Un Belvedere sugli ’80

LORENZO BARBERIS.

Continuo la mia analisi del “Belvedere”, la rivista della sinistra monregalese dal 1963 al 1993, con l’esame dei rampanti anni ’80.

Se gli anni ’60 furono gli anni d’oro del Belvedere, gli anni ’70 avevano visto una certa stagnazione, denunciata anche da un intervento dal redattore Martinetti nell’ottobre 1977, cui era seguito un
dibattito redazionale. Martinetti, che aveva appena concluso il suo lungo mandato da sindaco, aveva sottolineato come l’elemento problematico fosse una eccessiva sovrapposizione tra la sua amministrazione cittadina, legata alla sinistra DC, e il Belvedere stesso.

La riflessione culturale che il Belvedere doveva proporre (e aveva, in molti casi, proposto) si appiattiva sulla mera politica locale, lasciandosi trascinare troppo da questa, rinunciando a una prospettiva più alta e più ampia.

Alla riflessione di Martinetti ed altri era seguito un tentativo di rinnovamento con “Il Punto d’Incontro” (una sorta di pagina “Belvedere Giovani”), nato nel 1978 coinvolgendo nuovi redattori giovani, a volte acerbi, ma comunque indubbiamente volenterosi. Si parla molto, ad esempio, di Servizio Civile, in continuità ideale quasi con quella precoce difesa degli obiettori fatta del Belvedere con le parole “scandalose” di Don Milani, ai tempi in cui gli obiettori andavano in galera. Su un piano più leggero, si indagano e censiscono i nuovi sport che vanno fiorendo sempre più, dal basket al karaté, a fianco dell’intramontabile calcio (il Belvedere si premura quasi sempre di ricordare che è “nato a Mondovì”, con riferimento al gioco della Pillota di cui parlano gli statuti comunali del 1415, per proibirlo come un qualsiasi regolamento comunale).

Molto interessante anche l’indagine sui graffiti realizzati dagli autonomi extraparlamentari sui muri anche di Mondovì, riprendendo di fatto scritte fatte anche altrove. A New York i graffiti iniziavano ad essere espressione artistica, qui siamo ancora all’invettiva in spray rosso, in tutti i sensi:
“Sparare o sparire”, “Dio è morto, Marx è morto e anch’io non mi sento tanto bene” e anche qualche florilegio locale, come la scritta “fascisti” aggiunta alla targa marmorea del giardino del “Belvedere”, con evidente (e ingeneroso) riferimento al gruppo di Billò e soci piuttosto che al Beccaria.

Siamo lontani dalla satira ancora garbata del “pittore di notte” e grafico della “Tazza di The”, che si limitava a decorare manifesti elettorali (e che tornerà ad operare in Belvedere, negli anni 2000, con operazioni ormai puramente poetico-artistiche, ugualmente comunque scoraggiate dalla solerzia vigile dell’ordine costituito).

Altro rilancio del 1978 è quello di “Empiura”, “riempimento”, usato ironicamente per “inserto”, altra pagina di approfondimento culturale in e sul piemontese; quasi una parodia – ma fresca, e vivace – dei pomposi “inserti culturali” dei grandi quotidiani. Un lavoro interessante, che coniuga come si suol dire “tradizione e innovazione”: si parla del piemontese, ma per mostrarlo vivo, operante, concreto, non per una sorta di mausoleo passatista. E tuttavia una certa chiusura nel passato è innegabile.

moro

Moro e Memo Martinetti a Mondovì, nel 1967.

Su un piano nazionale però il 1978 era stato un anno duro: il rapimento ed omicidio di Aldo Moro, nume tutelare della sinistra monregalese (Moro aveva visitato la città nel 1967, accolto con entusiasmo dal gruppo del Belvedere e dalla popolazione) è l’apice della violenza terroristica.

La battaglia sull’aborto, su cui anche il Belvedere si era comunque speso, viene persa con referendum di quest’anno, e affiorano anche polemiche a Mondovì per l’eccessivo numero di obiettori tra i medici dell’ospedale. Papa Giovanni Paolo I, su cui si riponevano grandi speranze, muore dopo solo 33 giorni di pontificato, in circostanze indubbiamente sconcertanti.

Appare quindi logica la tentazione di una chiusura sul locale, dove invece la sinistra DC mantiene un buon controllo della situazione.

Al Borgato va sorgendo in questi anni un nuovo polo culturale, il “Dino Bertola” avviato dalla Diocesi di Mondovì nel 1978 e completato nel 1979, uno spazio da trecento posti con possibilità, dal 1980, anche di proiezioni cinematografiche. Già nei primi servizi sul cinema, negli anni ’60, il Belvedere parlava di questa possibilità come alternativa al declinante Ferrini, cinema “cattolico” portato avanti con scarsa convinzione dalla gestione “laica”, che si limitava al rispetto formale della “morale” dei film senza cercare di tramutarlo in centro di aggregazione culturale.

E in effetti a lungo, fino a questo 2014 che è iniziato a Mondovì con la sua chiusura, il “Bertola” è stato il vero cinema cittadino, più ancora della seconda sala del “Baretti” apparsa nel frattempo e che oggi si è meritoriamente adeguata al digitale.

Mongolfiere a Mondovì nell’incisione di Ernesto Billò (primi anni ’80)

Col 1979 arrivano anche a Mondovì le prime mongolfiere, creando una tradizione poi distintiva per la città, di cui il Belvedere non manca di parlare (anche con le gradevoli incisioni retrò di Billò).

1980. Memo Propheta in Patria…

In campo strettamente politico il 1980 dà una bella soddisfazione: “Memo Propheta In Patria”, titola compiaciuto Billò. Memo Martinetti, sindaco di Mondovì e redattore del Belvedere, è infatti eletto in consiglio regionale, quarto eletto DC, con un successo che soddisfa, anche se irrita il diktat posto dalla DC Cuneese alla sua candidatura a livello nazionale, che spiana sempre più la strada all’avanzata di Costa. Anche qui, però, torna a prevalere la dimensione politica in senso stretto.

Gli anni ’80 sembrano quindi iniziati in un modo promettente: ma, purtroppo, saranno per il gruppo del Belvedere anni di lento arretramento.

Mentre procede a Mondovì il Bertola, che inizia a proiettare film, sulle TV commerciali affiora Mazinga Z, presente dal 1978, ma solo nel 1980 descritto con preoccupazione dal Belvedere come “mostri e robot d’acciaio, magli perforanti e alabarde spaziali”. “Eroi televisivi senz’anima”, insomma. Mazinga poi piace anche alle bambine, anche se gli preferiscono i telefilm con quote rosa e complicazioni sentimentali. “Piccoli mostri figli del computer?” si domanda il Belvedere, un po’ retorico come sempre quando affronta la cultura popolare, che non riuscirà mai a capire fino in fondo (Marocco dirà, in un suo polemico intervento, che riesce a estendere il concetto di cultura fino ai Beatles. E non più oltre, pare sottintendere).

In un certo senso, l’apparizione delle TV commerciali pone fine alle polemiche culturali del Belvedere su cinema e fumetto, salvo sporadiche segnalazioni. La TV berlusconiana degli ’80, infatti, rompe ogni diga, offrendo 24 ore su 24 un profluvio di intrattenimento commerciale e pubblicitario impossibile da fermare.

1981. La crisi massonica.

Helena Petrovna Blavatsky, fondatrice della Teosofia, usata dal Belvedere per la campagna abbonamenti 1971

Nel 1981 si continua a parlare di temi civici, come del Museo che, si ammette, non decolla, un pallino del Belvedere e di Billò in particolare. Sono pubblicati anche dottissimi ed esaustivi piani per il museo stesso, forse fin troppo vasti, che impediscono di dare un valore extra-civico al museo. Quando poi i poli museali nasceranno, verso l’inizio degli anni 2000, si concentreranno su due poli principali, ben tematizzati: il museo della stampa e soprattutto quello della ceramica, in grado di suscitare, magari, una curiosità anche fuori della ristretta dimensione cittadina.

Riesce invece, non senza immancabili polemiche che il Belvedere rintuzza puntualmente, la costituzione dell’Isola Pedonale a Breo, per ridurre traffico, inquinamento e anche, si auspica, favorire i commerci con una dimensione di, si dirà poi, “centro commerciale naturale” di Breo.

p2

Loggia P2, una tessera a caso, a puro titolo d’esempio.
La siglia significa “Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo”.

Sotto un profilo più generale, sul giornale si inizia a parlare di Pentiti e di Testimoni di Geova; sottili soddisfazioni dà la questione della P2, che sarà a lungo ripresa, dove sembrano essersi impelagati anche avversari politici del gruppo del Belvedere, che comunque ne riferisce con prudenza (non massoni, forse “in sonno”, forse “all’orecchio” di maestri non così venerabili), non sottraendosi però a qualche puntuta Comica Finale, a proporre giocose “cacce al tesoro” per trovare la monregalese loggia “Fratellanza”, sorta nel 1977 (dopo quella di Cuneo, risorta nel 1970); e quando un bislacco lettore (una delle lettere al direttore autentiche, le si riconoscono da questi dettagli) propone l’efficiente soluzione di sostituire ai nomi delle vie i numeri, Billò ironicamente acconsente: potremmo chiamare il quartiere di Piazza P, Via XXX la via (di Piazza) n.2, ma poi qualcuno risiederebbe in P2…

La massoneria viene vista con scetticismo dai Belvederiani come “mutuo soccorso… per carriere rapide”, e nella critica alla massoneria appare anche la prima (e unica) parolaccia nel titolo di un articolo: “P2 e Massoneria, Culo e Camicia”. In passato e in seguito capiterà spesso a Billò (forse non solo lui, ma è il primo indiziato) di giocare sul bilico della malizia, ma solo qui si cede, per una volta, alla tentazione diciamo cambronnesca per la volgarità (efficace proprio per la sua rarità).

Ma a Settembre 1981 una tragedia priva il Belvedere di quello che era il suo più giovane, e forse più brillante, nuovo collaboratore: Giorgio Tino è infatti stroncato a soli 29 anni da un male fulminante. Su Tino si appuntavano le speranze del gruppo del Belvedere, sia soprattutto per l’amministrazione civica, dove era alacremente coinvolto, ma forse anche per il giornale come “pensatoio” della sinistra cattolica monregalese, dove si era distinto per articoli sempre colti ed azzeccati. “Sarebbe diventato Sindaco, e poi chissà che altro” rimpiange il Belvedere (e non solo lui).

1982. Crepe nel Muro.

Inizia con Woytila il crollo del comunismo, a partire dalla Polonia. Il Belvedere del ’73 era stato profetico.

Nel 1982, un altro colpo: l’esplosione della caldaia dell’ospedale, con triste code di cause legali per molti membri dell’amministrazione, inevitabilmente collegati, in modo più o meno stretto, al gruppo del Belvedere stesso. Il Belvedere tiene una posizione equilibrata al proposito, ma certo in qualche modo si percepisce il senso di una fase non positiva per il giornale. Il “Punto” giovanile e l’”Empiura” piemontese da tempo vanno declinando come rubriche, per la carenza di tempo, di redattori, di spunti.

“Staying Alive”, cantano i Bee Gees negli ’80. “E’ meglio tirare a campare che tirare le cuoia.” concorda Andreotti.

Anche alcuni nuovi temi “giovanili” che affiorano, come quello della Discoteca, sono trattati con un certo moralismo da temino delle superiori (in una Comica Finale, Billò era riuscito a stigmatizzarlo in modo più efficace; come anche quando aveva titolato “Travolta nella polvere, Travolta sull’altar” per una prudente recensione di Saturday Night Fever).

Non ho taciuto infatti un certo moralismo che affiora nel Belvedere quando esce dalla “cinta daziaria”, per cui si parla della cultura extra-monregalese raramente e solo se è necessario stigmatizzarla, anche in tempi recenti, si tratti della Disco come sarà poi di Nove Settimane e Mezzo. Se questo moralismo è coniugato con l’umorismo di un Billò diventa però un Castigat Ridendo Mores che funziona; altrimenti mostra un po’ la corda.

Il caso della Polonia di Solidarnosc, invece, al centro dei riflettori anche per via del nuovo e formidabile Papa, viene approfondito dal Belvedere con un mordente che ricorda i vecchi tempi. Se la P2 ha messo in difficoltà la destra locale (in verità, molto meno di quel che il Belvedere spera, come vedremo), il crollo del comunismo a Est crea tempi difficili per il PCI, più a livello nazionale che locale, dove è già pressoché inesistente e la sinistra, semmai, è socialista.

Il giornale documenta quindi  il fatto con attenzione e precisione, senza facilonerie da anticomunismo guareschiano anni ’50 ma con un tono battagliero; intervistano polacchi presenti in Italia, Italiani in Polonia per lavoro, per avere un quadro generale con testimonianze locali, e riescono a rendere bene ragione del logoramento del comunismo, allora ancora impensabile almeno ai livelli poi manifestatisi.

Una polemica (l’ennesima, ovviamente) con l’Unione suscita un beffardo divertimento nei redattori belvederiani: a forza di cambi della guardia, finalmente l’Unione li contesta da sinistra, per eccesso di borghesia, scarso “spirito di profezia”… e ricordano, quasi nostalgici, i tempi del tonante conservatorismo dell’arcivescovo Maccari, con le sue fiorite invettive. Ora invece l’Unione, invece di vedere i Belvederiani come criptocomunisti, sembra irritata della loro baldanza a fronte della fine del comunismo, il diretto antagonista della loro idea di sinistra.

Spigolando tra pagine amministrative a volte un po’ troppo dense, e troppo uguali per il lettore che percorre la storia della rivista “a volo d’uccello”, spiccano alcune perle gustose in cultura: un processo a Mondovì su un libro di memorie di Montale, in cui un poeta di Altare, in contatto ai tempi col Maestro da poco scomparso, si sente diffamato dagli aguzzi giudizi del Grande Ermetico (n.4 del 1982), tra cui si ricorda il richiamo ad Ungaretti “Jena Egizia”, in occasione di una polemica di Ungaretti contro Quasimodo, che egli accusava di plagio (il suo Oboe Sommerso troppo uguale al Porto Sepolto). “Ho saputo che la Jena egizia minaccia a morte tutti i suoi imitatori” Con questo icastico aforisma, Montale mostra un lieto amore a tre tra le tre corone dell’ermetismo: Quasimodo è subito liquidato come imitatore, Ungaretti è una iettatoria iena egizia, deformazione spregiativa della Sfinge della sua madrepatria, che lancia i suoi strali nefandi.

Da un concorso scolastico emerge invece un racconto di tale Gianni Martino, dell’ultimo anno del classico, che non è affatto male, riecheggiando Eco e Borges, come viene correttamente colto dal Belvedere. In particolare, il racconto è un calco della Casa di Asterione, ma eccezionalmente ben riuscito, in cui il punto di vista difforme, che si scopre alla fine, non è quello del Minotauro, ma quello di Ulisse.

1983. Il trionfo di Costa.

costa giovane

Un giovanissimo Raffaele Costa (anni ’60)

Giunge così il 1983. La Piscina comunale è completata, si introduce il Velox, ma ovviamente, chiarisce il Belvedere con eroico wishful thinking, “i vigili saranno comprensivi, no?”. La tragedia dello Statuto è accolta dalla Stampa con pagine poco laiche: di fronte al rogo dei 64 spettatori del film “La Capra”, ci si chiede “perché quel numero, perché quel film…” Ma intanto, anche a Mondovì, si complicano le norme di sicurezza, sacrosantamente, e nell’83 salta la Fiera dell’Artigianato.

Alle elezioni politiche però Costa compie una avanzata travolgente. Il suo PLI è al 27 per cento, contro il 33 della DC. Il Belvedere non può più rifugiarsi in un’analisi rassicurante, e anzi sostanzialmente ammette gli errori che hanno spianato la strada al giovane e brillante avvocato liberale.

Una chiusura sprezzante con accuse di criptofascismo forse esasperate, da un lato, a livello locale; e una segreteria provinciale che non ha mai consentito di candidare dei monregalesi alle elezioni nazionali, coalizzando intorno a Costa il “Partito di Mondovì”.

1984. Gli Anni Orwelliani.

Quasi a segnare l’avvenuta apocalisse, si ospita Tiziana Sardinopoli che parla della sua tesi sul 1984 di Orwell. “1984, Cupo come lo prevede Orwell?”, si titola: e la giovane laureata risponde alla domanda in modo puntuale, spiegando il contesto storico in cui maturava l’opera – quel ’48 rovesciato nel titolo, memoria degli orrori dello stalinismo ma anche del nazifascismo. Correttamente, la Sardinopoli spiega anche la volontà di Orwell di porre un monito valevole anche per il futuro, contro i rischi di un totalitarismo anche più strisciante e di un sempre maggiore controllo tramite la tecnologia (anche a Mondovì, come altrove, si imporrà col successivo lungo governo di centrodestra un certo, anche legittimo, “feticismo tecnocratico” per controlli con telecamere, velox et similia).


Ceramica Besio, incisione di Billò

Nel 1984 Il Belvedere canta il “Requiem per un museo”, accantonando in definitiva l’antico sogno di un museo generalista del monregalese propugnato dalla rivista. Billò si dedica piuttosto alla storia dei giornali studenteschi (un po’ come noi che cerchiamo di scrivere la storia della controcultura monregalese: e qui il nostro pezzo si fa metaletterario al quadrato), partendo dal primo “Raglio” (1951) di tale fervente goliardia locale, per passare poi all’”Asino Rampante” (1953-65), il giornale studentesco del Liceo Classico diretto dallo stesso Billò, e quasi da lui abbandonato per passare all’adulto “Belvedere”. Al classico avrebbe poi regnato il “Brontolo” (1968-69) negli anni della contestazione (un nano, anche se non gigante, come il nostro Margutte), e poi un lungo silenzio fino al 1983 di “Piazza Grande” di Mauro Re, generoso tentativo di “rivista giovanile” a cui la carrellata storica tira un po’ la volata, che però chiuderà, dopo otto numeri, l’anno dopo, nel 1985. Nel 2013, dopo un cambio di quote a “Provincia Granda”, il direttore storico Claudio Bo abbandonerà la rivista per fondare “La Piazza Grande”, nuovo e interessante “terzo giornale” monregalese (e fossanese), dal nome quasi identico, con quel “La” a segnare prudentemente la differenza.

1985. Il Belvedere perde il Municipio…

Sacrario partigiano monregalese nelle incisioni di Billò

Intanto, anche a seguito dell’incendio del Cinema Statuto a Torino (1983), Cinema Corso e Cinema Italia vanno verso la chiusura definitiva (e in quell’anno salta la Fiera dell’Artigianato, nelle more di adeguamento delle norme); solo il Bertola della diocesi, che provvidamente ha iniziato a proiettare con gli ’80, adegua i locali e garantisce un cinema alla città.

michelotti

Marina di Tanchi Michelotti, tema ampiamente presente nella sua produzione, che bene si sposa alla “Tempesta Sedata” dell’Altipiano.

Si va ultimando la chiesa al Ferrone, il campanile all’Altipiano (con tanto, in parallelo, di mosaico della “Tempesta sedata” di Tanchi Michelotti sulla facciata); qualcuno trova l’Altipiano orribile, magari in vena di nostalgie piazzaiole, e il Belvedere difende lo sviluppo urbanistico che, in fondo, il suo gruppo ha voluto e guidato, se pur faticosamente.

Nuovo sindaco di Mondovì è, nel 1985, Luciano Mondino, sempre della DC, ma non più della sinistra interna, legata appunto al Belvedere. Tuttavia il tentativo di cartello laico, che sembrava possibile nel 1983 dopo la grande avanzata del PLI di Costa, è sventata. Una foto di quell’anno ritrae i quattro sindaci democristiani ancora in vita, Giusta, Martinetti, Lissignoli e Mondino, durante una inaugurazione pubblica. Una foto curiosa, se pensiamo che solo cinque anni dopo Giusta romperà questa continuity guidando la sfida laica alla DC. Ancora una volta si escludono i liberali, per evitare, dice il Belvedere, un “regime assembleare”, che avrebbe il pentapartito con 26 consiglieri su 30. Il PLI “non l’ha presa bene” e “occupa la destra” dei posti consigliari.

1986. …E la segreteria.

Scorcio di Piazza, Billò

La Madonnina si svuota, e si preannuncia il problema che costituirà negli anni a venire, pur senza presagire la lunghezza della sua vuota agonia; nei centri storici di Breo e Piazza, quasi per compensare quell’Altipiano prima fortemente voluto dalla città, e poi poco amato, si ricopre il manto stradale, a tratti, di porfido.

Perfido, invece, di una perfidità sublime, è il pezzo che, nel 1986, le Comiche Finali dedicano alla rottamazione interna del vecchio agit-prop comunista che si era distinto in numerosi attacchi anche sbracati, pare, contro il Belvedere e i suoi membri.

“La Bomba Comica”, invece, è Beppe Grillo e la sua battuta sui socialisti cinesi: pur stigmatizzandolo, si sottolinea che l’imbarazzo non è tanto di tipo diplomatico, ma interno. Sul fatto che l’Arma Finale del futuro sarà un Comico il buon Billò scherza, ma non sa di essere alquanto profetico.

Intanto, però, nell’ottobre 1986 la sinistra DC perde, oltre al controllo sul comune, anche quello sulla segreteria di Partito. Va detto che queste due transizioni avvengono con una relativa sobrietà del Belvedere, che non dedica particolari analisi a uno storico cambiamento di questa portata. Il gruppo di Forze Nuove viene così messo in minoranza da Ferrua, appoggiato da Mondino e altri isolati esponenti della destra interna. Essi eleggono segretario Marco Botto, con una candidatura unitaria.

1987. Ombre Nere sulla Città.


Ombre nere su Mondovì, ma di altro tipo rispetto a quelle dell’incisione di Billò.

Ferrua, nuovo astro che è sorto nella DC cittadina, inizia subito un attacco deciso contro l’avanzata liberale, parlando, senza fare nomi, di un’Ombra Nera che si estende sempre più sulla città. Sono toni che in fondo anche il Belvedere (sbagliando, anche solo da un profilo tattico: lo riconosce anche la rivista, nel dibattito che segue l’avanzata liberale del 1983) ha usato, anche in passato: qui resi più evidenti dal tono particolarmente roboante e immaginifico. E, obiettivamente, fuori tempo massimo, in anni ’80 edonistici e reaganiani, poco preoccupati dalle minacce nere. Semmai, dalle Ombre Rosse.

In campo amministrativo, nel 1987 si segnano alcune polemiche per restauri effettuati nel centro cittadino da poco porfidato, con interventi di Aurelio Cattò sul suo lavoro di recupero delle Meridiane di Breo, e un altro sull’avveniristico lavoro architettonico di recupero dell’Isola di San Rocco. Anche a Mondovì si inizia a parlare di AIDS (un caso all’ospedale).

Il “Belvedere” in effetti sembra volgersi, quasi per necessità, a una maggiore attenzione all’approfondimento spirituale. Sergio Quinzio visita la città e il Belvedere dà amplio risalto ai suoi illuminanti, profetici interventi; anche se poi non si trattiene di commentare la succosa elezione di Ilona Staller al parlamento italiano. Anche l’apparizione di Madonna a Torino è oggetto di un breve divertissment.

Sempre sul versante della “profezia”, il ritrovamento di una lettera di Don Milani viene pubblicata con grande risalto e nostalgia. La detiene monsignor Coccio, del seminario vescovile, che la ricevette nel 1961 dopo aver contattato il sacerdote per chiarimenti sulle sue opere (un paio d’anni prima della nascita della rivista). “Mi scrivono in molti da Mondovì, con grande amicizia e grande paura. Come mai?” risponde Don Milani, vulcanico e un po’ collerico come al solito. Segue un mix di affettuosa rampogna e illuminanti consigli, fino a una serie di indicazioni bibliografiche per migliorare la preparazione dei seminaristi. “Evitate di riempirli col vostro veleno anticomunista: ci vogliono tutti i veleni!” conclude con sarcastica ironia. “E poi che successe? Niente.” ammette, un po’ malinconico, il sacerdote monregalese. “Meminisse Iuvabit?” Cioè, è servito a qualcosa ricordarlo?

Così, anche queste pagine interessanti confermano il senso di aver perso il treno di quello “spirito di profezia” che segnava la rivista nei ’60, in un clima di generale “ritorno all’ordine” della chiesa e del partito (anche nelle frange più illuminate), perdendo però al contempo anche la predominanza sull’ambito amministrativo su cui ci si era concentrati.

1988. Il Diavolo in Piazza.

Incisione dell’Antichristus monregalensis. Ispirazione per quel Diavolo di Billò, e anche forse per le sue incisioni.

Nel 1988 l’evento principe del Belvedere è un evento culturale: principe, e delle Tenebre.

Grande spazio è infatti giustamente dato all’uscita del “Diavolo in piazza”, riuscito romanzo del direttore Billò, quasi anticipato da diabolici convegni torinesi che sono l’occasione per due comiche finali a sfondo satanico, un tema sempre amato dal Billò come da ogni grande polemista cattolico (egli cita spesso esplicitamente anche le Lettere di Berlicche, se è per questo, quando si tratta di dar consigli ai candidati alle elezioni). Mondovì, solo accennata dai grandi in letteratura, con sfuggenti passi di Arpino (La suora giovane) e Fenoglio (La Malora), appare qui rappresentata con affetto quasi gozzaniano. Per il lavoro sulla lingua e sul dialetto si scomoda, non erroneamente a mio avviso, lo stesso Gadda, antesignano del gioco sul giallo.

Una poesia di Carlo Regis avvicina invece l’opera al coevo Pendolo di Foucault, parallelo che avevo sempre ipotizzato, ma che è qui autorevolmente confermato dallo stesso Belvedere. Dell’opera si riportano ampli stralci e favorevoli recensioni, in quest’anno e nel 1989 (l’opera uscì come strenna natalizia).

Mio nonno Memo Martinetti era convinto che il ragazzino petulante che infastidisce la bonaria e professorale guida turistica dell’inizio (che è invece, indubbiamente, Billò), fossi io. Possibile l’omaggio, più al nonno che al nipote: poteva essere comunque il discendente di qualche altro eminente esponente del gruppo belvederiano.

Il ragazzino comunque ritrova il misterioso cadavere che dà il via al giallo e si trova estremamente a suo agio sull’esoterica scena del crimine, per nulla spaventato, anzi, affascinato dal turbinare del mistero. Quindi almeno a posteriori credo di essermi meritato l’identificazione sul campo (non mi risultano altri “nipotini di Donat-Catten” appassionati di Eco, e che che hanno scritto ampiamente sui “Misteri di Mondovì”)

A proposito di un’altra Eco, un convegno monregalese porta a parlare, per la prima volta così ampiamente, di “Eco(logia), Ninfa Gentile”, ma la mostra che accompagna il congresso presenta un certo retorico manicheismo (il solito uso melenso dei bambini come la saggezza pro-ambiente, contro l’avidità degli adulti…) e, tra i temi simbolo, l’Ellero da salvare: Martinetti rivendica di averlo in effetti difeso, negli anni della sua amministrazione, dai “cupi meandri di una galleria” in cui lo volevano rinchiudere altri.

Per il resto, l’anno si era aperto con l’arrivo del nuovo vescovo Massironi, accolto con entusiasmo dal Belvedere, e con un pizzico di autoironia: “Se non lo guastiamo noi, questo sarà davvero un buon vescovo”. Il riferimento pare alla conflittualità della DC monregalese, che di lì a poco avrà conseguenze nefaste (lo stesso “Diavolo” di Billò riflette quell’atmosfera concitata, sullo sfondo).

Le dimissioni di Mondino, a gennaio, mostrano infatti i problemi della nuova gestione DC, e a un ’87 “carico di nubi” si teme un ’88 anche peggiore.

La crisi comunale porta alla travagliata elezione dell’onorevole DC Gasco a sindaco (n.2-3) mentre si riprende il dibattito sul decentramento universitario a Mondovì, dibattito che stavolta sfocerà davvero in una concreta presenza sotto Gasco stesso. Anche Botto si dimette da segretario (n.3) e si affilano i coltelli nella DC monregalese tra le due ali di destra e sinistra, con un risultato che sarà dannoso per ambedue.

Gasco parte a spron battuto, mostrando la sua lunga esperienza e grande capacità di lavoro. Adotta il Piano Colore, mentre il problema del teatro monregalese va verso risoluzione con la costruzione della sala polivalente del Quartiere, ad opera dell’architetto Marinone.

Inoltre (n.7), il PLI di Costa si spacca in due, e quattro degli otto liberali entrano nella DC. Costa però mostra signorile indifferenza, si dice “dispiaciuto, non preoccupato” per il ribaltone, e lo stesso Belvedere dichiara, dal lato opposto, di temere un “puro trasformismo”, perché non vede ragioni politiche nell’operazione. La mossa, che in teoria arricchisce la maggioranza, fa detonare ancor più le conflittualità interne, e sui numeri successivi si riferisce di ulteriori polemiche e scontri, fino a far invocare il Belvedere: “Mondovì non ha bisogno di un’altra crisi comunale!”.

1989. In The End.

Nel 1989 il Belvedere cerca di fugare le nere nubi liberali che si addensano a destra all’orizzonte, consolandosi con l’apparente vittoria totale a sinistra. Il crollo del muro offre infatti l’occasione per una riflessione sempre ponderata e pensierosa (mai gli autori del Belvedere riescono ad essere tronfi, compiaciuti: aspri anche verso gli avversari, sì, ma ingenuamente ottimistici mai) ma in cui si rivendica di aver “visto giusto” rispetto agli avversari.

Una soddisfazione ideale che, va detto, accompagna preoccupazioni notevoli per la situazione civica: Lissignoli, assessore legato al gruppo belvederiano, ed ex sindaco, lascia proprio in quel gennaio 1989; “ancora nubi” avvolgono l’amministrazione, mentre si fa “Fantapolitica” su eventuali elezioni anticipate o decine di possibili soluzioni di governo, con alleanze tra i vari partiti; mentre una crisi pilotata svantaggia gli alleati storici a favore dei nuovi quattro ingressi liberali.

Già nell’88 si rifletteva che, da quel che emerge dagli spiragli della Glasnost, “c’è davvero da ringraziare di aver posto una diga allo Stalinismo di Togliatti”. Si rispolvera anche la stella del Fro.De.Pop. riletta da Guareschi, che citando “La maschera e il volto” di Pirandello metteva in guardia dallo Stalin mascherato da Garibaldi. Morandini senior rievocava le elezioni del ’48, agevolato dal quarantennale, e in consiglio comunale il consigliere comunista Beretta sparava a zero su “Martinetti, Giusta e Costa”, la triade che a suo avviso avrebbe distrutto il comune. Morandini (n.4-1988) ricorda, anche da noi, “comizi e processioni”, scontro presentato tra “cristianesimo e anti-cristianesimo” dal vescovo Briacca nella sua predica, l’Unione dichiarava “Ne prendiamo impegno come gli antichi crociati, perché Dio lo vuole.”: il 18 aprile “E’ l’ora di Dio!”. E dopo la vittoria: “E’ la volta dello Stato Cristiano.” Del resto, i comunisti avevano portato in comizio un pezzo da novanta come Walter Audisio, il “giustiziere” di Mussolini, quasi a presagio di future imprese del medesimo stampo.

Sul n.7 del 1988, invece, si celebravano gli echi del 1956, anche in consiglio comunale. Giusta, sindaco, parla di “angosciosa, bruciante vergogna” dei comunisti per l’aggressione; Martinetti propone l’intitolazione di una strada alla resistenza ungherese, e il PCI ironizza: “il popolo ungherese avrebbe fatto un’epopea, e voi gli dedicate solo una strada?”.

Il filosofico Pasquali, segretario di un PCI cittadino più dialogante di quello dei rottamati agit-prop, replica a suo modo e viene accolto con garbo, ma il Belvedere tiene il punto: “avevamo ragione noi, alla fine”.

In senso assoluto, è impossibile non dar loro ragione: ma ovviamente, come sappiamo con senno di poi, la fine del comunismo fu anche la fine per la DC, avviando la spirale distruttiva che portò allo scoperchiamento della corruzione dilagante e quindi alla fine del partito.