La mia famiglia

La mia famiglia

RUGGERO GHIGLIA

La mia famiglia è molto numerosa. E’ composta da svariati tipi di persone, ma l’unico aspetto che accomuna la maggioranza dei componenti è il tentativo di suicidio. Quasi tutti si sono cimentati in questo campo, a parte le personalità più stravaganti, come mio cugino Giovanni, finito a mendicare in India, o mio zio Silvio, che quando ero piccolo suonava sempre la tromba sul tetto, la notte, e poi saliva sugli alberi e non scendeva per giorni.

Gli altri, le personalità più eminenti, insigni studiosi, uomini di carriera, non hanno rinunciato a sperimentare questa peculiarità del nostro sangue.

Mio figlio Marcello, ad esempio, quando venne lasciato dalla sua amata Francesca, sprofondò in una grande depressione. Un giorno salì sulla cima di un palazzo a sei piani, deciso a gettarsi di sotto. Rimase lì sopra un giorno e una notte, minacciando di compiere veramente il suo gesto, così venne bloccato il traffico nella strada sottostante.

Gli automobilisti scesero dalle vetture e cominciarono a maledirlo, chiedendogli a gran voce di saltare senza farla troppo lunga, che non avevano tempo da perdere. E lui cosa rispose? «Vi odio tutti!» urlò furioso «e se voi mi chiedete di buttarmi, non lo farò soltanto per farvi un torto!». Resistette ancora mezza giornata, poi la fame che incalzava lo costrinse a scendere.

Da quel giorno è diventato direttore di una catena di alimentari. La frase che la reclamizza è :

UN BUON PASTO RIACCENDE LA VOGLIA DI VIVERE.

Allo zio del Brasile andò diversamente. Si stava aggirando, come ogni giorno, nella sua piantagione di palme, quando una noce di cocco gli piombò sul capo facendolo stramazzare a terra. Gli operai che si stavano avviando al lavoro lo trovarono mezzo morto e lo condussero subito al pronto soccorso. Si salvò con una dose di fortuna non indifferente e dopo una settimana era già di nuovo a gestire i lavori della piantagione.

La botta però gli aveva fatto perdere il senno e poco dopo prese la pistola e si avviò fra le palme deciso ad emulare la mano del fato. Perché se esso era riuscito a centrarlo in testa, pensate che non ce l’avrebbe fatta lui stesso, con la sua ottima mira e le sue doti di sommo geometra? Voleva ripetere la botta riuscendo però ad uccidersi, trionfando dove il fato si era arreso.

Dunque si recò nel centro della piantagione, dove si ergeva la palma più alta di tutte e, spostandosi di lato, si posizionò esattamente sotto una noce che pendeva alta, alla luce del sole. Poi, dopo aver preso bene la mira, premette il grilletto. Al primo colpo tranciò via la noce di cocco. La vide precipitare, sempre più vicina, finché si rese conto del proprio sbaglio, ma oramai era a terra che si contorceva, il piede dolorante. Come aveva potuto sbagliare punto?

Dopo una seconda permanenza all’ospedale parve mostrare segni di rinsavimento. Il secondo incidente sembrava quasi avergli restituito il senno di cui il primo l’aveva privato.

Adesso è ancora lì che passeggia fra le sue palme predilette, sempre più vecchio. Il porto d’armi gli è stato ritirato.

Lo zio dell’Olanda arrivò a sessantacinque anni e decise che era stanco di vivere. Una sera di agosto stava passeggiando sopra al ponte che oltrepassa i binari della ferrovia e, sentendo il fischio di un treno che si apprestava a passare sotto, dopo essersi accertato del binario, scavalcò la ringhiera e vi si gettò.

Mentre si attorcigliava tutto indolenzito avvertì il respiro del mostro di ruggine, ormai prossimo al travolgerlo. Passò qualche secondo, poi i secondi divennero minuti e lo zio continuava a gemere. Il rumore del treno invece appariva sempre più lontano, scemando lentamente.

Lo zio, in uno stato di frenetico delirio, cominciò a domandarsi se era già nell’aldilà in attesa del giudizio divino. Poi svenne. Si risvegliò il giorno seguente in ospedale e quando gli fu raccontato che qualcuno aveva attivato lo scambio facendo deviare il treno cominciò a imprecare contro la propria sfortuna.

In seguito, però, due mercanti di sete che in quel momento passavano nelle vicinanze, giurarono di averlo udito invocare aiuto. Questo mi fa credere che lo zio ci abbia ripensato proprio all’ultimo, che non fosse poi così risoluto nella sua azione come tutti pensano. Non fu quindi la sorte a salvarlo, ma una sorta di inattesa provvidenza che accondiscese alle sue suppliche.

In conclusione, e questi sono solo i casi più lampanti, nella mia famiglia molti componenti hanno tentato il suicidio, fermandosi però al grado di apprendisti in questa disciplina.

Io, con il mio amor proprio, con il mio sconsiderato egoismo, ho sempre avuto bramosia di trionfo. E poi, qui in alto, l’aria è davvero vivida e premurosa.

(Illustrazione di Franco Blandino)
L’autore ha suggerito di abbinare al suo racconto questo video di Matteo Castellano.
Su Ruggero Ghiglia Margutte ha pubblicato un articolo qui.