Rovesciare per capire e capirsi

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PATRIZIA GHIGLIONE
Il “tramonto dell’eclissi”. E’ una poesia già il titolo. Io parto dal titolo. Passo passo succede qualcosa e mi fido di cosa sta succedendo e si crea un movimento. È bello approfittare di qualsiasi cosa. Anche parlare di naso, per esempio, è un movimento. Un movimento di conoscenza.
Meglio dire che sono un viaggiatore. Uno che viaggia tra le parole, tra vero e non vero, tra senso e non senso; tra coerenza e incoerenza. Che poi è coerenza, l’incoerenza. È tutto relativo, e quindi siamo a posto. Bevo acqua frizzante.
Così posso sudare. Tirare fuori tossine e fermarmi sulle parole pure.

Dal mio primo libro, “visioni dal periscopio emozionale”, ho poi tolto poesie. E le altre? Quelle che ho tolto, poverine? Così ho deciso di dare valore allo scarto. Chiamiamolo scarto. Qui c’è solo senso, e bisogna anche cercarlo. E poi è successo che ho deciso. Questo che chiamo scarto, in realtà, può diventare un libro. Irripetibile, mi sono detto, un libro raro. Vale la pena chiudere, con le ristampe. Così, è nato un bootleg. Bootleg sono le edizioni pirata dei concerti che si realizzavano quando si ascoltavano ancora i nastri, le cassette. Bootleg è il mio libro pirata. E quindi, vedi, dalla luce della creazione entri nel buio dell’eliminazione. Lì il buio comincia a scolorire, a schiarirsi e man mano torna luce. Da luce a buio, una circolarità di parole che, arrivate alla loro fine, possono ricominciare, terminando nell’inizio. Dalla realtà di una nuova illusione, nasce GeltOUb, secondo pirata. Questo è il mio viaggio.

Io sono Giuseppe Carta, vengo dalla Sardegna, sono sardo, molto. Carta magari viene da Cartagine, città che dai sardi è stata fondata. E così ecco che sono cartaginese. Sono sardo. Sono mediterraneo.
Io mi sento dedito allo sviluppo dell’universo. Il fatto è che dobbiamo lasciare un’impronta, dobbiamo dare, dobbiamo contribuire alla crescita dell’universo. Per non essere sovrastati, annullati da tutte quelle strutture mentali già presenti; ormai decadenti.
L’uno e il tutto sono due estremità che si uniscono, così ognuno ha in sé tutte le possibilità per essere creatore del proprio universo.
Dare valore alla banalità che vediamo in noi stessi, per scoprire che banale non è.
Senza arroganza. Accettando la propria eccezionalità, come quella di ogni altro.
Tutto, in noi, ha una motivazione.
Da una parola si passa ad un’altra e si crea un circuito, una rotazione. La rotazione genera energia.
E quindi ruotare, e quindi essere ruotati, in balìa degli agenti atmosferici. La rotazione ci salva.
Rimanere fermi, certo, offre altre possibilità, avvicina alla precisione. Rimanere fermi, ogni tanto, per vedere bene, ma essere in grado di assecondare, di farsi modellare dalla rotazione eterna.
Offrirsi. Decidere di arrendersi al flusso, di lasciarsene avvolgere; e quel che succede, succede.

Mi è successo il primo libro. L’ho guardato ed era lì, potevo toccarlo. E sbatterlo in terra. C’era. L’ho guardato ed era bellissimo, bianchissimo. Splendidissimo. Pauroso, veramente. Lo voglio tenere per ricordare che esiste. Non ho memoria, quello che vivo è tutto Adesso.
La sua dedica porta il nome di Pier Luigi Spaziale, il mio maestro, che mi ha proiettato nella seconda vita.
Io guidavo e lui è morto. Io, prima, ero perfetto, tutto tronfio. Lui mi ha fatto sbattere contro un muro. Duro. Da allora, mi sono spogliato, sono ridiventato un niente. E poi, mano a mano, ho cominciato ad aggiungere. E quindi sono diventato quello che sono oggi, che sono veramente. E non ho più scuse.

Affrontare e trasformare il positivo e il negativo. Vincere la morale che ti impone il mondo, se non lo fai, diventi suo schiavo. Avere una prospettiva tua, ampia, dove gli effetti possano diventare cause. Come i sorrisi, che rendono felici, non è la felicità che li richiama. Così, posso dire che la mia vita è meravigliosa. Come la poesia n.18, che viene dopo la statale 17 dell’incidente. Perché la sofferenza è un propulsore, di fatti e di effetti: bisogna abbandonarsi, comprenderla, per trovare, in essa, gran parte della nostra felicità. Così, la poesia n. 18, è ‘il sogno oltre la speranza’, quella che gira le spalle e la pagina all’impossibilità “di tornare indietro”. E prosegue. Si apre a nuovi viaggi.