La poesia colta di Stefano Vitale

copertina Vitale

GIANCARLO BARONI

Leggendo l’ultima raccolta di Stefano Vitale Si resta sempre altrove capiamo quanto i poeti siano immersi nel mondo dei versi che li circondano e che si estendono dal presente al passato proiettandosi verso il futuro. Ogni poeta è solo quando si confronta con la propria ispirazione, con la pagina bianca, eppure costantemente dialoga, in modo più o meno consapevole, con un gruppo di altri autori, scomparsi oppure viventi, che gli offrono stimoli, suggerimenti, esempi, esperienze.

La poesia di Stefano Vitale si presenta come una poesia colta che non esibisce il proprio sapere; le numerose citazioni non sono uno sfoggio di erudizione ma un aprire la porta del libro a scrittori ammirati che portano in dono versi significativi. La presenza di questi invitati (per esempio Thomas Stearns Eliot, Fernando Pessoa, Paul Celan, Vittorio Sereni, Giorgio Caproni, Silvia Bre, Antonella Anedda, Pierluigi Cappello, Cees Nooteboom, Wislawa Szymborska, Mark Strand), non risulta ingombrante ma cordiale e amichevole.

«Le poesie di questa raccolta», precisa l’autore, «sono state scritte e riviste tra il 2016 e il 2021. Alcune di esse però risalgono ad anni più lontani: talvolta la poesia rimane a lungo in silenzio prima di trovare una voce ed un posto, come può, nel mondo».  I versi possiedono una energia creativa che travalica il tempo, seguono un orologio proprio che coincide solo parzialmente con la data della loro pubblicazione. Vitale, in una “Nota”, chiarisce che “Il tema del libro è il passaggio, il transitare da uno stato all’altro, da una condizione all’altra, magari anche solo da una percezione all’altra della luce o di una voce». Nella “Postfazione” Alfredo Rienzi conferma che in questa raccolta si «prosegue l’insistita esplorazione del mondo e del proprio esserci, del divenire in esso e del nominarlo». Particolarmente intensa ed efficace questa strofa: «La natura non sta ferma / sempre muta si trasforma / ombra che si disfa in altra ombra, / luce che s’innerva in nuova luce».

Il tempo è il convitato di pietra che incombe nelle pagine del libro e che ci rammenta con la sua sola presenza la transitorietà e la precarietà della nostra esistenza, l’ineluttabilità dell’approdo finale. Al suo scorrere inesorabile opponiamo le arti i momentanei antidoti della vita quotidiana: «Miracolo della vita / è la percezione di sé / di colpo riflesso / nella vetrina d’un bar la mattina / perché ti sei visto e sentito / a te stesso sorpreso / nell’istante presente ora svanito / oltre il flusso arrogante del tempo / anche se, lo sai bene, / non servirà a niente». Alessandro Fo nella “Prefazione” scrive, riferendosi soprattutto all’ultimo paragrafo della raccolta intitolato “Piccolo Requiem” e dedicato alla figura del padre: «Sono pagine amare e coinvolgenti che però non scaturiscono unicamente dalla drammatica, fatale occasione, ma da un più profondo osservare l’esistenza in tutta la sua complessa dialettica fra esistere e scomparire, essere qui e contemporaneamente già un po’ “altrove”». La consapevolezza sofferta dello svanire di chi abbiamo amato, l’impossibilità di trovare una ragione e di accettare il loro addio e la loro scomparsa, non toglie fiducia e slancio ai versi di Stefano Vitale.

La nostra vita è cammino, transito, passaggio, sta in bilico su una labile soglia fra luce e buio e «sul confine del niente», è destinata a divenire un misterioso altro di un segreto altrove; siamo «soli, a riannodare un flebile respiro / con le vite degli altri», assomigliamo a «talpe pazienti / nel buio a scavare travasi di luce». Come piccoli Sisifo tenaci e laboriosi: «Ogni giorno tocca fare / un po’ d’ordine nel mondo // lavare pentole e stoviglie / sciacquare poi asciugare il lavandino / coltivare il senso del decoro // disfare letti, case, amori / e daccapo di nuovo sistemare / per non lasciare tracce di noi // come fossimo passati lì per caso / pioggia svaporata dopo il temporale / piccola fatica universale».

Il poeta e la poesia non si arrendono e continuano a cercare nelle parole il senso nascosto delle cose, a interrogarle ostinatamente, a individuare delle tracce, a disegnare il mondo, a provare “stati di grazia”: «Eppure son certo / che nel riflesso improvviso del sole / sul lucido dorso del mare / ci ricorderemo d’essere stati / un istante felici».

Stefano Vitale, Si resta sempre altrove, Prefazione di Alessandro Fo e Postfazione di Alfredo Rienzi, puntoacapo editrice 2022

Travasi di luce

Soli, nella morte plurale
si resta sempre soli
tra alti muri d’ascisse e percentuali
scompaiono le storie singolari.

Soli, a riannodare un flebile respiro
con le vite degli altri
dove cresce il bianco del silenzio
e si spezza la certezza del viaggio.

Soli, nel gioco feroce dell’amore
tra temporali di vita felice
e gusci di noce abbandonati
sulle spiagge di lacrime e sassi.

Soli, semi di girasole, anima d’acero
di parole disperse senza colore
o forse soltanto talpe pazienti
nel buio a scavare travasi di luce.

*****

Segar via i rami secchi
d’una benjamina morente
è gesto necessario
un dolore innocente
sul finire del giorno.

Ma dall’estrema ferita
scorre un lattice scuro
che trattiene la mano
col suo morso colloso
la corteccia si sfalda:

è la vita che urla.

Stefano Vitale

Ha pubblicato diverse raccolte di poesia sin dal 2003. Nel 2015 ha curato (con Maria Antonietta Maccioccu) la raccolta “Mal’amore no” edito da “Se Non Ora Quando – Edizioni”. Blog.  Nel 2017 ha pubblicato La saggezza degli ubriachi, (La Vita felice, 2017), nel 2019 “Incerto confine” (Paola Gribaudo Editore, sempre con illustrazioni di Albertina Bollati). Nel 2022 pubblica la raccolta di “Si resta sempre altrove” (puntoacapo Editore). Le sue poesia hanno ottenuto numerosi premi e sono tradotte in inglese, tedesco e spagnolo. Giornalista pubblicista, cura su www.ilgiornalaccio.net le rubriche critiche dei libri di letteratura e poesia e di saggi musicali.