Di questa città. Dieci storie on off di Giovanni Fierro

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Quest’opera costituisce il primo tassello di un progetto culturale a lunga scadenza, che intende raggiungere, e possibilmente superare il 2025, quando Nova Gorica e Gorizia saranno, insieme, Capitale europea della cultura; e intende promuovere e divulgare le diverse peculiarità artistiche e letterarie che rendono queste due città un laboratorio culturale e politico unico senza precedenti in Europa.

Testi di Giovanni Fierro
Illustrazioni di Nicola Montemorra

Da DI QUESTA CITTÀ dieci storie on off (Qudulibri 2022)

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4. LE PAROLE SCELTE

Gorizia non finisce mai, si inciampa, va a sbattere contro i muri, il silenzio che produce fa il suo giro, anche dentro il cortile della mia infanzia, nel dialetto in cui sto. Conosco bene Ilaria Kustrin, con le sue mani e le sue dita è capace solo di farsi il segno della croce e pulire il piatto quando ha finito la jota. Adesso è qui con me, a lei posso dire che ad amarti sono capace solo se ti dico “te voio ben”, e che aver ‘sbigula’ è sempre un qualcosa in più di avere ‘paura’. Lei mi guarda e sa che faccio fatica a tenere assieme tutti i piccoli pezzi che io sono; forse è per questo che oggi per me la parola più bella del mondo è ‘molletta’, ma solo come la dico quando la pronuncio in dialetto, ‘s’cipauca’. Ancora caldo su ogni promessa fatta negli anni che sono oramai decenni, lo sperma di questa città rimane in attesa, dice “questo non è sognare, questo è dormire”. La misura giusta di ogni veleno dove si nasconde? Intanto, in ciò che si spreca si cela la verità di ogni confine. È per questo che esiste la frontiera; di una apertura, di uno scoiattolo nero, di un tempo incriminato, di me che ancora ricordo i gamberetti di fiume nell’acqua fresca della Piumizza. Che già lo sappiamo, lo sbrego è sempre più profondo di un taglio, e sa fare più male; in scarsela stanno molte più caramelle che in una tasca, ghiribiz è lo scarabocchio quando vuole stare da solo in via Malta, e che il miglior rifugio è sempre lo strombolotto della prima sciocchezza. E sì, provo a tenere assieme tutti i piccoli pezzi che io sono con la colla di ogni sbaglio che ho inventato, in ogni bocca. Che poi non serve moltiplicare il pane e i pesci, basta dividere la brovada del dubbio, di ogni amore.

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9. PRIMO FRANCOBOLLO

Di questa promessa di neve è rimasta solo una manciata di sale grosso sui marciapiedi, un turbinio di vento che non si stanca e tu che mi dici “Giovanni, cedi a questa luce che adesso si apre ad ogni sguardo buono, e non finisce in piazza Vittoria”, lo so. Gorizia è il silenzio che non si vuole più, quello in cui ci si inciampa, anche questo lo so. Il tunnel di galleria Bombi è dove il vento si mostra più fragile. Ma a chi lo dico? A Lucia? A te? Con un bicchiere di vino bianco, il bavero alzato, gli occhi azzurri che fanno il girotondo, Marco Stacul mi racconta “Stai attento, le persone sono come le nuvole, non ne ho mai vista una avere la forma di una tartaruga felice”. Ma io spedisco una cartolina, la indirizzo ad ognuno di voi, ci scrivo sopra che la nascita e la morte hanno lo stesso indirizzo; intanto la porta è chiusa e non riesco a guardare dentro dalle finestre, come ogni volta che ho voluto vedere se nel cuore c’è un pavone. Non trovo mai la geografia giusta di una promessa, la luce che mi piace è capace di farsi un nodo alla gola pur di non dovere dire “vieni qui, stammi vicino”. Se mi muovo più in là delle case di San Rocco trovo il silenzio che vuole asciugarsi assieme alle lenzuola stese sul filo. È come trovare il vento giusto quando soffio dentro ogni confine che si perde in una briciola, di pane e di paura. A Lucia le ho dato la mano e lei era contenta. Me lo ricorda ogni volta che la vedo. Sì, io sto attento a non farmi male, ma così perdo ogni nuvola nel mio cielo che non vuole più stringersi. Chiedo a Marco Stacul un francobollo, mi è rimasta la saliva che non serve più ad alcun bacio, aggiungo due righe due, “l’amore si scioglie, non la neve”.

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Dalla postfazione di Patrizia Dughero: Gorizia ON

Pubblicare un testo sulla città che nel ’25 diverrà, insieme alla sua metà Nova Gorica, Capitale europea della cultura, cogliendo il più bel fiore del panorama, potrebbe sembrare un atto opportunistico da parte di un editore vigile. Ma quando tu, lettore attento, dopo aver visto che le guide pubblicate sulla città non son poi tante e ti renderai conto da solo della sua grazia, quella che muove ad esempio tanti e bravissimi fotografi ad accamparsi tra le guglie del castello o a salire al Sabotino per afferrare certe lune speciali nelle notti cupe, o i raggi filtrati nel foliage che non ha eguali se non in pieno Carso appena un po’ più in là, capirai allora, caro lettore, che non c’è libro guida, o da flaneur, che possa scriversi su questa città stupefacente. [...]  Scrivere della città dunque è un atto che oltrepassa quello poietico, è sguardo che si fa parola e anche polis, precipita nella comunità e crea lo sconcerto. Che lo si voglia o no sono usciti dal cassetto volti e strade, i quartieri si sono ambientati nel mondo, di colpo è ritmo che brucia e incede, “E ora cosa rimane di un cuore quando è solo cucito alla pelle della memoria?” E bisogna percorrerla di sera o nel buio col chiarore lunare dei suoi lampioni fiochi, allora ti racconterà i fatti del giorno che depositati nella notte diventano volti. Così trapela la memoria con la M maiuscola, dai volti delle persone col guizzo negli occhi, difficile da catturare, e il Mediterraneo dentro, ché con un passo sei già nei Balcani. Scrivere di Gorizia è poiesis a prescindere ma quando le parole incontrano certe immagini, non sapremo mai se la traccia s’è fatta scrittura o il verso s’è allungato nel racconto penetrando l’immagine, narrando le linee colme di colore.[...]

Dalla postfazione di Simone Cuva: Gorizia OFF

Questo libro, anzi questa opera d’arte, nasce dall’intuizione di due compagni di viaggio, Eleonora Sartori e Andrea Picco, animatori e agitatori culturali della città. Si affaccia, quindi, nel panorama letterario e artistico goriziano, come un nuovo combo di parole e arte visiva, di sensibilità e maestria dello scrivere e del disegnare, non necessariamente in quest’ordine. E non timidamente, come tradizione vorrebbe, ma in maniera dirompente. [...]

(A cura di Silvia Rosa)