“La memoria dei senza nome” di Luca Ariano

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GIANCARLO BARONI

La recente raccolta di Luca Ariano, La memoria dei senza nome, è, ricorda Luigi Cannillo nella illuminante “Intervista” che chiude il volume, “il terzo atto di una trilogia iniziata con Ero altrove (2015) e proseguita con Contratto a termine (2018)”; Cannillo parla a questo proposito di “romanzo in versi”.

Alla domanda quali siano gli autori preferiti e che maggiormente lo hanno influenzato e ispirato, Ariano (che è un vorace lettore non solo di poesia) risponde nominando, fra gli altri, Pagliarani, Raboni, Sinisgalli, Fortini, Pier Luigi Bacchini, Attilio Bertolucci… Il nome di quest’ultimo viene fatto anche da Alberto Bertoni nella “Prefazione”. Cannillo descrive il linguaggio di Ariano come “un impasto di narrazione e discorso diretto, con l’uso di un lessico contemporaneo accanto a folate descrittive più liriche”; a sua volta Bertoni, parla di una poesia comprensibile, “autenticamente polifonica e dialogica” e di un autore “qui giunto a piena maturità”.

Numerosi sono gli scrittori, poeti, pittori, cantautori che, grazie alle loro parole autorevoli, vengono convocati da Ariano per accompagnarlo e sostenerlo nel suo viaggio poetico: Canetti, Isac Asimov, Pavese, Primo Levi, Camillo Sbarbaro, Gramsci, Pier Luigi Bacchini, Bruce Springsteen, Guccini, Walter Benjamin…È quest’ultimo a offrire ad Ariano il titolo del libro e l’epigrafe iniziale: “È più difficile onorare la memoria dei senza nome che non quella degli uomini famosi”.

Una frase particolarmente significativa, presente nel libro, mi sembra questa del pittore Goliardo Padova: “Dipingere per me è un atto di vita, un trovare una ragione ai miei giorni”. La poesia di Luca Ariano è percorsa, scossa, animata, ravvivata dalla vita e dalle esistenze, dalla grande e piccola storia.  La storia è fatta di persone (allo stesso tempo simboliche e reali), di avvenimenti e vicende, di dimensioni temporali intrecciate e concatenate fra loro. “Il Tempo”, scrive Cannillo, “sembra essere il riferimento centrale nella tua opera. Non solo nella successione cronologica degli eventi, ma considerando anche gli intrecci tra memorie individuali e collettive, e l’uso dei tempi verbali che si alternano”.

Il passato sembra riaffiorare nei ricordi come illusione residuale, sogno a occhi aperti, rimpianto, fantasma (“Un rudere quel casale / tra i campi…”). Il presente mostra un volto preoccupante: mulini “che non macinano più”, relitti e scarti industriali, delocalizzazioni (“Cosa rimasto del quartiere operaio?”), lavori precari, centri commerciali al posto di fabbriche, fredde e insoddisfacenti relazioni virtuali (“Non chattare, non scrivere messaggi /  ma lasciami il tuo sapore”), cambiamenti climatici che rapidamente e pericolosamente accentuano la loro aggressività e forza distruttiva (“anche d’autunno bruciano alberi”, “Domani un tornado di pianura / scoperchierà tetti…”). Il presente rischia di provocare delusione, disillusione, disincanto, scettiscismo (“ora sei qui senza credere in nulla”); le cose che ci circondano sembrano perdere vitalità e consistenza, mostrano la loro friabilità e fragilità: “Ti si sgretolano foglie secche / tra le mani, il vento le trascina / nel tuo cestino: cosa rimane?”.

Alla domanda di Cannillo se le mutazioni in atto sollecitano “più aspettative o timori” Ariano risponde di non essere “a priori contro la tecnologia, ma temo molto la rivoluzione robotica perché non vorrei fosse l’ennesima scusa per svilire il lavoro, rendere la presenza dell’uomo superflua, ma soprattutto cancellare gli affetti, i legami sociali e tutti i rapporti umani che abbiamo coltivato”.  Il futuro pare dominato da una disumanizzante ipertecnologia in una terra complessivamente inaridita e desolata (“Cosa resterà dei vigneti? / Forse solo fossili…”). I pericoli? Robot che tentano di sostituire gli umani (“Ma davvero quei robot / cureranno vecchi e bambini?”), conformismo culturale e appiattimento creativo (“Nella pinacoteca solo visite virtuali / e un robot ti dirà cosa dovrai sapere”), avatar, algoritmi, automi, droni, catastrofi, “onde di plastica spiaggeranno / su terre ormai incolte”, “verranno temporali a cancellare / coste, deviare letti, sradicare alberi: / cosa rimarrà della tua terra?). Ariano paventa scenari quasi apocalittici: “Rimarranno solo ceneri / e odori dispersi… / terre che nessuno coltiverà, / acque che nessuno berrà. / Fabbriche consegnate alla storia / da stampanti tridimensionali. / Dove operai nelle piazze? / Forse guerre tra androidi / e nessuno scaverà cercando resti / di accampamenti, truppe di Annibale”).

Cosa opporre a tali non impossibili disastri? Consapevolezza: certo, creatività: sicuramente, impegno: senza dubbio; ma in questo libro Ariano si affida forse più che in precedenza alla forza impetuosa e salvifica di “infinite carezze” e di “…lunghi baci / mentre batte la pioggia sulle imposte”, ad avvolgenti abbracci, corpi avvinghiati, “carni intrecciate nella passione”, alla pulsione vitale dell’eros e dell’amore.

Luca Ariano, La memoria dei senza nome, Il Leggio Libreria Editrice 2021