26. Dans la coulisse, dietro le quinte.

Mirabeau padre

Mirabeau padre

DINA TORTOROLI

«Un accident imprévu fit brusquement ce que n’avaient pu obtenir les supplications les plus ardentes [la liberté ou des juges]. Le fils de Mirabeau mourut subitement le 8 octobre 1778, le jour même où il accomplissait sa cinquième année» (Un caso imprevisto rese bruscamente possibile ciò che non avevano potuto ottenere le suppliche più ardenti [la  libertà, oppure dei giudici]. Il figlio di Mirabeau morì improvvisamente l’8 ottobre 1778, il giorno stesso in cui compiva il suo quinto anno).
Un’avvertenza: “rendere possibile” non equivale a “ottenere”.
Effettivamente, accadde che  – morto il nipote – la “posteromania” del Marchese Victor de Mirabeau gli fece concepire l’idea di restituire al figlio Gabriel-Honoré la libertà necessaria per un riavvicinamento alla moglie, unico mezzo – l’altro figlio maschio “n’est pas mariable” (non è sposabile) – per evitare che il suo nome si estinguesse.
Il biografo Barthou aggiunge: “Fu Dupont – più tardi De Nemours –, amico del Marchese e collaboratore di Turgot, che si prodigò per questa scarcerazione, con l’assenso de l’Ami des hommes, resté dans la coulisse, per sorvegliare e guidare le negoziazioni e per imporre, all’ultimo momento, le sue condizioni”.
Col passare dei mesi, però, Dupont dovette constatare che del tutto refrattaria a ogni accordo era Madame de Mirabeau, soltanto in un primo momento incline a trasferirsi a Bignon.
Nella lettera del 16 maggio 1779, in cui Gabriel ricostruisce il primo, commovente incontro con Dupont, che non vedeva da otto anni, è in grado di riferire a Sophie il motivo dell’iniziale arrendevolezza della moglie: “Madame de Mirabeau ha sospettato che il suo sventurato bambino fosse stato avvelenato; lei ne è stata talmente terrorizzata che il suo primo impulso è stato di salvarsi presso la mia famiglia. È molto malcontenta della sua, e si presenterà forse immediatamente a Parigi o a Bignon”.
Non fu così: Madame rimase lontana e si rifiutò di servir d’instrument  per il recupero della libertà di suo marito.
Le négociacions di Dupont si fecero logoranti: lui era un negoziatore instancabile e onnipresente, ma erano in competizione risentimenti e brame del parentado di Gabriel-Honoré, di sua moglie e della sua amante.
L’intreccio dei drammi domestici conferiva veramente a chi tentava un accordo “il dono dell’inefficacia”, se non che, l’anno del Signore 1780, mercoledì 24 Maggio, fu inumato nel cimitero della parrocchia di Notre-Dame-de-Deuil, diocesi di Parigi, dal curato Sevoy, il corpo di Sophie-Gabriel – deceduta il giorno prima –, figlia della Signora Marie-Thérèse-Sophie-Richard de Ruffey, sposa del signor Claude-François de Monnier, cavaliere, anziano Primo Presidente della “Camera dei Conti” di Dôle in Franca-Contea*.
Louis Barthou scrive che “intorno a Sophie, a Gien, come intorno a Mirabeau a Vincennes, e, come a Pontarlier, da dove Madame de Ruffey non cessava di consigliare fermamente sua figlia, l’impressione era la medesima: questa morte doveva avere per risultato di rendere più facile il regolamento della situazione dei due prigionieri”.
Mirabeau chiese di essere lui a dare la crudele notizia a Sophie.
Ed eccoci giunti alla lettera del 28  maggio 1780.
Finora, ho accennato brevemente al contenuto delle Lettres originales de Mirabeau, perché il mio scopo è soltanto di individuare il legame tra Gabriel-Honoré Mirabeau e Gio.Carlo Imbonati, in quanto autore della commedia La Bastiglia. Ma, proprio per questo, ora devo soffermarmi sul discorso che al primo impatto mi ha messo tanto a disagio da farmi supporre di aver letto male.
Solo a metà della sua lunga perorazione, Mirabeau confida a Sophie la titubanza  provata nel doverle parlare della tremenda perdita da entrambi subìta, e aggiunge: “il timore che tu ricevessi questo colpo da un’altra mano che non sapesse addolcirtelo, la mia fiducia nel tuo coraggio, l’alta opinione che ho del tuo affetto, che non mi fa dubitare che il mio non supplisca sufficientemente a questa privazione terribile, mi hanno impegnato a parlarti senz’ambagi”.
Mi pare un’attenuante al terribile modo in cui aveva dato notizia della privation, nel secondo paragrafo: «Chère amie! loin de nous les ménagements des ames pusillanimes… Notre enfant n’est plus! Eh bien, je te reste» (Cara amica! Lungi da noi i riguardi delle anime pusillanimi… La nostra bambina non c’è più! Ebbene, io ti rimango).
Inoltre, mi ritorna in mente che Gabriel aveva deplorato la viltà dei pusillanimi in una strana lettera senza data (inserita dal curatore Manuel tra la penultima del tomo III, del 24 Settembre 1779 e l’ultima, del 9 Ottobre), e rileggendola, mi accorgo che essa acquista un significato sorprendente.
Mirabeau dice che vuole riferire alla sua buona amica alcuni aneddoti che ha trovato in una raccolta molto scadente, in cui, però, si incontrano cose singolari.
Il secondo episodio concerne i modi impiegati da una religiosa per fuggire dal suo convento con l’amante, e Mirabeau afferma che tutti quegli stratagemmi, per quanto censurabili, – toutes ces inventions-là  quelles qu’elles puissent être –  hanno diritto (il corsivo è mio) di suscitare l’interesse suo e di Sophie, poiché quella religiosa voleva non solo fuggire col suo amante, ma voleva metterlo al riparo dalle ricerche.
Mirabeau pensava allora che anche lui e Sophie avrebbero dovuto mettere qualcuno al sicuro, ricorrendo a una simulazione?
Ma torniamo alla vicenda della suora, che, un giorno, disse al suo amante di procurarsi buoni cavalli e di aspettarla a una certa distanza dal convento. Lei si incaricò del resto, e non volle svelargli i modi che aveva escogitato per impedire a tutti di accorgersi della sua evasione.
Quel giorno era stata tumulata una delle consorelle, e poiché la tomba non era ancora stata richiusa, lei di notte vi entrò, portò la morta nella sua cella, la distese sul suo letto, vi appiccò il fuoco, poi fuggì dal convento e raggiunse il suo amante.
Quando le suore, scoperto l’incendio, entrarono nella cella, il corpo che trovarono nel letto era per metà bruciato, perciò non si accorsero della sostituzione. Non ebbero sospetti di alcun genere e pregarono molto per la consorella che occupava quella cella, credendola vittima delle fiamme.
Mirabeau giudica molto difficoltosa la sostituzione del cadavere, ma apprezza l’invention del fuoco. La storia è vera, e lui dichiara a Sophie (pertanto glielo suggerisce) che lei sarà soprattutto sbigottita dal comportamento di quella santerellina, dopo un colpo così fortunato e audace.
Infatti, i due amanti trovarono rifugio in paese straniero; si sposarono; l’uomo si dedicò al commercio e accumulò un notevole patrimonio, che i suoi numerosi figli avrebbero dovuto ereditare, se non che la donna, rimasta vedova, si ritirò in un convento, e fece una confessione che li rovinò.
Dichiarò che era stata una religiosa, e la famiglia del marito s’impossessò del patrimonio dei “bastardi”.
È evidente che Mirabeau aveva voluto indurre Sophie a riflettere sulla barbare folie della donna, che, per pusillanimità, volle espiare – come richiede la dottrina – la sua giovanile “negligenza del bene”, ma divenne ancora più colpevolmente “negligente intorno al male” che avrebbe provocato.
Mirabeau aveva creato, insomma, una perfetta occasione per esaltare le virtù opposte della sua cara amica e quindi – ci insegna lo psichatra Ronald Laing – per imporgliele**: “Io noto soprattutto quale differenza c’è tra la mia Sophie e tutto il rimanente del suo sesso, e quanto lei è superiore a tutte le leggerezze spregevoli o alle debolezze delle altre donne”.
Ricordo – sfocatamente, perché allora la notizia non mi interessava – di aver letto che Mirabeau fece ricorso anche a una “corrispondenza cifrata” per mezzo di un “alfabeto crittografico” di sua invenzione, e devo ammettere che le lettere in esame sembrano veramente documenti in stile criptato, anche se non ho l’impressione che sia stato usato un cifrario macchinoso, “a scorrimento alfabetico” (come il celebre  “cifrario di Cesare”).
Direi piuttosto che Mirabeau abbia scelto un metodo “a scorrimento contenutistico”: parole e frasi pregnanti, delle quali soltanto il destinatario potesse intuire la corretta lettura, riflettendo sulle problematiche situazioni in atto.
Prima della loro separazione, Gabriel  – prevedendo che la loro corrispondenza, qualora fosse stata loro concessa, sarebbe stata ispezionata – avrebbe potuto  dire a Sophie che ogni volta in cui lei avesse notato nelle sue lettere qualcosa di anomalo, e una frase, o un segnale convenuto, significava che lui le stava inviando un messaggio  “altro” rispetto a quello più ovvio, destinato ai profani; a lei il compito di riflettere sulla verità nascosta.
Nella lettera del 28 maggio 1780 glielo dice espressamente: «La réflexion doit donc ici combattre notre douleur» (La riflessione deve a questo punto combattere il nostro dolore).
Requisito indispensabile: la fiducia in lui, e nel fatto che le sue parole non equivalevano mai a vuote formule.
Consideriamo, per esempio, questo brano: «Oserais-tu dire ou croire qu’il n’est plus de bonheur pour toi dans le monde, quand tu peux tout pour le mien; quand j’existe, quand je vis pour toi, quand je touche peut-être au moment de t’être rendu?…. O mon amie! Nous sommes déjà  payés pour regarder la mort comme la plus belle invention de la nature. A combien de maux peut- être elle a dérobé ta fille!» (Oseresti dire o credere che non c’è più felicità per te nel mondo, mentre tu puoi tutto per la mia, mentre io vivo per te, mentre per me giunge forse il momento di esserti restituito?…. O amica mia! Abbiamo già ricevuto un trattamento tale da considerare la morte come la più bella invenzione della natura. A quanti mali forse essa ha sottratto tua figlia!).
Par un anno intero il continuo rovello di Sophie e suo era stato il collocamento della figlia dopo lo svezzamento e l’inoculazione. Basta riandare alla lettera del 20 Settembre 1779,
in cui Mirabeau dichiara : “Che, malgrado il tuo volere, malgrado il mio, malgrado le convenienze, malgrado la ragione, malgrado l’umanità, si lasci tua figlia in balìa dell’incuria di una contadina, in un villaggio, io non posso crederlo, e lo spiegherò oggi molto seriamente a M. Boucher”. Infatti, aggiunge: “Tua figlia è agli occhi dei magistrati e delle leggi Mademoiselle de Monnier. Lei ha i diritti di cittadina. Noi li reclameremo per lei il giorno in cui si volesse privarnela; e questo è il primo e il più sacro dei nostri doveri”. Quindi  conclude: “Io non voglio che mia figlia sia una contadina”.
Di più: Mirabeau credeva i tutori ella bambina capaci di qualsiasi nefandezza: “Dico decisamente che io li credo addirittura capaci di avvelenare un bambino che è importuno, a loro carico, e che odiano in quanto sangue mio”.
Sophie avrebbe quindi potuto facilmente intuire che se un’invention accuratamente organizzata, sull’esempio della giovane suora fuggiasca, avesse permesso che la bambina scomparisse all’interno di un qualche convento, sarebbero contemporaneamente svanite tutte quelle preoccupazioni.
Sarebbe stata una lontanaza dolorosa, ma non più della separazione che lei stava sopportando da quasi due anni. E Gabriel lo evidenzia: “Tu non hai mai gioito della dolcezza di vedere a lungo tua figlia, della tenerezza dei suoi abbracci, delle carezze, della sua infanzia”.
A quella sventurata madre non restava che dimostrare anche in quella tremenda circostanza il suo noble courage.
Il 7 giugno, Mirabeau le dice che la sua extrême inquiétude è stata un po’ calmata dalla lettera che lei gli ha scritto il 2 giugno, e poco oltre puntualizza: «Ce sont nos tyrans […] qui ont tari pour notre enfant la source de vie qu’elle [la nature] lui avait ouverte, qui l’ont livré à une mère empruntée et mercenaire. Helas! elle fut plus tendre qu’eux, et l’on dit qu’elle pleure amèrement notre fille….. Elle devait périr, et l’on n’échappe point à sa destinée». (Sono i nostri tiranni che hanno disseccato per la nostra bambina la sorgente di vita che la natura le aveva avviato, che l’hanno consegnata a una madre avventizia e mercenaria. Ahimè! Lei fu più affettuosa di loro, e si dice che piange amaramente nostra figlia….. Lei doveva scomparire, e non si sfugge al proprio destino).
Scelte lessicali come périr invece di mourir, e sempre la locuzione elle n’est plus invece di elle est morte a me sembrano rivelatrici della realtà che doveva restare per sempre segreta.
La morte – che doveva essere creduta da tutti, senza alcun sospetto, proprio come nel caso della suora pusillanime – viene nominata da Mirabeau soltanto nel momento in cui prescrive  a Sophie un ben preciso comportamento: «Je crois qu’il est inutile de rechercher aucune espèces de détails sur la mort de cette pauvre petite. Elle n’est plus, et tous les reproches que nous croirons puovoir faire aigriraient notre chagrin, et ne lui rendraient pas la vie» (Credo che sia inutile ricercare qualsiasi specie di dettagli sulla morte di questa povera piccola. Lei non c’è più, e tutti i rimproveri che noi crederemmo di poter fare inasprirebbero la nostra pena, e non le restituirebbero la vita).
Per quanto mi possa dispiacere, anch’io devo rinunciare a indagare oltre la scomparsa “salvifica” di quella bambina, pur sapendo che esistono tanti altri elementi che potrebbero trasformare un’ipotesi in convincimento (riscontrabili soprattutto nel pacchetto di lettere, affidato da Mirabeau a M. Boucher, che ne conosceva la destinazione ed era stato  pregato di non aprirlo che dopo la morte di Gabriel, nonché nel comportamento di Sophie, quando finalmente fu libera).
In relazione alla vicenda dell’Imbonati è giunto, infatti, il momento di orientare l’attenzione sul ruolo che – dietro le quinte –  oltre al marchese Victor, altri personaggi evidentemente ebbero, considerando che, in seguito alla tanto “opportuna” scomparsa della bambina avuta dall’amante, il 13 dicembre 1780, Mirabeau uscì dal carcere di Vincennes.
Queste operose amicizie erano state da lui ripetutamente evocate a Dupont: «Plusiers me connaissent et m’estiment» (Molti mi conoscono e mi stimano); «Des gens estimables et respectables me témoignent, outre de l’intérête et de l’amitié, une estime très flatteuse» (Persone stimabili e rispettabili mi testimoniano, oltre all’interesse e all’amicizia, una stima molto lusinghiera); «Tu sais quels témoignages flatteurs de considération j’ai reçus de plusiers savans en Hollande» (Tu sai quali lusinghiere testimonianze di considerazione ho ricevuto da molti studiosi in Olanda); «Il est assez bizarre que j’intéresse les étrangers, et non pas mon père» (È molto bizzarro che io interessi gli stranieri, e non mio padre). E riguardo ai rapporti di Mirabeau con intellettuali stranieri, un dato prezioso è offerto dal professor GianMario Cazzaniga: «è probabile che nei soggiorni a Londra (1784) ed Amsterdam (settembre 1776-maggio 1777) Mirabeau abbia frequentato logge». (La religione dei moderni, Edizioni ETS, Pisa, 2001, p. 37).
Di non minore importanza è sapere che il “negoziatore” Samuel Dupont – che pure amava dire che si considerava comme affilié alla famiglia Mirabeau – effettivamente era affiliato alla Massoneria, e si dichiarava fiero di lavorare per l’umanità e per le altre creature viventi, di consacrare le facoltà avute in dono da Dio «à un interêt plus général, plus noble, plus fraternel, que l’interêt privé».

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*EXTRAIT du registre des Sépultures de l’Eglise paroissiale de Notre-Dame-de-Deuil, diocèse de Paris, pour l’année 1780.

L’an du Seigneur, mil sept cent quatre-vingt, le Mercredi vingt-quatrième Mai, a été inhumé, dans le cimitière de cette paroisse, par nous, couré sous-signé, le corps de Sophie-Gabriel, décédé d’hier dans cette paroisse, chez Jacques Quillet, chez lequel était en nourrice, agée de deux ans seize jours, née rue de Bellefond, paroisse de Monmartre, où elle a été batisée, au-lieu de l’avoir été à Notre-Dame-de-Lorrette, son annexe; fille de Dame Marie-Thérèse-Sophie-Richard de Ruffey, épouse de messire Claude-François de Monnier, chevalier, ancien premier président de la chambre des comptes de Dôle en Franche-Comté; en présence dudit Jacques Quillet, de Pierre Jolly et de Jacques Seny, de cette paroisse, qui ont signé. Ainsi, signé Jaques QUILLET, Pierre Jolly, Seny, Sevoy, curé.

Collationné à la minute, et délivré par nous, curé soussigné, le 6 Jouin 1780. SEVOY, curé de Deuil» (Documento pubblicato da Manuel subito dopo la lettera del 28 Maggio 1780).

** «Un modo per far fare a qualcuno la propria volontà è quello di impartire un ordine. Tutt’altra cosa è indurre qualcuno ad essere ciò che si vuole che sia, oppure che si teme che egli sia (lo si voglia o no), vale a dire indurlo ad incarnare le proprie proiezioni. In un contesto ipnotico (o analogo all’ipnosi), non gli si dice che cosa deve essere, ma che cosa è. Tali suggestioni, nel contesto, sono spesso più efficaci degli ordini (o di altre forme di coercizione o persuasione). Un ordine non deve necessariamente essere definito come tale. A mio avviso noi riceviamo la maggior parte delle nostre prime e più durevoli istruzioni sotto forma di attribuzioni» (R. D. Laing, La politica della famiglia, Nuovo Politecnico Einaudi 1973, p. 85).