Le Interviste Impossibili: Escher

 LORENZO BARBERIS.
Mi reco all’intervista con Escher con un certo anticipo. Lo aspetto dietro Beccone, dove mi ha detto che dovrebbe passare un varco spaziotemporale per casa sua verso le 16 e 66. Perfettamente in orario, il Varco arriva, rigonfiando l’incurvatura fino a spingere verso di me una finestra. La finestra mi attraversa, e sono Altrove.
Mi trovo di fronte a casa Escher, proprio come me l’ha descritta via mail. La vista è imponente, ma alla fine l’edificio è meno alto di quanto possa sembrare, e in un attimo sono in cima, all’ultimo piano, che i costruttori hanno ultimato di creare per il mio arrivo.
Penso che il più sia fatto. Invece, nonostante che l’autore mi abbia detto che abita “proprio in fondo alla scala”, faccio più fatica a trovare l’appartamento esatto. Mi perdo nella teoria di individui che ruotano all’infinito sulla scalinata. “Forse si tratta di monaci, membri di qualche ignota setta.”, mi accennerà poi Escher, con indifferenza.
 
Per fortuna Escher mi aspetta, e mi vede arrivare in una sfera con cui giocherà tutto il tempo, nel corso dell’intervista. Mi chiama con voce cortese ed imperiosa, e all’improvviso la scala finisce, e il suo appartamento è come fosse sempre stato lì. Come ho fatto a non vederlo?

Professor Escher, grazie di aver accettato quest’intervista con Margutte. Come è iniziata la sua ricerca sul concetto di spazio?

“Oh, beh, mi diverto a scherzare con le nostre incrollabili certezze sul continuum spaziotemporale. Del resto l’epoca in cui sono vissuto è questa: sono nato nel 1898, due anni prima dell’avvio del Novecento, che vuol dire il secolo dei maestri del sospetto: Nietzsche, Freud, Einstein. I miei docenti mi vedevano come troppo razionale, troppo matematico, e cercarono sempre di spingermi verso uno stile più “artistico”, secondo loro. Per contro, i matematici mi adoravano, ma io spesso non capivo le teorie geometriche che mi attribuivano, anche se ultimamente qualcuno mi ha addirittura avvicinato a Gödel. Forse coglievo tali nuove rappresentazioni intuitivamente, diciamo. Ecco, soprattutto la teoria della relatività dello spazio, delle dimensioni mi ha influenzato parecchio: vi ho dedicato anche diversi quadri. In verità però la prima parte della mia vita e della mia carriera artistica è stata sviluppata all’insegna di una figurazione piuttosto tradizionale: i miei giochi visuali datano dal 1937.

Si era appena trasferito in Svizzera, se non sbaglio.

Sì, avevo visitato l’Italia nel 1922, appena finiti gli studi – una prassi quasi obbligatoria per ogni artista visivo… – e me ne ero innamorato al punto di venire qui con mia moglie, nel 1924. Ma il fascismo voleva imporre l’educazione di regime ai miei figli, ragione che mi spinse verso la neutrale Svizzera. Ovviamente voi italiani – legittimamente – avete sottolineato l’importanza dell’arte italiana e classico-romana nella mia arte… ma forse mi ha influenzato di più Grenada, che avevo visto sempre nel ’22, e la sua architettura moresca.

C’entra qualcosa con la sua fuga il “sogno” inquietante del 1935?

Ah, sì, un’immagine decisamente singolare. Anche se, come può vedere, ancora perfettamente regolare nella sua finta tridimensionalità in due dimensioni. Rassicurante, sotto questo profilo. Mentre certo, l’immagine della Mantide Religiosa sul corpo del Vescovo morto, nella Cripta, è tutto meno che rasserenante, da un punto di vista freudiano. A dire il vero avevo iniziato a disegnare mantidi nel 1930, quindi forse non è così strano appaia nel mio sogno, a fianco di un’altra legata immagine alla religione, come il Vescovo.

Parliamo del’influenza del suo lavoro, che è sterminata…

Sì, anche se in vita la difficoltà di classificarmi rese difficile il mio apprezzamento: non ero riconducibile a una corrente, e in più l’eccessiva, presunta freddezza dei miei giochi grafici era ritenuta da molti poco “artistica”. Ricordo ancora che la retrospettiva del ’68 fallì in questo tentativo di definire il mio lavoro.
Però ho notato che dopo la mia sparizione dal vostro piano dimensionale – nel 1972, per l’esattezza – sono divenuto sempre più un’icona, dagli anni ’80 in poi. Credo sia dovuto al sempre maggior successo di un punto di vista filosofico relativista nella cultura di massa, di cui la mia arte è forse la sintesi perfetta. Non a caso sono molto amato dal postmoderno, come quell’ottimo cartoonist, Matt Groening. Se nota, le citazioni delle mie opere nel suo lavoro sono molto frequenti.

E’ vero, in Simpson e Futurama emergono molti omaggi nei suoi confronti. Ma credo che la fantascienza l’abbia sempre amata. Le cover della science fiction la omaggiano credo fin dagli anni ’50, stando almeno ai libri che leggevo in biblioteca da ragazzo.

Ah, sì, la fantascienza! E’ un amore che contraccambio. In fondo, chi meglio di me poteva appunto rappresentare i paradossi spazio-temporali su cui si è basato a lungo il sogno del futuro? Se si voleva superare la velocità della luce, sfruttando la curvatura spaziotemporale di Einstein – sempre lui – e incontrare così civiltà aliene, il grande sogno della SF, si entrava in un mondo quadridimensionale che solo le mie immagini sapevano rappresentare. Certo, i surrealisti avevano esplorato il mondo dell’inconscio: ma si trattava di fantasie irrazionali. Il mio era invece un mondo assurdo proprio perché matematicamente impeccabile (anche se non euclideo). E proprio per questo più inquietante.

Verissimo. E quando è finita la fantascienza spaziale e ha prevalso il tema del computer, dagli anni ’80 in poi, lei è stato il perfetto cantore delle realtà virtuali, alla Matrix o Inception.

In effetti è così, un tema meraviglioso, che sta diventando gradualmente realtà. Anzi, se devo dire la verità, più di tutto mi affascinano le possibilità del mondo dei videogame. Ah, cosa avrei dato per poter disegnare un livello di Doom 2, o anche solo un livello bidimensionale di un gioco alla Pacman (ovviamente a modo mio). Purtroppo sono sparito dalla circolazione proprio nell’anno del primo videogioco commerciale, quindi niente.

Molto interessante. Sempre a proposito di fantascienza, da appassionato di esoterismo glielo devo chiedere. Come molte figure pop, secondo molti complottisti lei sarebbe non solo un massone, ma anche un Illuminato, cosa che sarebbe dimostrata dalla diffusa presenza di rettili multidimensionali nella sua opera.

Ah, sì, mi ha molto divertito questa cosa. In verità non credo di averci messo elementi mistici, quello che molti leggono come misterioso, è un puro gioco logico. Già quand’ero nella vostra dimensione, del resto, ero oggetto di un bizzarro culto da ambienti teosoficheggianti. Un giorno una signora mi telefonò e mi disse: «Signor Escher, sono affascinata dai suoi lavori. Nella sua composizione “Rettili” ha raffigurato in maniera convincente la reincarnazione.» Le risposi: «Se Lei crede di trovarvi ciò, sarà davvero così.» Insomma, potrei negare, ma a cosa servirebbe? I complottisti si convincerebbero solo di più del fatto che io sono addentro al piano del Nuovo Ordine Mondiale.

Tra l’altro, Gombrich la paragona a Piranesi, e Piranesi a sua volta è ritenuto un gran massone esoterico del ’700, a fianco di Casanova e nei Rosacroce…

Ringrazio del parallelo, ma in effetti non saprei quanto sia calzante. In fondo, le Carceri di Piranesi, benché di invenzione, sono tutto sommato ancora plausibili nel mondo tridimensionale. Soltanto sono rese terribili dalle dimensioni e dall’assenza di vita che le anima. Forse ho citato qualcuna delle sue soluzioni, in effetti, ma solo per reinterpretarle quadridimensionalmente. Poi certo, Piranesi è indubbiamente un ermetico, ha progettato anche la chiesa dei “templari” a Roma… guardi, se proprio mi si vuole avvicinare a un esoterico, devo ammettere di aver copiato il Giardino delle Delizie di Hyeronimus Bosch, che con ogni probabilità, mi dicono, era affiliato a sette ereticali del periodo, di stampo gnostico.

Anche la sua predilezione esclusiva per il bianco e nero potrebbe far assumere alle sue opere un significato massonico.

Ah, certo, questo è fuori di dubbio. Da un lato, va detto che essendo io un incisore, non potevo far altro che giocare sul bianco e nero, le pare? Però è vero che avrei potuto passare alla pittura, ad esempio, o basarmi sulle mezzetinte. Invece il gioco dei tesseract, delle scacchiere impossibili di figure bianche e nere incastrate in un gioco perfetto è uno dei miei marchi di fabbrica. Albedo e Nigredo, come nell’antica alchimia. E in alcuni casi il gioco è effettivamente, almeno potenzialmente, esoterico: pensi al contrasto tra angeli e demoni, ad esempio.

Uno dei miei preferiti. Per concludere, di cosa si occupa adesso, esattamente?

Oh, beh, dovrebbe essere un segreto, ma dato che la sua è una piccola rivista credo che posso fargliene un accenno. Tanto nessuno ci crederà, giusto? Beh, come può immaginare, usciti dalle tre dimensioni ci si trova in un multiverso dominato da un complesso equilibrio tra varie forze sovrannaturali. Per fortuna, le mie competenze qui sono piuttosto desiderate: non sono molti gli esseri senzienti in grado di pensare multidimensionalmente. Così, diciamo che progetto delle strutture per i miei nuovi datori di lavoro. A volte si tratta di giardini botanici sperimentali in cui collocare una nuova struttura senziente, ma più spesso parliamo di strutture premiali, rieducative o punitive. La gestione degli ultimi anni ha una fissazione kafkiana per l’incasellamento giudiziario.

In pratica, lei è divenuto un designer d’inferni.

Bella battuta! Ma l’ha detta lei, non l’ho detto io, mi raccomando.

(l’immagine di copertina è tratta da Wikipedia)