche loro fuggiti dal carcere di Fossano nella confusione dell’8 settembre. Mio padre insieme a tre o quattro ragazzi di Bonvicino si unì a loro.

bisCarlo Altare (secondo a destra) insieme a Giuseppe Bimbo Milano e Pierino Drocco. Non si conosce il nome degli altri partigiani

Carlo Altare (secondo a destra) insieme a Giuseppe Bimbo Milano e Pierino Drocco.
Non si conosce il nome degli altri partigiani

Mi sono chiesta tante volte, ma come facevano a capirsi, quale era la lingua comune? Il piemontese, l’unica lingua parlata da quei ragazzi di Langa.
Il distaccamento prese il nome di Islafran (Italiani, Slavi e Francesi), ed era a tutti gli effetti una brigata internazionale.
Tra il 1944 e il 1945 i garibaldini si riorganizzarono e Islafran divenne un distaccamento del GAD (Gruppo Arditi Divisionale), comandato sempre da Genio (Eugenio Stipcevic): oltre ai francesi e agli slavi, si aggiunsero altri stranieri quali russi, austriaci e cechi.
Ricordo ancora oggi gli incontri proseguiti negli anni con i compagni francesi di mio padre, in particolare Roger e Daniel, che ricordava lo spirito internazionalista ed europeista del distaccamento.
Un incontro quasi profetico, il loro, che ebbe un carattere eccezionale in terra di Langa.

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Graziella Altare

Graziella Altare

Camminata A piedi liberi nella Langa Partigiana 14-9-2014

Camminata A piedi liberi nella Langa Partigiana
14-9-2014