Un secolo di musica in tre camere

foto concerto 10-5 (2)

GABRIELLA MONGARDI.

«La musica cameristica da Mozart a Brahms»: questo il programma del concerto tenuto a Mondovì dal Trio Arché, composto dal primo violino dell’Orchestra dell’Accademia Stefano Tempia di Torino, Massimo Marin, dal primo violoncello Dario Destefano e dal pianista Francesco Cipolletta, tre interpreti molto affiatati, che hanno saputo ben evidenziare la dialogicità di Mozart, l’enfasi appassionata di Mendelssohn, il malinconico lirismo di Brahms.

In apertura del concerto, il Trio in do maggiore K548 di Mozart mette in risalto la dimensione dialogica del fare musica: la struttura fugata dell’allegro iniziale è un gioco a rincorrersi fra tre voci che risolvono le loro tensioni modulando ciascuna una melodia autonoma ma concorde, in un armonioso intrecciarsi di ampie vibrazioni, di onde struggenti. L’andante, costruito su “triangolazioni” di infinita dolcezza, è profondamente commovente e moderno: le tre voci si sostengono senza toccarsi, si fondono senza confondersi, conservano ciascuna il suo tema e il suo timbro, ma tutte e tre parlano di fugacità, evanescenza, dissolvimento. L’ultimo allegro, pur presentando la rassicurante struttura di un rondò settecentesco, mantiene fremiti inquieti, specie nella parte del violoncello.

Il secondo brano eseguito, il Trio in do minore op.66 di Mendelssohn, pur conservando il rigore “classico” della forma sonata, è un vento tempestoso, un fiume in piena che tutto trascina con sé. Le differenze espressive e dinamiche tra i vari movimenti si attenuano fin quasi a scomparire, nella potente drammaticità di un andamento tumultuoso, incoerente, destrutturato.

Il percorso si conclude con il Trio in do maggiore op. 87 di Brahms, più dissonante, ma più architettonico. Il rispetto formale della suddivisione in movimenti non impedisce di riempirli di contenuti nuovi, intensamente patetici: il primo tempo è autenticamente inquieto e disperato, le Variazioni diventano uno spettro degli stati d’animo dell’artista, lo Scherzo oscilla tra ironia e tempesta e solo nel Finale s’insinua un po’ di luce tra le ombre. Illusoria, ma consolante.