Un Belvedere sui ’90

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LORENZO BARBERIS.

Si conclude con gli anni ’90 il mio excursus sulla rivista monregalese “Il Belvedere”, mensile di riferimento della sinistra DC locale.

Gli anni ’90 ne sono la decade più breve: solo quattro anni, dal 1990 al 1993.

Sono però di nuovo, come all’esordio, numeri interessanti sotto un profilo storico. Se nel 1963, negli anni del Boom e del Concilio (due segni, ma lo si sarebbe visto forse solo dopo, discordanti) si narrava della nascita di un’era, la Prima Repubblica, che dopo la ricostruzione postbellica giungeva a un suo relativo splendore, il Belvedere dei ’90 racconta la fine di quell’era, sul piano nazionale e a Mondovì.

1990. L’ultima tipografia: il Belvedere nell’età digitale.

Simbolicamente, nel primo numero nel 1990 gli stessi uomini del Belvedere avanzano il sospetto di essere “Un’associazione di reduci” degli anni ’60 (n.2). Ma, nonostante ormai in minoranza nella nuova DC cittadina, essi si dicono ancora pronti a lottare per difendere “la vecchia bandiera”.

Curiosamente, negli stessi numeri appaiono i primi articoli relativi al revival dei “favolosi anni ’60” sotto un profilo musicale: anni ’60 musicali che all’inizio il Belvedere aveva seguito con attenzione, vedendo nel beat l’espressione di una cultura giovanile con cui tentare un dialogo, poi non del tutto riuscito.

Tuttavia, il dubbio del reducismo viene evocato solo per esorcizzarlo, e per ora la quarta decade del Belvedere inizia con cauto ottimismo. Anche la grafica del giornale appare rinnovata, più elegante, più pulita, rispetto alle annate precedenti. Questa maggiore pulizia rispecchia però, per contro, una minore vivacità, e di queste annate ho colto meno aspetti visuali che meritassero di essere evidenziati.

Il n.1 del 1990 narra tra l’altro del crollo del regime comunista in Romania, con testimonianze e riflessioni di monregalesi che l’avevano visitata. Il Belvedere vede la sconfitta dei propri avversari politici, il cui totalitarismo va a dissolversi, senza accorgersi che, in un complesso meccanismo di contrappesi, è ciò che segna la loro fine.

Intanto appaiono però nuovi temi, tra cui il nuovo tema dell’immigrazione “terzomondiale”: nel n.2 il Belvedere parla degli “ormai 200” extracomunitari in città, su posizioni ovviamente favorevoli all’accoglienza (oggi saranno come minimo dieci volte tanto). Più avanti (n.11) si interrogherà anche sul tema ecclesiale del dialogo tra cristianesimo e islam, tema su cui il Belvedere, sensibile ad esempio all’Ecumenismo, si mostra decisamente favorevole, e che con l’immigrazione di massa passa da dilemma teorico a questione reale e concreta.

Intanto si preparano le nuove elezioni comunali del 1990. Tutto sommato non pare andare male: a livello monregalese si è inaugurata la nuova sala polivalente, il Baretti, da 305 posti (aprile); si aspetta il Mundial e il Costarica, che per la prima volta nella sua storia passerà le eliminatorie ed erigerà a Mondovì un monumento di ricordo nella capitale (In questi giorni in cui l’articolo esce, per paradosso, il Costarica è stato determinante nell’espellere l’Italia dal mondiale 2014…).

Il sindaco Gasco (DC, ma ormai non più della “sinistra interna” rappresentata dal Belvedere) è riuscito inoltre a far giungere in città il sospirato Politecnico, coronando un’antica aspirazione all’università monregalese che ha attraversato tutti i numeri del giornale.

Gasco era riuscito anche a far passare nella DC quattro consiglieri di opposizione, portando il numero dei consiglieri DC uscenti da 13 a 17 (su 30 consiglieri totali di allora), come ai tempi d’oro dei monocolore DC; i numeri non sembrano fortunati, ma si spera che i transfughi portino con sé i loro voti.

Inoltre, sul piano nazionale il PCI si è sciolto, e Billò può ironizzare sul “Nome della Cosa” che giunge ad Occhetto da “un’Eco” di oracolo greco: chiamatelo proprio Partito della Cosa Italiana, così resta PCI.

In regione, però, Martinetti ha finito la sua seconda legislatura, e il partito ha deciso di non più ricandidarlo. “Prendo atto” dichiara con sobrietà in un’intervista al Belvedere “che non ci sono le condizioni politiche” (n. 4). Ci si attende almeno un posto alle prossime comunali, ma Ferrua, regista della campagna democristiana, non lo ricandida, e non richiama nemmeno Gasco, sindaco uscente (n.4).

Inoltre, ritorna a sorpresa in campo un vecchio democristiano come Giusta, che un tempo era vicino al gruppo del Belvedere, ma che ora dall’altra parte della barricata, a fianco di Costa e della sua nuova lista civica, Primavera ’90, per cui viene realizzato tanto di piatto celebrativo (oggi in vendita su Ebay a 35 dollari, per chi fosse interessato), nella migliore tradizione dei “pizzi blu” della ceramica monregalese.

Pochi anni prima Giusta era ancora apparso in una foto celebrativa che univa i “quattro sindaci” democristiani dal dopoguerra ad allora: Giusta, Martinetti, Lissignoli e Mondino, in una continuità simbolica che cercava di dissimulare la “frattura interna” prodotta dall’ascesa di Mondino, non legato all’antica sinistra interna belvederiana.

Nel n.6, all’indomani delle elezioni, ci si trova a fare il punto. All’apparenza la situazione è ancora statica, in quanto la DC non è salita a 17 seggi, ma ha mantenuto i suoi 13. La situazione è quasi immutata rispetto al 1985, tranne per l’apparizione della Lega, con un consigliere (farà poi, come noto, un boom esponenziale a Mondovì, aggiudicandosi il successivo sindaco, nel 1994), e dei Verdi, con due esponenti.

La catastrofe si manifesta nel numero successivo (7). Contro ogni aspettativa, il PRI, irritato per lo scouting ai suoi danni esce dall’area del pentapartito; Comunisti e Verdi, voti teoricamente di sinistra, appoggiano Primavera ’90 (legata alla destra liberale cittadina) pur di scalzare la DC; anche il PSI si spacca, alla fine, e “per la governabilità” appoggia l’elezione a sindaco di Giusta.

La comica finale “calcistica” di Billò, approfittando del clima da Mundial monregalese, stigmatizza le scelte di Capitan Ferrua e del Mister Mondino (fuor di metafora, credo, sindaco designato e segretario), che escludendo Gasco, sindaco uscente, e Martinetti, “ala sinistra” di pregio, hanno portato alla disfatta della perdita del comune dopo un dominio incontrastato per tutto il dopoguerra.

Vico Cuniberti, segretario DC dell’età dell’oro, assessore e vicesindaco, restituisce la tessera del partito con ampia lettera sul Belvedere; Martinetti gli replica che non condivide il suo pessimismo e che, “anche se difficile” date le condizioni, preferisce operare nella DC. Marocco sottolinea invece che il gesto di Cuniberti “non può passare sotto silenzio”, sottolineando con la sua platealità i gravi errori della nuova gestione.

Dal n.8 il Belvedere si deve reinventare, un po’ spiazzato, mensile dell’opposizione. Si ironizza su un consigliere della maggioranza che aggressivamente accusa i DC di essere “nomadi senza porte e finestre”, leggendo, senza capirlo, un discorso che ovviamente parlava delle monadi di Leibniz. Come Ambra Angioini con il suo auricolare in presa diretta con Buoncompagni, il consigliere evidenzia così di leggere un testo non suo…

Storicamente, si rievoca che già nel 1911-12 vi era stato un “blocco anticattolico” contro G.B.Bertone e i suoi, tra liberali e socialisti – che ottennero il loro sindaco, Gallizio. Nel numero seguente, il 9, si sottolinea inoltre come il blocco laico del 1912 fu di breve durata, e presto riscalzato dai cattolici.

Golinelli e Lissignoli criticano il discorso di insediamento del sindaco in due ampli articoli: il primo contesta soprattutto l’eccesso polemico in assenza di fatti, l’altro mette simmetricamente in evidenza i troppi spunti che non possono essere sviluppati tutti, servono “approfondimenti e scelte ben precise”.

Intando decolla il politecnico (n.9), ed il vecchio cinema Ferrini, ormai da tempo dismesso, diviene l’aula magna dell’università. Si aspetta ormai anche Architettura (n.10), e sul giornale emerge l’irritazione, malcelata, per il fatto che un risultato di fatto conseguito dal gruppo DC nel suo insieme, negli anni, possa ora apparire come vanto della nuova amministrazione.

A proposito di Architettura, appare interessante, sul n.10, un articolo dell’architetto Bertone ove egli compie un’analisi dell’opera di Don Rulfo, autore di molte chiese della zona dai ’50 in poi, mettendone un po’ in discussione l’operato. “Molte chiese non piacciono… sono ritenute poco funzionali e senza espressione”; anche “per l’oggettiva impersonalità del suo lavoro grafico, e per la ricerca progettuale ridotta appena a qualche aspetto strutturale… ma del tutto mancante per quelli formali, spaziali, distributivi”.

Nel n.10, la crisi della DC monregalese si radicalizza intanto con le dimissioni del segretario Mondino, a fronte della débacle. Il Belvedere annuncia il nuovo libro strenna, i bei racconti di “E laggiù Mondovì” di Silvano Gregoli (che collabora oggi anche col nostro “Margutte”), si pubblica un’indagine storica su Mondovì contro i Barbetti valdesi, si rispolverano antichi ritratti studenteschi di Giusta sindaco-professore.

billo fracchia
(
Foto: Billò porta il Belvedere a fotocomporre da Fracchia).

Il n.11 porta a un annuncio che ha sapore simbolico: Provincia Granda e Unione passano alla fotocomposizione digitale, il Belvedere resta l’ultimo giornale tipografico di Mondovì (per poco: nel 1993 anche lui passerà al digitale). Il pezzo è l’occasione per un riuscito amarcord billoiano, che rievoca il suo “mal d’Africa” da rotativa: vapori di piombo, ticchettio di lynotipe, rumore di macchine, assillo di fretta, occhi spremuti sulle bozze…

Intanto emerge il caso Gladio, e Occhetto dichiara che la DC era “i servizi segreti, più Gladio, più la P2”. Il Belvedere riporta il parere del senatore Franco Mazzola, eletto anche a Mondovì, ovviamente prendendo le distanze. Chiaro che il giudizio appare propagandistico: tuttavia, oggi riemergono importanti conferme dell’effettiva presenza di un piano anticomunista che legava anche questi quattro fattori.

Infatti più avanti, nel 1991, una lettera di cui ovviamente è taciuto l’autore confessa al giornale l’esistenza di un Gruppo MACI, Movimento Avanguardia Cattolica Italiana, uno stay-behind legato al progetto Gladio, di cui si rivendica l’utilità in chiave anticomunista.

1991.

Nel 1991, sotto un profilo globale, il Belvedere ha modo di mostrare la continuità della sua posizione pacifista, mostrando tutto il suo scetticismo sulla guerra del Golfo voluta da Bush padre. Sul numero tre titolo a tutta pagina per la fine della guerra del golfo: “Impareremo qualcosa da questa tragedia?” (n.3.) La domanda, come noto ai posteri, è inevitabilmente retorica.

Belle anche le due poesie pubblicate sul tema, in italiano di Briatore e in piemontese di Comino; quest’ultima si vuole anche dimostrazione della possibilità del piemontese di essere “lingua illustre”, in grado di parlare con efficacia di problemi moderni e complessi. Contro quel che ne pensava Dante, e in continuità con una tradizione di riscoperta del dialetto come anti-retorica, diffusa nella cultura italiana da Pasolini in poi.

Sotto un profilo amministrativo, un Belvedere ormai d’opposizione apre il 1991 con le critiche al “Bilancio senza Glasnost” (citando le recenti aperture di Gorbaciov), blindato, della nuova maggioranza laica. A febbraio nuova debacle, con la perdita della comunità montana da parte della DC. Il “Consorzio” monregalese, avviato da Gasco, che doveva essere l’erede del CEM degli anni ’60 e del Comprensorio degli anni ’70 e ’80, viene lasciato cadere nel nulla.

Si stigmatizza, anche e soprattutto nelle comiche finali, lo “stivale delle Sette Leghe” che avanza sempre più. Nonostante la presenza di analisi al proposito, il Belvedere sembra in prevalenza liquidare in modo non molto approfondito il fenomeno: sono quasi più, pare, lettere dei lettori e contributi esterni inviati al giornale a mettere in guardia sul fatto che il malessere del Profondo Nord è più serio di quel che si creda. Nulla fa presagire, da quelle pagine, che alla tornata elettorale successiva, nel 1994, sarà la Lega a conquistare il posto da primo cittadino.

Scompare inoltre Donat-Cattin, il politico di riferemento nazionale della corrente del Belvedere: il giornale gli dedica un commosso ricordo (n.4). Intanto, “Cronaca di un segretario annunciato”, la DC monregalese tenta un rilancio con il nuovo segretario Mauro Re.

“C’era una volta un Re”, titola con ironia Billò nella comica finale.  “O andoma avant, o andoma da Re” chiosa sul finale, con un concetto non così beneaugurale.

Non so se sia pubblicità subliminale, sul n.7., la rievocazione del “Re Buono” a Mondovì. Con lui, oltre ai politici dell’epoca, torna a Mondovì il Carducci, senatore del regno già venuto a tenere esami e comporre i versi immortali del “Dolce Mondovì Ridente”.

Il Belvedere si schiera poi per il SI’ al referendum Segni, commentando compiaciuto il successo referendario. La speranza è quella di una graduale riforma della DC, in realtà sarà poi l’inizio della fine.

A ottobre, dopo un solo anno di tentata amministrazione, Giusta inizia a minacciare dimissioni, poi ritirate, mostrando i limiti della raffazzonata giunta laica. Da allora, sarà un tira e molla di ripicche interne alla maggioranza, che poi rovescia sulle opposizioni con accuse irritate, fino al commissariamento.

Sotto il profilo ecclesiale si registra qualche novità. Duilio Albarello, che sta completando i suoi studi teologici in questi anni, ha cominciato sul Belvedere vari approfondimenti religiosi interessanti sul Nichilismo, sul Concilio e su altre tematiche ecclesiali, approfondisce anche (n.6) il tema delle Sette.

La posizione, come spesso, è interessante e critica. Qui si parte dal fatto che il Concilio (ovviamente, la lettura letteralista, che non ne ha colto lo spirito…) ha portato a mettere in crisi forme di religiosità popolare che doveva invece capire, creando lo spazio per la crescente “anarchia del sacro”, in cui si va verso un “divino ecologico”, facile da capire ed accogliente. “Non dovremmo escludere, fra le spiegazioni del sorgere e della diffusione delle sette, l’azione misteriosa del diavolo” chiosa sul finale, citando il cardinal Arinze.

1992. Da Martinetti a Martinazzoli. Rinasce il PPI del monregalese senator Bertone.
Il 1992 vede continuare, inizialmente, i temi già visti nell’anno precedente.

Il Belvedere lamenta la sparizione dei pacifisti, di fronte alla guerra in Iraq, e parla di “democrazia soffocata” di fronte all’emergere sempre più vistoso della corruzione e delle lobbies (n.1). Si ammette che la democrazia uscita dal ’48 si stia rivelando “non esaltante”, benché democrazia. Ma, si sottolinea, “con le Leghe sarà peggio”. Nel n.3 si passa a parlare di “Lega” in modo unitario, anche a forte di un radicarsi della federazione dei movimenti indipendentisti.

Curiosamente, nel 1992 si parla di “Un uomo grigio” un racconto di Andreotti su un professore antifascista del Liceo di Mondovì (n.2) inviato al confino; racconto che aveva vinto il premio Ravello ’91.

L’elemento curioso è che l’Uomo Grigio di Mondovì rimanda a un reale antifascista visto da Andreotti nella sua infanzia laziale (n.2). Si fanno i possibili nomi di Alessandro Setti, o di Silvio Sguerzo, professori antifascisti in effetti allontanati nel 1928. Dato che però il divo Giulio dice che l’Uomo Grigio ritornò in città vittorioso, da sottosegretario, si pensa ad un’allegoria del senatore Bertone, fondatore del PPI, di origini monregalesi, con incarichi di governo prima e dopo la guerra. Corrispondenza, in questo caso, puramente simbolica.

Sembra quasi una evocazione beneaugurale, in un momento in cui va a rinascere il Partito Popolare di sturziana memoria, il primo volto dell’azione cristiana in politica. Una rinascita che sarà effimera, confluendo infine, con altre sigle, nell’ala centrista del PD.

Le elezioni segnano però l’avvio della crisi della DC anche a livello nazionale, mentre avanza la Lega Nord. Si passa dal 35 al 22 per cento dei voti, mentre la lega esplode al 15 per cento. “La DC ha perso, ma chi ha vinto?” si interroga il Belvedere.

Se Atene piange, Sparta non ride. In comune il sindaco Giusta ha ritirato le dimissioni, ma ora è la componente PLI a minacciare di ritirare il suo appoggio alla giunta (n.6), e l’amministrazione si trascina stancamente tra le polemiche che la porteranno, infine, alla sua dissoluzione.

Le comiche finali di Billò, insieme ad argomenti politici ormai più impolverati dal tempo, mettono in evidenza la crisi dell’italiano: “un attimino”, e il “dizionario dei Quaquaraquà”: “Porre in atto strategie mirate finalizzate a…”. Nonché la “teatrocrazia”, la teatralità di una politica sempre più spettacolare, e lo “sfascismo” del giornalismo italiano, che mira a trasformare ogni cosa in evento simbolico, distruttivo, invece di approfondire. Più ancora che la satira e l’analisi politica in senso stretto, è questa satira di costume che coglie più nel segno delle successive evoluzioni.

1993. Il Belvedere Chiude. Le indecenti proposte dell’Italia Berlusconiana.
Si giunge così al 1993: il ’92 doveva essere l’ultimo anno, ma il Belvedere decide di tentare anche l’avventura del digitale. La grafica ne guadagna ulteriormente in pulizia ed eleganza e, forse, in una certa maggiore freddezza. Il Belvedere cerca di rinascere, mentre rinasce una nuova DC con Martinazzoli e il ritorno al Partito Popolare.

Si critica la riforma di De Lorenzo, che di fatto mette in crisi l’assistenza sanitaria gratuita per tutti; anche “l’occupazione nelle industrie non sarà mai più quella di prima” (n.1). I Naziskin, di cui si era già parlato negli ultimi numeri del ’92, preoccupano. “Ci siamo fumati proprio tutto”, osserva Billò nella comica finale.

In ambito ecclesiale, Duilio Albarello avanza l’ipotesi che si possano avere donne-sacerdote, non senza qualche risposta polemica dai lettori del giornale.

Intanto però Tangentopoli travolge Craxi e il Diabolico Andreotti, mentre passa la legge per l’elezione diretta dei Sindaci e si ipotizza un domani “bipolare” (n.7), nel senso anche psichiatrico del termine.

Sotto il profilo culturale, si inizia a parlare del Museo della Ceramica (“Museo sì, ma non solo Ceramiche!” Obietta il Belvedere), che compirebbe, in qualche modo, la lunga aspirazione belvederiana – e di Billò in particolare – a un museo del monregalese, qui declinato però in chiave specialistica e non generalista, come sorgerà a partire da sei anni dopo, nel 1999.

Su “Proposta Indecente” il Belvedere scavalca invece a destra l’Unione Monregalese, che ne parla del provocatorio film con toni neutri (il titolo deriva dal milione di dollari offerto alla protagonista per una notte di sesso). Il Belvedere critica l’assenza di condanna morale da parte dell’antico giornale di Maccari verso una pellicola in cui una donna si concede per denaro, fatto presentato nella recensione come tutto sommato accettabile.

Nel numero di settembre, tra l’altro, faccio in tempo ad apparire sul Belvedere, in un articolo in cui si commenta un terzo posto del sottoscritto Lorenzo Barberis al concorso di vignette umoristiche a Ceva. Spero di non aver avuto un ruolo poco beneaugurale, perché nel numero successivo giunge l’annuncio della chiusura con la fine dell’anno. Diciamo che probabilmente Billò mi ha voluto omaggiare di una comparsata, e che almeno per una volta si è parlato in termini positivi di fumetti sul Belvedere.

Billò mi critica più il riferimento di Forattini, che conosce troppo bene, piuttosto che Dylan Dog, che probabilmente ignora, erede di quei “fumetti noir” anni ’60 e che a Indecent Proposal aveva poco da invidiare.

L’ultimo numero coincide proprio con la nascita del PPI, anche a livello cuneese. Non sembra voluta la coincidenza perfetta tra fine della DC e fine del Belvedere: ma certo è profondamente significativa. Nelle pagine interne, ricordi affettuosi di varie personalità e vecchi amici, con l’auspicio di una rinascita, a breve, del Belvedere, che mai tuttavia avverrà.

Profetica anche l’ultima Comica Finale di Billò, che ironizza su Berlusconi, il “nuovo che avanza” ma che è già vecchio: gli fanno ala Fini e la Alessandra Mussolini, che protende la “mammella volitiva”. Il Belvedere sapeva bene, volente o nolente, a chi stava andando a lasciare il posto.

(nota personale: Ricordo che per una mostra di satira politica organizzata da Billò, forse come coda all’articolo sopra detto, realizzai una vignetta sui due leader della destra come “fratelli coltelli”, stretta di mano, sorriso a trentadue denti e pugnale nascosto dietro la schiena. “Un’alleanza senza secondi Fini”, intitolavo profetico)

Così, a trent’anni dall’inizio, il Belvedere finiva con l’epoca di cui era espressione. E dire che il passaggio all’età della stampa digitale stava abbattendo i costi di stampa, e ancor più facile sarebbe divenuto, con lo sviluppo della rete, la creazione di una rivista online. La sinistra monregalese, anche quella erede della sinistra DC (a Mondovì di gran lunga prevalente), sfrutterà in parte queste possibilità, con canali youtube, facebook, blog et similia. L’esperimento più vicino a un “nuovo Belvedere” sarà il megafono di Vivavoce, con tanto di sito internet .it ora abbandonato.

Ma per quanto questi mezzi abbiano una loro indubbia efficacia, specie per chi li sa usare nel modo più corretto, è difficile riprodurre il fascino di quei fogli di carta ingiallita, che forse ci appaiono affascinanti anche proprio per il senso di passato che inevitabilmente rievocano in noi.

In copertina: l’Utopia futura del mondo(vì) agricolo, come lo immaginava il Belvedere nei ’70.
Qui sopra: la distopia futura del ritorno del fascismo, come immaginata da Billò nella sua migliore immagine propagandistica, nel 1972