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FRANCESCO VIGLINO
L’analisi sulla produzione narrativa di Umberto Eco è spesso concentrata sul primo romanzo, Il nome della rosa, suo capolavoro, che gli valse il Premio Strega nel 1981. Le successive opere dell’autore alessandrino risultano essere trascurate, e vengono considerate – in blocco, senza nemmeno distinguere fra di esse – al solo fine di creare un confronto col suo romanzo d’esordio, che viene così valorizzato a scapito dei romanzi successivi.
Tra di essi, Il pendolo di Foucault (1988) è senz’altro l’opera più pregevole: romanzo complesso, a partire dalla struttura (ben 120 capitoli, suddivisi in dieci parti intitolate con le Sephirot), ricchissimo di citazioni storiche, rivelatrici dell’immensa cultura dell’autore, che vede i tre protagonisti – il giovane Casaubon, Belbo e Diotallevi, redattori presso una casa editrice milanese negli anni ’80, i quali, accomunati dall’attività culturale e scientifica, presentano tuttavia visioni ed interessi diversi – costruire il “Piano”, ossia un complicato programma che sarebbe stato organizzato dai cavalieri templari allo scopo di ricomporre una mappa che permette a chi la possiede di accedere ad un immenso potere. Nel romanzo, oltre alla dimensione erudita ed alle numerose digressioni storiche, non viene trascurato l’approfondimento della sfera interiore dei personaggi (in particolate del tormentato Jacopo Belbo, che presenta aspetti autobiografici).
Il cimitero di Praga (2010) è forse l’opera meno riuscita tra quelle in analisi: essa vede come protagonista il capitano Simonini, falsario ed agente segreto torinese, al servizio del governo piemontese durante il Risorgimento, e poi attivo a Parigi sul finire del XIX secolo, ove, tra le altre cose, redige i famosi Protocolli dei Savi Anziani di Sion, sui quali si sarebbero basati decenni di movimenti antisemiti.
Il tema che più si ritrova nella produzione di Eco è sicuramente quello del complotto: Il pendolo di Foucault e Il cimitero di Praga ruotano entrambi attorno alla costruzione di cospirazioni, anche se in due dimensioni tra loro diverse.
Nel primo caso, si potrebbe dire, si edifica il complotto dall’esterno, in quanto i tre protagonisti ricostruiscono l’immenso Piano senza prenderne parte, basandosi sugli indizi più disparati, e collegando fra loro eventi storici che, di per sé, appaiono del tutto indipendenti. L’asserito programma che i personaggi ricostruiscono vede una serie di incontri, previsti uno a distanza di 120 anni da quello precedente, e da tenersi in luoghi prestabiliti: ad ogni appuntamento i templari di diversi Paesi dovrebbero ritrovarsi ed aggiungere alla mappa l’elemento in loro possesso, e solo nel contesto dell’ultimo incontro sarebbe possibile ricomporre la mappa nella sua interezza – cosa che, tuttavia, non sarebbe stata realizzata, a causa di alcuni intoppi nella sequela dei passaggi previsti. Sfortunatamente per i protagonisti, benché il Piano sia completamente inventato, basandosi lo stesso su un indizio che con il preteso complotto non c’entra nulla (come dimostra la compagna di Casaubon, ossia l’unica voce razionale in mezzo a persone che, dopo aver creato il Piano quasi per scherzo, ne rimangono prima affascinati ed infine ossessionati) vi è chi lo considera reale, ed è disposto a tutto pur di realizzarlo – come dimostra il tragico finale, che vede Belbo rapito dai potenti membri di una setta, che, venuti a conoscenza del Piano inventato dai tre redattori e convinti della sua bontà, intendono realizzarlo.
Specularmente, nel Cimitero di Praga il complotto è costruito dall’interno, poiché è lo stesso protagonista che organizza azioni eversive accordate coi governi e crea documenti falsi al fine di favorire gli ambienti reazionari, che ottengono così facili bersagli delle loro tesi anticomuniste ed antisemite. Il protagonista grazie alla sua abilità di falsario redige la prima versione dei Protocolli dei savi anziani di Sion: in essi si dà atto dell’incontro di alcuni ebrei che tramano per conquistare il mondo, e si svelano così le strategie da essi architettate. La stesura del documento è commissionata a Simonini dai servizi dell’impero zarista, che avrebbe poi sfruttato lo scritto ai suoi fini reazionari: in particolare, grazie ai Protocolli era possibile reprimere i movimenti comunisti, che all’epoca minacciavano la stabilità degli Stati, asserendo che gli stessi fossero in realtà guidati dal complotto ebraico, al fine di creare instabilità politica e sociale.
Nel romanzo si costruisce un complotto “di secondo grado”, nel senso che la prima cospirazione, narrata dall’autore, è finalizzata a crearne un’altra, ovviamente falsa, ma che deve essere ritenuta vera dalla generalità; anche qui è dunque presente una cospirazione inventata, ma figlia a sua volta di un complotto, che però, a differenza della prima, deve ovviamente rimanere segreto. Sorprendente è la “nota dell’autore” che segue il racconto: Eco spiega che tutti i personaggi presenti nel libro – ad eccezione del protagonista – sono realmente esistiti ed hanno agito, in sostanza, come viene narrato. Questo secondo romanzo non raggiunge il livello de Il pendolo di Foucault, ma la presenza della nota di chiusura suscita stupore nel lettore, il quale diviene consapevole che la maggior parte di ciò che sembrerebbe essere frutto di fantasia (e molto di quello che viene raccontato, in particolare i personaggi con cui collabora Simonini e le loro pubblicazioni, risulta tanto esagerato da apparire esclusivamente elemento romanzesco inventato dall’autore) è invece accaduto realmente. Queste considerazioni permettono anche di respingere le critiche di chi vuole il libro “troppo antisemita”, e addirittura pericoloso: è evidente che l’intento dell’autore non è sostenere le tesi proprie dei personaggi, anzi, pare che il romanzo voglia far comprendere quanto queste ideologie fossero presenti nella società dell’epoca e chi avesse interesse nel diffonderle, oltre a far presagire a quali derive esse avrebbero in seguito condotto.
Il complotto, dunque, pervade le trame dei citati romanzi, e viene affrontato in modo diverso: mentre Il pendolo di Foucault decostruisce e presenta in modo ironico il tema, finanche ridicolizzandolo, ma anche ammonendo sulla pericolosità che si può accompagnare ad esso (soprattutto ove vi siano degli individui che ingenuamente credono alla cospirazione), Il cimitero di Praga è incentrato su complotti reali, effettivamente orditi da individui realmente esistiti, condivisi dalla società dell’epoca. Nel primo romanzo il Piano è irreale, frutto di una fantasia ossessiva, che cerca (e trova) collegamenti ovunque, mentre nel secondo non solo le cospirazioni cui prende parte il capitano Simonini sono reali (a livello di trama), ma le stesse sono fatti storici. La cospirazione, dunque, non è per Eco (soltanto) un’inverosimile fantasia che inganna le persone, ma anche un effettivo pericolo: nel Pendolo di Foucault è vista dal basso, da individui comuni, che la vogliono ricostruire ad ogni costo, mentre nel Cimitero di Praga la dimensione è opposta, in quanto il protagonista è effettivamente autore di complotti. Eco non si limita, dunque, a screditare la cospirazione in quanto tale, riducendola ad un’invenzione che inganna gli sprovveduti disposti a credere in essa; l’autore ammonisce che i complotti possono essere reali, anzi lo dimostra, e sottolinea la loro pericolosità.
L’insegnamento che si può trarre è quindi duplice: da una parte, Eco segnala che è opportuno non credere a tutto quello che ci viene presentato, e che non sempre i collegamenti che possono essere tracciati rispecchiano la realtà; dall’altra, l’autore mette in luce la pericolosità dei veri complotti, che sono reali e possono avere conseguenze nefaste.