“Casa-scuola, giovanotti!” tuonava il Preside del patrio Liceo, e ne tremava il vasto Olimpo

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ERNESTO BILLÒ

Soprannomi. - Poiché era prassi che ogni preside avesse il suo bravo soprannome, Emilia Cordero di Montezemolo, austera docente di filosofia e storia al Liceo, poi preside al Magistrale, fu e resta negli annali e nei ricordi come “La Cioss”,  Chioccia per antonomasia. Alle sue lezioni rigorosamente interdisciplinari gli allievi se ne stavano infatti timidi come pulcini, col becco proteso a piluccare briciole di sapienza dalla sua voce chioccia infiorettata di nobili “r” arrotate. Neppure quando si sentivano chiedere perentoriamente “Mi parli di Ludovico il Bavaro” osavano azzardare un pio pio; e quasi altrettanto accadeva, per rispetto e timor reverenziale, agli insegnanti da lei convocati in presidenza. Nel fare lezione, come nello stendere saggi e libri dotti e scrupolosi, la Cioss rifuggiva dalla mera erudizione e – nel solco di una cultura non scontata a quel tempo –  tendeva a identificare crocianamente storia e filosofia. Non esitava a schierarsi controcorrente ubbidendo a una sensibilità sociale ed umana di chiara ascendenza mazziniana.

Quel conoscitor de le peccata… - Anche al cospetto del preside Onorato Rossi i nostri sguardi si facevano confusi e incerti, vuoi per il timoroso rispetto dovuto a quattromill’anni di cultura classica ed ai suoi gelosi epigoni e custodi, vuoi perché un po’ di cattiva coscienza stagnava in fondo a un liceale d’allora per quanto ancora ignaro di sussulti sessantotteschi molto di là da venire. Era colpa della sigaretta fumata nei gabinetti, del  bigliettino spedito alla compagna collegiale nel galeotto vocabolario di greco, o colpa dell’ interrogazione snobbata il mercoledì delle Ceneri, dell’articoletto birichino sull’ “Asino Rampante” o sul “Raglio”, antesignani del focoso “Brontolo” uscito poi negli anni della contestazione?  
“Giovanotti!” tuonava il Preside piombando con passo felpato alle spalle di un gruppetto nell’istante preciso in cui balugginava un proposito di marachella: “Giovanotti!”, e ne tremava il vasto Olimpo. Più spesso però la sua comparsa era annunciata da energici raschiamenti di gola accentuati dalla polvere dei secoli. Quel sordo romorio amplificato dalle volte dell’antico convento “ne andava per le terre e l’Oceàno” e rimbombava come le trombe del Giudizio; ma intanto giungeva per tempo ad evitare chissà quali fulmini. ”Attenzione, c’è lui!”; e lo indicavamo col nome di un inquietante uccello notturno sacro alla civiltà egizia e greca: ben inteso senza ombra d’irriverenza, semmai di sacro timore. “Buon giorno, signor preside!” farfugliavamo angelici con le mani in mano. Ma quel conoscitor de le peccata non perdeva l’occasione per ricordarci un’aurea massima già allora troppo disattesa: “Casa-scuola, scuola-casa, giovanotti!”. Poscia proseguiva per il Sancta Sanctorum della presidenza seguìto dal fedele segretario Bassino: non prima però d’aver passato in rassegna il corpo dei bidelli schierato al completo.  E dal silenzio remoto del suo bunker, al Preside non sfuggiva una virgola delle confuse e contraddittorie circolari  ministeriali e delle nostre non meno confuse prove trimestrali.

Una serra del sapere - Dopo il suono della campanella, ogni aula del Liceo Ginnasio era come una serra dove maturavano cervelli e cognizioni. E se un bidello veniva a prelevarti in classe e ti scortava in presidenza, il ligneo pavimento scricchiolava come per sinistri presagi. Oltrepassavi la biblioteca inattingibile nella sua preziosità con tutti quei tomi sotto vuoto spinto, e t’affacciavi sulla soglia con l’animo in tumulto. Padre Dante scolpito in legno ti fulminava con un sol sguardo; l’erudito Grassi di Santa Cristina ti scrutava sornione dalla tela; l’abate Giambattista Beccaria, eroe eponimo, sembrava scrollare il capo. Solo il Manzoni dipinto dal Vinaj manteneva un’ aria comprensiva. E la lettera autografa del prof. Giosuè Carducci, piombato qui nel 1879 in veste d’austero Regio Ispettore, richiamava ad una tradizione di serietà mai trasgredita e riflessa nelle spesse lenti del preside Rossi che ti scrutavano inesorabili. In quei barbagli abbacinanti folgorava l’antiquo prestigio dell’Atene del Piemonte, e massime quello del Classico Liceo. Allora, pur nel tuo abisso d’irresposabilità, ti sentivi invaso da una consapevolezza nuova della insostituibilità della cultura. Erto sull’attenti dinanzi a quel tavolo e con la tremarella nelle ginocchia, avvertivi albeggiare in te una fierezza d’esser liceale che si mescolava all’ineffabile certezza che, dinanzi a quel tavolo, sostassero d’ora in ora anche i tuoi stessi insegnanti, sull’attenti e tremanti al par di te.

… e diceva sospirando – Il professor Rossi proveniva da Fossano, eterna rivale di Mondovì; ma per essersi accasato con un’ Alda Manfredi poliglotta eppure monregalese ab aeterno, egli si era calato a tal punto nella situazione da farsi partigiano e campanilista come e più d’un nativo dei luoghi. A sostegno del suo Liceo non demordeva, pronto magari ad ergersi in super-provveditore, a trascendere in ire funeste, a tempestar di telegrammi e istanze gli organi superiori. A costo di mettere insieme docenti di sì spiccata personalità (come Michelangelo Giusta e Francesco Sicardi) da farne una miscela esplosiva. “Veda – diceva allora – veda…” sospirava, e si premeva le tempie per un mal di capo che portava con sé dalla campagna di Russia e lo riassaliva a tradimento insieme a ricordi non meno lancinanti: di quando i suoi soldati gli si stringevano attorno nel ghiaccio e nella tormenta e gli dicevano “O col tenente Rossi salvi in Patria, o col tenente Rossi all’inferno”. Quel dolore, quel gesto si erano fatti più frequenti da quando il latino  e l’analisi logica erano stati messi in secondo piano dalla riforma della Media Unica: un sacrilegio che comprometteva luminose certezze, che minava una gloriosa tradizione. A così inconsulte imposizioni il preside finì tuttavia per reagire con una tolleranza inedita e impensata che sapeva d’accusa e non di cedimento; ma intanto il mal di capo e gli  acciacchi crebbero, divennero un tormento.  Anche dal letto del propinquo nosocomio si sforzò di tenere in pugno la situazione, e il suo vice, il mite prof. Ezio Petrolini, dovette più che mai prenderla con filosofia e impegnarsi in una spola continua, salvo poi scontare pure lui quelle corse affannose. Infine il Preside per antonomasia dovette cedere il bastone del comando prima del tempo a ciò decretato.                                                                                                       

 (da ERNESTO BILLÒ, Un’idea di Mondovì –  Sguardi e ricordi prima che tutto cambi… forse in meglio”. Ed. CEM, Mondovì, 2022)