Pasquale Ciboddo, Era segno sicuro

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PASQUALE CIBODDO

Era segno sicuro

Una notte di tre mesi fa,
febbraio 2020,
prima di manifestarsi il Corona Virus
in sogno mi apparve
la Madonna Incoronata.
Sembrava un po’ sconsolata,
chiusa dentro una rete a sacco
con steli secchi
di rovo e prugnolo.
Io ero con un ragazzino
che non conoscevo
seduti in aperta campagna.
Alla vista della Regina Celeste
abbiamo temuto, gridato,
e ci siamo girati, per la paura,
dall’altra parte.
Non sarò proprio
uno stinco di santo
ma vedendo la Madonna
apparire da sola
così ingabbiata
era avviso sicuro,
per l’intera umanità,
di siccità e di morte.
Fatto che succede oggi
senza tregua.
L’umanità trema
e in silenzio muore.

*

A Nella

Quando non ti vedo
ti penso
in ricordo
di tempo passato
col sorriso di studentina
ora ancora
più smagliante
di signorina,
o mia cara, lucida
alunna ridente
come gemma attraente.

*

Questa la nostra sorte

C’è sofferenza
nel nascere e nel morire.
L’esistenza umana
vive solo una primavera
dolce di giorno e di sera.
Segue la decadenza
col mite autunno
e poi il gelido inverno
che conduce alla morte.
Questa la nostra sorte.

Pasquale Ciboddo, Era segno sicuro, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022

Dalla Prefazione di Enzo Concardi:

Preponderante in quest’ultima, singolare opera poetica di Pasquale Ciboddo è la realtà tragica della pandemia che ha colpito l’umanità intera, causando morti, lutti, sofferenze, crisi sociali e personali. Il poeta, diversamente da molti altri nella nostra società, non vuole chiudere disinvoltamente tale capitolo, anzi ne rimarca in continuazione le conseguenze, dimostrando la sua pietas per i devastanti avvenimenti. Egli attribuisce le cause del fenomeno pandemico ad una nemesi divina e naturalistica per gli errori umani. Spiega le perdite di vite che ancora non cessano, all’interno di una visione mistico-provvidenziale, affidandosi ad un sogno iniziale premonitore delle disgrazie successive: Era segno sicuro - il titolo della raccolta – nasce da un evento onirico in cui egli, vedendo la Madonna sofferente, presagisce ciò che ci avrebbe colpiti.

A fianco di tale grande accadimento storico, che paragona alle pestilenze del passato, l’autore, attraverso motivi reiterati, costruisce liriche che toccano i temi a lui più cari: il tramonto e la rovina degli stazzi della Gallura, sua terra amatissima; la nostalgia accorata di quella civiltà in cui si viveva duramente ma serenamente; la condanna della società industriale, tecnologica, metropolitana, non a misura d’uomo; il contrasto campagna-città, dove il primo termine rappresenta la salute della vita e la simbiosi benefica con la natura, mentre il secondo racchiude solo vite tristi e alienate; l’indugiare attraverso la memoria sui ricordi del passato non più revocabile. L’autore registra la drammaticità della realtà, mentre egli conserva la speranza fiduciosa nel futuro: l’insistenza sulla presenza della morte tra di noi e sul destino morituro degli umani, costituiscono senz’altro un retaggio vetero-testamentario di biblica discendenza. (…)