Danze

Vergari-danze

foto di Bruna Bonino

GABRIELLA VERGARI

Li ho mangiati.
Tutti.
Non uno dietro l’altro. No. Uno alla volta. Il che non so se faccia una grande differenza, ma un po’ sì, mi pare.
Nel senso che se li avessi mangiati tutti insieme si potrebbe parlare di depravazione.
Invece uno per volta, quasi di ordine.
Ordine naturale, ovviamente.
Capisco la vostra perplessità. Riconosco che al sentire comune certi miei gusti debbano fare una qualche impressione, non lo nego.
Ma il fatto è che con i codici della vita non si scherza. Quelli dettano e tu obbedisci. Vuoi o non vuoi, senza scampo, come il mio ultimo amante, poverino.
Non si tratta di scelte ma di necessità.
E se stesse a me, state pur sicuri che cambierei le cose.
Il mio colore, ad esempio.
Questo verde brillante che non mi dona ed evoca scenari devianti, da erbetta appena bagnata, fingendomi rassicurante come il più innocuo dei grilli.
Quanto meglio il nero, da autentica dark lady, perché è in fondo questo quello che sono: una femme fatale, una signora della notte e delle tenebre: una mantide religiosa.
Noto che la rivelazione non vi lascia indifferenti. Ho perfino percepito il brivido d’eccitato terrore che ha percorso la schiena di alcuni di voi a questo punto.
Ma facciamo finta di niente e proseguiamo.
Non mi piace neanche la mia postura, con quelle zampette che si giungono insieme e agli occhi dei più mi accomunano ad una specie di beghina perennemente orante, lasciando fraintendere l’essenza stessa del mio gesto.
Che se è una preghiera, lo è in quanto parte d’ un rituale ancestrale. Una specie di omaggio e di resa al dio che presiede all’accoppiamento dei sessi, all’unione che tanti definiscono sacra del maschile col femminile. Lo Yin e lo Yang fusi insieme per attimi che sembrano eterni e replicano l’unità cosmica. Non c’è bisogno che mi dilunghi sul tema, lo si è già fatto in tanti.
E che dire poi di questa coazione a ripetere, sempre il medesimo protocollo, sempre la medesima solfa: approccio, corteggiamento, preliminari, amplesso e via, eliminazione radicale del maschio.
Inutile, superfluo scarto di lavorazione, fagocitato per il bene della specie e dei figli che, manco il tempo del
rapporto, già mi ingravidano. Uffa! E che diamine!
Vuoi vedere che per noi mantidi, tutto il processo si debba sempre e soltanto risolvere in tragedia. Il dramma irreversibile e solenne della proliferazione perpetuante. Ma, insomma, un po’ d’allegria, di spensieratezza, d’amena frivolezza, che la vita è abbastanza greve di suo. E invece, no.
A noi sono riservati paradisi avvelenati: ci uniamo, generiamo e fagocitiamo il partner, senza deroghe né variazioni di sorta. Pare che sia per procurarci il necessario apporto proteico durante la gravidanza che, scusate se è poco, è tutta a carico del corpo femminile e necessita di potenziate risorse energetiche .
E però non la voglio più la condizione di prevaricazione sessuale. Mi annoia questa storia che già quasi prima che m’abbia pienamente soddisfatta, devo mangiare il mio lui per intero. A cominciare dalla testa, con tutto quel rivoltante crepitio che produce mentre lo divoro, e magari col bacino mi sta ancora unito, negli ultimi colpi di fatale virilità.
Basta con l’osservarlo agitarsi nella frenesia dell’eccitazione e sapere che nel momento stesso in cui trasmetterà la vita è destinato ad una morte così infame. E che devo essere proprio io a dargliela. Roba da paralizzare anche una libido perversa com’è quella a cui siamo state chiamate noi mantidi.
E sì, d’accordo, la reciprocità è forse la merce più rara nel rapporto tra le coppie. Maschile e femminile lottano e si fronteggiano ostili dalla notte dei tempi. Si gioca a prevalere, a distruggere. E il possesso è forse di per se stesso annientamento dell’altro. Ma nel caso delle mantidi si esagera proprio. E comunque io non mi diverto più. Voglio un compagno che mi stia accanto anche dopo, sono arcistufa di questo gioco seduttivo e mortifero in cui eros e thanatos sono così drasticamente coniugati ( è proprio il caso di dirlo!).
Penso alla vecchiaia o forse anche semplicemente all’oggi e mi sento sola. Cerco un legame autentico, sincero, da individui alla pari e pari. E soprattutto penso all’amore e lo sento immensamente distante da tutto quello che finora ho vissuto.
Perciò ho deciso: da ora in poi niente sesso ma solo intese platoniche e rigeneranti. Un balsamo per l’animo e per l’anima, ammesso che le mantidi ne siano fornite.
E tuttavia, un problemino c’è.
Mi piace uno.
Mi piace proprio.
Lo vedo muoversi tra gli altri esemplari e mi sembra davvero il tipo giusto. E’ di classe, prestante, un po’ spavaldo, sicuro. L’ho perfino sognato, una notte. Mi accostava, lo sfuggivo, mi inseguiva, mi schermivo, insisteva, cedevo. Così cominciavamo la speciale danza dei corpi che si desiderano, prima e al di là d’ ogni altra ragione.
Infine mi prendeva.
A quel punto mi sono svegliata, tutta tremante, straordinariamente scossa. Ed è stato a quel punto che l’ho sentito. Tanto distintamente e reale che ho faticato a ritenerlo una fantasia.
Da allora non mi ha abbandonato e sta quasi diventando un’ossessione
L’ossessione di lui
Quando non ne posso più, mi metto ad immaginare la danza, ne ripercorro con la mente i passaggi, ecco che cedo, la sua testa si muove convulsa ed è qui che apro la bocca e lo sento…

E’ un gusto forte ed amaro insieme, sa di vittoria e sconfitta, travolge e sfinisce.
E’ il suo sapore, non in senso metaforico, ma proprio il sapore del suo corpo, delle sue viscere, della sue membra…
Sto provando a resistere, ma l’impulso si fa sempre più impellente.
E se ne assaggiassi almeno un pezzettino…?

tratto da: Species. Bestiario del terzo millennio, Boemi, 2012

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