LAURA BLENGINO
-Hai cominciato a essere cantante presto. Com’era?
Ho iniziato a 5 anni. Io adoravo cantare. Ma non è così bello come si pensa. A volte tornavo da scuola e dovevo subito andare a registrare. C’era un parco giochi di fronte agli studi e osservavo gli altri. Volevo essere un altro bambino per giocare, essere libero e spensierato. A volte andavo a letto alle 23, altre volte a mezzanotte inoltrata. Per questo, alcune volte la mia infanzia mi è sembrata triste. Ma comunque adoravo cantare.
-Sei anche un ottimo ballerino. Come fai?
Per spiegarti racconto questo.
Subito dopo lo spettacolo “Motown 25″, un ragazzino salì dietro le quinte del palco. Avrà avuto 10 anni. Rimase fermo, con occhi che brillavano e mi chiese “Amico, chi ti ha insegnato a ballare in quel modo?”. Io risi e risposi “La pratica, immagino”.
Il giorno successivo mi chiamò Fred Astaire. Disse “Ti muovi in modo divino. Amico, li hai messi tutti con il culo per terra, ieri sera. Sei un ballerino infuriato. Anch’io sono così. Faccio le stesse cose anche con il bastone.”
Il ballo mi viene così.
-Il famoso passo “Moonwalk”, com’è nato?
Tutto successe la notte prima del “Motown 25″.
Scesi in cucina e mi misi a cantare “Billie Jean” ad alta voce. Ero completamente solo, e rimasi in piedi tutta la notte per lasciare che fosse la canzone a suggerirmi quello che dovevo fare. E’ come se il ballo si fosse creato da solo. Mi sono lasciato consigliare; ho sentito l’incedere del ritmo, ho preso il cappello da spia e ho cominciato a mettermi in posa, poi a fare dei passi, lasciando che fosse il ritmo di “Billie Jean” a guidare i movimenti. Fu tutto spontaneo.
Il Moonwalk era uno dei passi che stavo provando da qualche tempo e fu in quella cucina che decisi di presentarlo in pubblico in occasione dello spettacolo.
Era nato come passo di break-dance, ideato dai ragazzi di colore che si cimentano nei balli più disparati agli angoli delle strade dei ghetti neri.
Volevo assicurarmi che cantando “Billie Jean” riuscissi a dare l’impressione di camminare in avanti e, contemporaneamente, indietro, come se mi trovassi sulla luna.
-Tantissimi successi tra le tue canzoni. Ma le più importanti restano “Billie Jean”, “Beat it” e “Thriller”. Cosa ci puoi dire riguardo ai rispettivi video?
I tre video che vennero girati corrispondevano all’idea originaria che avevo avuto per quell’album. Volevo assolutamente che quella musica fosse il più visiva possibile. Volevo qualcosa che incollasse la gente allo schermo, qualcosa da rivedere in continuazione.
“Billie Jean” è stato prodotto dalla CBS, ed è costato 250.000 dollari circa. A quei tempi si trattava di una bella somma per un video. Steve Baron, il regista, aveva molte idee fantasiose, anche se all’inizio non si era dimostrato entusiasta della presenza dei balletti. Io, al contrario, volevo promuovere la danza tra la gente. Fu un’esperienza meravigliosa ballare in un video. Le inquadrature in cui mi alzo sulle punte dei piedi sono spontanee, così come altri passi.
“Beat it” venne diretto da Bob Giraldi, che già aveva fatto diversi spot pubblicitari. Ricordo che mi trovavo in Inghilterra quando si decise che “Beat it” sarebbe diventato un 45 giri.
La mia idea era che dovesse essere interpretato per quello che era e e che esprimeva: lotte tra bande di ragazzi, ambientate per le strade di una città. Doveva essere crudele, perchè di questo parlava.
Andammo in giro per le strade di Los Angeles a raccogliere gruppi di teppisti da inserire nel video. Risultò una buona idea e per me fu un’esperienza meravigliosa. Sul set arrivarono ragazzi brutali, difficili, che non avevano bisogno di essere truccati. I ragazzi in piscina, nella prima scena, sono veri teppisti, non sono attori. E’ tutto estremamente reale. Non ero abituato a stare in mezzo a tanti ceffi e quei ragazzi mettevano davvero a disagio. Ma c’erano guardie del corpo ovunque. Ci rendemmo subito conto che niente di tutto questo sarebbe stato necessario: i ragazzi erano umili, dolci e gentili nei modi di fare. La cattiveria e la crudeltà erano soltanto atteggiamenti che permettevano loro di essere riconosciuti. Il loro scopo era quello di farsi notare e rispettare e noi li avremmo fatti trasmettere in televisione. Era qualcosa che adoravano. “Ehi, guardatemi, sono qualcuno!”
Per “Thriller” la società discografica prevedeva vendite per due milioni di copie. Una delle persone che mi diede una mano fu Frank Dileo, assieme a Ron Weisner e Fred DeMann. Sapevo fin dall’inizio quale regista scegliere. L’anno prima avevo visto un film horror intitolato “Un lupo mannaro americano a Londra” e il regista, John Landis, sarebbe stato perfetto anche per “Thriller”. Il video, infatti, doveva contenere lo stesso tipo di trasformazioni che capitano al protagonista di quel film. Conttattamo Landis e accettò.
Ben presto il budget raddoppiò e le eccedenze le avrei pagate io.
A John venne un’idea fantastica. Suggerì di fare un video separato, finanziato da qualcun’altro, che mostrasse i retroscena di “Thriller”. Il successo di “The making of Thriller” ci colpì in modo incredibile. Ha venduto quasi un milione di copie. Persino adesso, detiene il record del video musicale più venduto di tutti i tempi.
Il budget era coperto e la cosa era risolta.
(Fonte: libro “Moon walk”, Michael Jackson, Ed. Sperling Paperback, 2009)
(Foto di Lorenzo Barberis, Paris, 2009)