Gli ulivi e La rosa di Franco Costabile

dipinto di Marilena Morano

dipinto di Marilena Morano

ANNA STELLA SCERBO

Un arancio
il tuo cuore,
succo d’aurora.
Calabria,
rosa nel bicchiere.

Il poeta è sempre dentro ad una terra, ad un tempo esatto di cui scopre la sostanza più brutale, la legge dell’assurdo, del dolore e dell’ingiustizia, del distacco e dell’abbandono, della rabbia e della denuncia. La poesia di Franco Costabile è tutto questo.

E se non fosse che a tenere insieme questi sentimenti, in una sintesi di mirabile coscienza del vero, è l’ineludibile certezza che ogni poesia da particolare si fa universale, da singolarissima e unica che nasce, si allarga all’umanità intera, quasi ci sembrerebbe che Costabile sia uno di quei poeti del Sud d’Italia che piangono la disperazione della propria terra e la propria, senza altra ragione se non quella di alleggerire il cuore dall’essersi fatto vittima di una storia ingrata e emarginante. A Roma, il 14 aprile del 1965, Costabile si toglie la vita a soli 41 anni. Firma con questo la sua resa finale al tormento di un’esistenza  amputata in tenera età dall’abbandono del padre e straniata più tardi dal distacco dalla sua terra. Scriveva Brodskij che «compito della poesia, per quanto brutale possa essere il confronto con il reale, consiste nel resistere alla realtà, nel porgere un’alternativa linguistica, nel temprare il cuore ad ogni eventualità, inclusa la propria definitiva disfatta». Fu esattamente così per Costabile.

Ce ne andiamo.
Ce ne andiamo via.
Ce ne andiamo
con dieci centimetri
di terra secca sotto le scarpe
con mani dure, con rabbia con niente. […]
Senza
sentire più
il nome Calabria
il nome disperazione. […]
Troppo
troppo tempo
a restarcene zitti
quando bisognava parlare, basta. […]
Addio,
terra.
Terra mia
lunga
silenziosa. […]
Cento volte
ce ne siamo già andati
staccandosi dai rami, […]
Siamo
un’altra volta
la fantasia
degli dei.[…]
Addio terra.
Salutiamo,
è ora.

Costabile è un poeta di libertà e di verità, agognate entrambe, cercate incessantemente anche al di là dei confini geografici e umani ricevuti in sorte. La sua poesia non appartiene a un non-tempo astratto, si sente dentro la volontà di affidarle un ruolo etico per affermare, dichiarare e denunciare una realtà che il poeta vede mutare nelle forme economiche, nei comportamenti, nei modi di vivere individuali e sociali e di cui coglie le forme illusorie ed effimere. Non sono bastevoli le frequentazioni che egli aveva con altri letterati, Sobrero, Frattini, Accrocca, con i quali si incontrava in casa dello scultore Mazzullo, a dirci quale sia stata la genesi certa del suo processo interiore. Né l’amicizia con Ungaretti, di cui fu allievo all’Università, ci dà informazioni sulle ragioni letterarie e culturali che fanno particolare il timbro della sua poesia non accomunabile a quella di nessun altro poeta del Meridione d’Italia. Costabile rimane a suo modo un poeta misterioso perché tale è l’intreccio delle vicende umane, infiniti sono i segni incisi nell’animo e il poeta sceglie quelli che rispondono, altrettanto misteriosamente, al senso che egli vuole imprimere alla propria esistenza.

Le sue raccolte, da Via degli Ulivi a La rosa nel bicchiere, al Canto dei nuovi emigranti testimoniano categorie eterne: l’uomo nel flusso dell’esistenza, la Calabria misera ed emigrante, i contadini schiacciati da regole crudelmente feudali, l’uomo-intellettuale che vive la disappartenenza, la disarmonia continua e dolorosa col reale.

E la città, la grande città.
Vi arrivai una domenica d’estate.
E da allora, anche oggi,
rasento le vetrine
[…] fra le cicche e gli sputi
raccolgo la pietà dei marciapiedi.

La realtà, in Costabile non è documentaristica né memorialistica, la Calabria è paradigma della pena del vivere. La sua vicinanza al Neorealismo è partecipazione al clima di speranza e di impegno che negli anni dell’immediato dopoguerra caratterizzò il pensiero e la produzione di svariati autori. In Via degli ulivi, del 1950, la lezione del neorealismo appare secondaria ad altri influssi e la raccolta la leggiamo come un canzoniere d’amore in cui il dolore per il distacco dai luoghi amati, costituisce la trama su cui si ricama la sua storia d’amore.

E dov’erano solo fili d’erba
un poco innamorata e un poco stanca,
ti piaceva guardare il mio paese.
E i silenzi immobili del bosco
leggevano le favole più antiche.
 
Amo i tuoi capelli
riversi sulla bocca
e il tuo sorriso
sparso nel bianco dei cuscini.
Amo le tue pupille di stagno.
Amo.
E dimentico.

Il soggetto lirico rappresenta se stesso nel racconto d’amore e già la via mediana tra scelte morali e scelte formali è raggiunta. Un tutto armonico sostanzia sentimenti e ricordi. Privi di vocazione prosastica, i moduli linguistici sono più vicini all’ermetismo, la parola polisemica e verticale, è sostanza autentica e vitale. La poesia, in Costabile, amplifica le lacerazioni dell’esistenza, fino a non poterle più esorcizzare. La prassi poetica assolutizza il suo male oscuro fino all’atto liberatorio e fatale. Ne La rosa nel bicchiere, seconda raccolta, i tempi sono quelli interiori della memoria soggettiva.

Mio sud
Mio sud,
mezzogiorno
potente di cicale,
sembra una leggenda
che vi siano
torrenti a primavera.
Mio sud,
inverno mio caldo
come latte di capre,
[…] Mio sud,
pianura mia,
mia carretta lenta.
Anime di emigranti
vengono la notte a piangere
sotto gli ulivi,
e domani alle nove
il sole già brucia, i passeri
a mezz’ora di cammino
non hanno più niente da cantare.
Mio sud,
mio brigante sanguigno,
portami notizie della collina.
Siedi, bevi un altro bicchiere
e raccontami del vento di quest’anno.

Gli “universali” in senso Kantiano della storia concreta di un Sud terragno e feudale, secondo l’espressione di Quasimodo, seguono il naturale processo di astrazione e di simbolizzazione di ogni linguaggio poetico e si nutrono della lezione dei grandi del Novecento. In particolare, vi sono in Costabile, le orme dell’ermetismo di cui condivide la specularità vita, scelte formali, e gli archetipi della poesia ispano-andalusa, in specie di quella Lorchiana.

Forse morrò sopra questa chitarra
che conosce il tumulto del mio sangue.
E se bisogna attraversare il cielo
l’appenderò sul corno della luna.

Molto altro si può scrivere su Franco Costabile e su Il canto dei nuovi Emigranti, la più bella delle sue ultime, lunghe, tre composizioni in cui il tono di denuncia si fa alto e potente. Molto altro sulla sua disfatta che abbiamo detto essere estrema resa al ciclo assurdo della vita. I versi di Ungaretti , incisi sulla sua lapide nel cimitero, e sulla facciata della sua casa, a Sambiase, luogo di nascita, ci aiutano a chiudere la narrazione sul “cuore cantastorie” più amato di Calabria.

“Con questo cuore troppo cantastorie”,
dicevi ponendo una rosa nel bicchiere
e la rosa s’è spenta poco a poco
come il tuo cuore, si è spenta per cantare
una storia tragica per sempre.
foto-costabile

http://www.ilportaledelsud.org/costabile_franco.htm
http://www.calabriaonline.com/col/arte_cultura/personaggi/letterati/costabile-franco.php
http://www.calabriaonline.com/col/arte_cultura/poesie_calabresi/costabile_poesie1.php
http://cantosirene.blogspot.it/2010/07/la-calabria-di-franco-costabile.html