La cucina popolare di Mondovì tra XIX e XX secolo.

Storia sociale Mondovì. 25 giugno,  Attilio Ianniello La cucina economica popolare di Mondovì tra XIX e XX secolo

ATTILIO IANNIELLO. La nascita delle cucine economiche e popolari, ossia quelle mense pubbliche, spesso cooperative, dove con pochi soldi si poteva rimediare un pasto nutriente, viene fatta risalire dagli storici all’anno 1844, quando nel Regno Unito, a Rochdale, i Probi Pionieri[1], nell’ambito di una cooperativa di consumo, ne costituirono una.

L’esperimento solidaristico inglese fu poi imitato in tutta l’Europa ed infine giunse anche in Italia, in particolare in Piemonte.

La regione subalpina era infatti particolarmente attenta alle attività che potessero dare risultati adeguati alla soluzione, o almeno alla riduzione, dei gravi problemi sociali che la nascente industrializzazione stava creando. Ripetute crisi agricole spingevano sempre più famiglie a cercare fortuna in quelle città e cittadine dove si instauravano opifici di varia natura. Alla estrema miseria dei disoccupati si affiancava la difficoltà economica di chi un lavoro ce l’aveva ma con salari da fame.

In Piemonte si era affermato un cattolicesimo sociale con figure quali don Giovanni Bosco, don Giovanni Cocchi, Giuseppe Cottolengo, Giulia Colbert di Barolo, Giuseppe Cafasso, Giuseppe Allamano, Leonardo Murialdo[2] e Francesco Faà di Bruno.

Inoltre, favorita dall’emanazione il 4 marzo 1848 dello Statuto del re Carlo Alberto, la libertà di associazione aveva stimolato la costituzione di Società Operaie di Mutuo Soccorso dedite alla diffusione di forme di previdenza sociale ed attente all’istruzione dei soci sia come lotta all’analfabetismo, sia come elevazione culturale e morale degli stessi. Queste Società erano generalmente promosse da uomini appartenenti alla nobiltà ed esponenti di una borghesia moderatamente progressista. Il ruolo di queste Società solidaristiche era estremamente importante, come scrisse Luigi Luzzatti nel 1864:

La Società di Mutuo Soccorso è una associazione di persone, la quale mediante il versamento di corresponsioni periodiche di denaro costituisce un fondo comune e indivisibile destinato a provvedere ai bisogni dei soci secondo le norme fissate in apposito statuto. L’indole giuridica di tale istituzione consiste nel contratto di assicurazione. Così il socio si arma contro la cieca tirannia del destino e lo sfida coll’aiuto degli altri confratelli; perché l’assicurazione ha in questo caso un potente significato morale e traduce in atto la massima sublime: tutti per uno e uno per tutti. Bello spettacolo invero porge l’individuo che su se stesso fidando a nessun altro chiede soccorso fuor ch’al proprio coraggio; magnanima audacia, generosa fede nel proprio lavoro! Ma che vale la più pertinace volontà contro la forza misteriosa dell’evento? L’uomo florido di salute viene incolto da subitanea malattia, abbandona il lavoro, e più non gli resta che la pietà degli altrui rimedi! Ma se egli è membro di una Società di Mutuo Soccorso nel dì fatale del bisogno egli può chiedere come un diritto l’aiuto che altrimenti gli sarebbe concesso come un’elemosina… Da ciò si intende come le Società di Mutuo Soccorso debbano sciogliere il terribile problema del proletariato…[3]

Fu Francesco Faà di Bruno, in ambito cattolico, il primo a ritenere che la distribuzione gratuita di cibo fatta da molti ordini e congregazioni benefiche ecclesiali se era una vera opera caritatevole per alcune categorie di persone particolarmente svantaggiate ed emarginate, non si addiceva però a chi aveva un reddito da lavoro per quanto misero fosse. Occorreva promuovere un’opera che non offendesse in alcun modo la dignità dei lavoratori. L’11 dicembre 1857 scrisse dunque al Ministro degli Interni Urbano Rattazzi per presentare il suo progetto:

Eccellenza, l’incarimento dei generi, l’aumento dei fitti, la diminuzione del salario in molte industrie, l’accrescimento della popolazione e tanti altri motivi richiedono l’istituzione di un’Opera che senza dimandare troppo alle borse, ponga un efficace rimedio alla miseria, la quale suole maggiormente manifestarsi all’approssimarsi dell’invernale stagione. [...] Questa si è l’Opera dei fornelli economici, la quale ha per fine di vendere degli alimenti preparati a modicissimi prezzi, e per mezzo le economie provenienti dall’approvvigionamento e dalla cottura in grande, nonché il concorso pecuniario di Benefattori e dei poveri stessi. Fornello economico è un locale ove mediante fornelli economici si preparano e quindi si distribuiscono gli alimenti agli acquirenti, i quali possono consumarli sul luogo, ovvero esportarli a domicilio. [...] Il massimo vantaggio [di quest’Opera] è che si farà partecipare alla carità pubblica la maggioranza della popolazione povera, la quale componsi di gente che soffre, sebben lavori, e non osa profittare delle distribuzioni gratuite per sentimento di dignità e di amor proprio… Sarà meno meritevole dei nostri soccorsi quel povero padre di famiglia che, sebbene sudando da mane a sera, stenta a mantenere la prole, anziché quell’indolente che già calcola per le vie e per le scale, sulla nostra carità per viversene in un’inerzia non meno a lui dannosa che alla Società? Si premii adunque il lavoro, si premino i sentimenti della dignità dell’uomo… Il giornale “Le Monde illustré” rendendo conto dei fornelli economici di Parigi diceva in un suo foglio: “L’operaio più suscettibile poteva venire colla fronte alta, a comperare e non a domandare ciò che era necessario a’ suoi bisogni ed al suo gusto, non già regalato, ma posto in vendita. Costava meno alla modesta sua borsa, e nulla costava alla sua dignità”.[4]

Le cucine economiche istituite a Torino dal Faà di Bruno iniziarono l’attività a partire dagli anni Sessanta e continuarono con alterne vicende fino alla fine del XIX secolo.

Intanto anche nel mondo laico liberale si discuteva della possibilità di creare un associazionismo filantropico libero da ingerenze di carattere confessionale.

Il 12 marzo 1883 nell’Anfiteatro di Chimica generale in via Po a Torino il professor Luigi Pagliani teneva una conferenza dal titolo “Le cucine economiche popolari”.[5]

La relazione del Pagliani suscitò un certo entusiasmo tra i presenti, tanto che si creò nell’ambito della sezione piemontese della Regia Società Italiana d’Igiene una Commissione per le cucine popolari. Questa era formata, oltre che dallo stesso Luigi Pagliani, da Cesare Goldmann, Giovanni Roggero, Francesco Corradini, Tommaso Villa e Giuseppe Scipione Vinaj, i quali decisero di partecipare all’Esposizione Italiana che si tenne a Torino dal 1° aprile al 31 ottobre 1884.[6]

Giuseppe Scipione Vinaj scrisse:

Le Cucine popolari cooperative soddisfano per la classe operaia ad un bisogno igienico, economico e morale; soddisfano ad un bisogno igienico inquantoché forniscono a chi lavora un cibo sano, nutritivo, sufficiente, scelto ed acquistato direttamente dal produttore, sicuro da qualunque sofisticazione ed adulterazione, confezionato a dovere e colle dovute cautele da un personale pratico.

[…] Anche dal lato economico il vantaggio è grande. I cibi acquistati in grandi proporzioni si possono avere a prezzi relativamente più miti che non acquistati al minuto. Nella stessa preparazione del cibo in grande quantità c’è molto minor spreco di sostanze, c’è una rilevante economia di combustibile, di oggetti di cucina e soprattutto di personale. Si faccia il calcolo di quanto spende per solo combustibile una famiglia operaia, si addizioni questa spesa col grande numero delle famiglie che potrebbero usufruire delle Cucine popolari, si paragoni questa cifra alla spesa mitissima della Cucina e si vedrà quale risparmio potrà essere fatto anche per il solo combustibile da ciascuna famiglia e quale grande risparmio per la classe operaia in genere.

[…] Dal lato morale la Cucina ha un altissimo scopo… Una volta il tipo della beneficenza e della carità era l’elemosina… la carità fatta a quel modo era un insulto all’uomo… In quel modo non si combatteva la miseria, la si creava più numerosa e più detestabile, la miseria volontaria dell’ozioso, la miseria accettata vigliaccamente come un mestiere… Oggi invece chi vuol essere utile alle classi bisognose favorisce l’impianto di magazzini cooperativi, studia le Casse di Risparmio per i piccoli depositi, fonda scuole ed asili infantili, crea le associazioni operaie, procura un lavoro sicuro e rimuneratore, fabbrica le case operaie pulite, igieniche ed economiche, si addentra nella questione sociale con animo equo, pronto a riparare certe ingiustizie, a rompere certi pregiudizi, a lottare per un ideale d’eguaglianza fondato… sul rispetto alla dignità umana, sul dovere e sul diritto.

[…] Le Cucine impiantate a Torino sono semplicissime e funzionano con molta regolarità. la minestra fatta di pasta o di riso con verdura nel brodo di carne vien data nella quantità d’un litro per dieci centesimi. La carne lessata, senza ossa, di grammi ottanta, vien distribuita per venti centesimi; quaranta grammi di formaggio sono dati per dieci centesimi; un bicchiere di vino buono e sincero vien dato per dieci centesimi; centoventi grammi di pane costano cinque centesimi soli. Con undici soldi si ha un pranzo completo.[7]

Occorre tenere conto che i salari giornalieri delle operaie e degli operai in quegli ultimi decenni del XIX secolo mediamente andavano da una Lira per le filatrici provette alle tre Lire per gli operai metalmeccanici e delle officine ferroviarie.

Gli ultimi decenni del XIX secolo, inoltre, furono caratterizzati da una profonda crisi economica e finanziaria che investì sia il mondo rurale che quello industriale.

Scarsa redditività del terreno, contratti agrari non certo convenienti per la gran massa del proletariato rurale, crisi della cerealicoltura provocata dalla concorrenza del grano americano, e in parte di quello russo, ingresso nel mercato europeo della seta giapponese e del riso indiano a prezzi significativamente più bassi e la comparsa della fillossera spingevano un alto numero di famiglie contadine ad emigrare. Solo in provincia di Cuneo dal 1881 al 1900 emigrarono verso Paesi europei 195.085 persone e verso le Americhe altre 55.365 persone.[8]

Inoltre speculazioni edilizie ed emissioni bancarie incontrollate crearono una grave crisi finanziaria con il fallimento di importanti banche italiane. In provincia di Cuneo oltre ad altre banche private, chiudeva la Cassa di Risparmio di Mondovì.[9]

La crisi finanziaria causava minori investimenti nel comparto industriale creando una stagnazione economica che non favoriva l’adeguamento dei salari degli operai a fronte di un generale rincaro dei prezzi.

In questo scenario si innestavano progetti come quello delle Cucine economiche popolari.

Anche a Mondovì un gruppo di cittadini decideva di dare vita ad una simile istituzione. Nell’autunno del 1887, infatti, sui settimanali locali veniva pubblicata una circolare rivolta ai Monregalesi benestanti:

I vantaggi indiscutibili che alla classe meno abbiente arrecano le Cucine economiche ovunque funzionino, la necessità di esse in condizioni eccezionali, determinarono i sottoscritti ad impiantarne una in questa città.

Scopo precipuo dell’istituenda cucina economica sarà, per ora, di vendere a chiunque ne farà richiesta, ed a prezzo ristrettissimo, buona e sostanziosa minestra da esportarsi o consumarsi sul luogo. A questo fine (e specialmente per favorire gli operai delle più lontane sezioni della città) sarà messa a disposizione del pubblico una vasta e ben riscaldata sala. Le minestre verranno distribuite mediante il pagamento di apposite marche, le quali saranno vendute a chiunque dai principali negozianti della città al prezzo di soli 5 centesimi cadauna; ed in questo modo le persone caritatevoli avranno anche un pegno sicuro che l’obolo dato al poverello sarà dal medesimo utilmente impiegato. L’ubicazione della Cucina economica fu scelta nel centro della città, nel centro delle industrie cui danno vita tanti operai, nel cortile del Palazzo Municipale.

[…] Un apposito Comitato, composto di otto fra i ragguardevoli cittadini di Mondovì, sovraintenderà al buon andamento ed allo sviluppo dell’opera, per modo che si può già quasi con certezza argomentare fin d’ora che la Cucina economica prospererà nella nostra città, e prenderà col tempo sempre maggior incremento a vantaggio della classe operaia e massimamente dei poveri. Ed è appunto per questo caritatevole fine che i sottoscritti, facendo appello alla carità cittadina, hanno aperto una sottoscrizione per azioni di L. 25 cadauna onde poter sopperire alle gravissime spese di impianto e di primo avviamento della benemerita Cucina economica…

Mondovì, 5 novembre 1887

Bianco Andrea

Lanza Giuseppe, vicario P.d.V.[10]

A sovrintendere la Cucina economica monregalese furono chiamati il conte Felice Cordero di San Quintino, presidente onorario, Vittoria Gianolio, patronessa, Andrea Bianco, presidente, don Giuseppe Lanza, l’avvocato Antonio Comino, il cavaliere Antonio Campra, Guglielmo Bruno, il notaio Bartolomeo Oderda, Camillo Jori, l’ingegnere Filippo Gastone, il cavaliere Angelo Albengo e Giovanni Battista Fulcheri.[11]

Questi decidevano che la Cucina economica avrebbe svolto la sua attività nei mesi invernali.

L’iniziativa incontrava la solidarietà delle diverse Società Operaie di Mutuo Soccorso cittadine. Per esempio il 13 novembre 1887 i soci della Società Operaia di Breo, insieme all’onorevole Pietro Delvecchio, andarono a visitare i locali della futura Cucina oltre ad acquistare azioni della novella istituzione.[12]

La Società Artisti ed Artieri, presieduta dal pittore Giovanni Toscano, acquistò tre azioni ed aprì

fra i suoi soci una sottoscrizione per la compera dei buoni da distribuirsi alle famiglie dei soci più bisognosi. La sottoscrizione ha già fruttato all’atto dell’adunanza [27 novembre 1887] Lire 90 e speriamo che la somma aumenterà ancora…[13]

La solidarietà dei Monregalesi si espresse con l’acquisto di 222 azioni per un valore di Lire 5.550.

Il 15 dicembre 1887 venne aperta la Cucina economica che funzionò fino al 10 marzo 1888. In quel primo esercizio furono distribuite circa 30 mila minestre ed il bilancio mostrò un avanzo di lire 3.150.

Questi positivi risultati si riproponevano anche negli anni successivi fino all’inizio del secondo lustro del Novecento quando incominciò a diminuire l’afflusso di commensali. Nel 1909 quindi si decise di aggiungere alla minestra una pagnotta di circa un ettogrammo lasciando invariato il prezzo del buono pasto [5 centesimi].

La decisione sortì l’effetto voluto, in quaranta giorni di funzionamento si distribuirono 14.854 minestre. Il costo del pane però incideva negativamente sul bilancio anno dopo anno; inoltre i pochi volontari che si interessavano al funzionamento della Cucina «non solo gratuitamente ma con non poco disagio»[14] incominciavano a risentire di una certa stanchezza.

L’esperienza della Cucina economica monregalese poco per volta si arenava terminando l’attività negli anni drammatici della mobilitazione militare e dell’inizio della I Guerra Mondiale.

Rimaneva tuttavia l’esempio di chi di fronte ad un problema sociale cercava concretamente di trovare una soluzione attraverso forme di solidarietà efficiente.

 Attilio Ianniello

Immagine di copertina: Mondovì Breo, Piazza del Municipio tra XIX e XX secolo.

Note

[1] Cfr. Holyoake George Jacob, La storia dei Probi Pionieri di Rochdale, Roma, 1995

[2] Sul ruolo soprattutto di quest’ultimo si veda Dotta Giovenale, Chiesa e mondo del lavoro in età liberale, Cantalupa (TO), 2008; cfr. anche Ianniello Attilio, Mutualità e cooperazione piemontese di ispirazione cristiana. Dalle Unioni Cattoliche Operaie a Confcooperative Piemonte, Revello, 2010.

[3] Cfr. Luzzatti Luigi, Una parola sulle Società di Mutuo Soccorso. Frammento, 1864, in Luzzatti Luigi, L’ordine sociale, vol. IV, Bologna, 1952, pp. 4-5.

[4] Cfr. La lettera è citata in Palazzini Pietro, Francesco Faà di Bruno – Scienziato e prete, Roma, 1980, pp. 336-338.

[5] Cfr. Letture e conferenze, in “Gazzetta Piemontese” dell’11 marzo 1883.

[6] Cfr. Cucine economiche popolari all’Esposizione, in “Gazzetta Piemontese” del 14 dicembre 1883. Questa iniziativa faceva parte della vocazione filantropica e sociale della Massoneria piemontese. Non a caso la maggior parte dei costitutori di queste cucine economiche erano membri di Logge torinesi, cfr. Novarino Marco, Fratellanza e solidarietà. Massoneria e associazionismo laico in Piemonte dal Risorgimento all’avvento del fascismo, Torino, 2008, pp. 92-93.

[7] Cfr. Vinaj G. S., La Cucina economica popolare all’Esposizione, in “Torino e l’Esposizione Italiana del 1884. Cronaca illustrata della Esposizione nazionale industriale ed artistica del 1884, Torino, 1884, pag. 135.

[8] Cfr. Camera di Commercio di Cuneo, Cuneo 1862-1962. Un secolo di vita economica, Cuneo, 1963, pag. 68.

[9] Cfr. Morzenti Giovanni, Breve storia del credito in provincia di Cuneo, Cuneo, 1994, pp. 47-51.

[10] Cfr. Cucina economica, in “La Stella di Mondovì” del 13 novembre 1887.

[11] Cfr. Cucina economica, in “La Stella di Mondovì” dell’11 dicembre 1887.

[12] Cfr. Cucine economiche, in “La Stella di Mondovì” del 20 novembre 1887.

[13] Cfr. Per la Cucina economica, in “La Stella di Mondovì” del 4 dicembre 1887.

[14] Cfr. Le Cucine economiche, in “Gazzetta di Mondovì” del 13 gennaio 1912.