… che la semplicità (ispirata dalle foto di Rinuccia Marabotto)

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EVA MAIO

Guardo le foto di chi ama fotografare. E lo sa fare.
Le guardo da analfabeta di tutto quello che vuol dire fotografare.
Guardo quelle di fotografi famosi.
Quelle di amiche e amici.
Poi ne guardo alcune che mi chiamano a guardarle e riguardarle.
Dire che le riguardo non basta. Mi chiamano ed io rispondo loro.
Con quelle di Rinuccia Marabotto intrattengo sovente un dialogo.
Quel parlare di fronte ai suoi scatti non ha nulla a che vedere con la mia competenza circa quest’arte.
È una sorta d’infantile stupore che mi prende.

Che la semplicità
è raggiungibile
diventa eleganza
in anni e anni di scatti
poi in uno solo
proprio quello
e ti illumina.
Ti conforta
ti quieta col mondo
che è com’è
e ti ripiglia un desiderio
lieve di dialogo
con le piccole cose
o col largo attorno.

Che la semplicità
è eterea sostanza
stampata su foglio
e tu ignara
di quale grana
magica sia fatta
sei mossa
i tessuti del cuore
e i sottotessuti d’anima
di pelle si inchinano
a una messa a fuoco
a un punto di fuga
a ciò che è netto
soffuso in ombra o in luce.

Ti afferra una brezza
striata di letizia
a guardare
un albero nudo
e dietro un colle
e basta
o la frattura tremula
tra fronde e cielo.
Che la semplicità
è coraggio
di erbe evanescenti
di antiche spighe
in dettagli di ombre
diverse pazienti.

Che la semplicità
è una striscia di mare
in bianco e nero
è un epico gelso
tutto dedito
a generare oro
nelle foglie
e attorno
è l’esile tenace
rampicarsi di fugaci
ultime viti rosse
è la pioggia d’ottobre
è quel muro scrostato
è una pervinca qui ora.
Niente ingombri
solo calda nettezza
confini chiari
o sfumate intersezioni
di piani in cortecce e respiri
di boschi e nebbie
e voli di campi arati
e profumi di neve
appena caduta
e flussi di vita
che scorre solenne
in ordinari prati
in una foglia pendula
da quel ramo.

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