La poesia, saxifraga della normalità.

inventariometricaSTEFANO CASARINO

Tante cose può essere la poesia: un grido o un singhiozzo, una protesta o un invito. Quella di Gabriella Mongardi è un sussurro.
A tante cose può assomigliare la poesia: ad un quadro, ad una musica, ad una scossa. Quella di Gabriella è una carezza.
Ma forse meglio e più di tutto la poesia della mia amica è come la saxifraga che si insinua tra le rocce: in un terreno ostile, in un luogo impensabile, contro ogni aspettativa spunta un fiore insolito, proprio come nella quotidianità, nella ripetizione dei giorni e dei gesti, possono fiorire versi gentili.
Versi che qui vorrebbero assurgere – almeno così ho inteso – ad una sorta di bilancio esistenziale, una summa di emozioni e riflessioni, un rapsodico ripercorrere ciò che è stato e ancora è il tempo vissuto e da vivere.
Inventario: cioè, rivelazione ed elencazione di beni, di solito materiali. Un termine burocratico, volutamente greve.
In metrica: cioè, con le movenze tutte soggettive di versi eterogenei, accordati in tempo di “battere e non di levare”: come pulsazioni di cui conta più l’intensità della durata.
L’accostamento è volutamente ossimorico, logicamente stridente: “rassegna di cose (trascrivo in modo decisamente impoetico) trasfigurate, trasformate in suoni, in musica”.
È una chiara indicazione di percorso esistenziale e di lettura interpretativa: dal concreto all’astratto, dal reale all’ideale.
Quasi un processo di rarefazione, insomma.
Le parole pesanti diventano leggere, si volatilizzano in suoni, anche di lingue diverse, perché povera e deficitaria è l’espressione in un solo registro linguistico: e allora sin da subito l’esordio in tedesco e più avanti la comparsa del francese, del dialetto, del latino…
La poliedricità dell’esistere impone il poliglottismo, Gabriella abita più case linguistiche nella sua poesia, che però abita anche il nido del silenzio. Come la bimba che era un tempo, solitaria /e silenziosa, che stava in disparte /e osservava.
Farsi leggeri: questa sembra la lezione di questi versi, che intrecciano ricordi e tramano sogni, che denunciano assenze e esigono ricerche. Della nota di Dio, del richiamo che faccia ritornare chi si è perduto (e come non pensare qui a Montale? Avevamo studiato per l’aldilà/ un fischio, un segno di riconoscimento …).
Versi che sono più cittadini di un altrove che dell’hic et nunc o che, meglio, da questa dimensione di corpi e di oggetti partono per altri approdi, come mongolfiere lente e leggere.
La vita, in fondo, è sempre attesa: di sorprese e di senso, di trepidazioni ed emozioni. Che bisogna educarsi a cogliere e a tesaurizzare: viviamo in perenne vigilia, ci imponiamo privazioni per intensificare poi la gioia, digiuniamo per meglio saziarci dopo.
E se il dopo non arriva, se nessun quadro ha senso/ se non nel gioco che lo crea, resta la consapevolezza di aver vissuto con la fragilità e l’eleganza di un semplice fiore.
Come quello – potente la suggestione catulliana – dovremo imparare a morire in silenzio/[…]contento di essere stato.
Dolente e appagata consapevolezza: la natura non ha bisogno di umani.
Ma noi umani abbiamo bisogno di natura e di poesia, di abitare l’assenza e la distanza, di ascoltare Bach e di ammirare il divenire del tempo che si trasforma in diverse stagioni, di vivere nella breve luce (sempre Catullo!), paghi di una eternità breve.

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La raccolta poetica Inventario in metrica di Gabriella Mongardi sarà presentata sabato 17 settembre alle ore 17:30 a Mondovì Piazza, presso il Centro Studi Monregalesi (accanto al Duomo), a cura dell’Associazione Culturale “Gli Spigolatori”.Interventi di Yvonne Fracassetti Brondino e Giuliana Bagnasco.