Il menù del giorno dopo e altri inediti

Milius, L'ora di ginnastica

Milius, L’ora di ginnastica

CANIO MANCUSO

Nitidezza

Non il volto e neanche l’acconciatura,
lo sai le foto conservano
solo le frasi negli spazi bianchi:
Non sono, sono stato,
solo due frasi e forse il dettaglio:
gli zigomi che bruciano,
le scintille dei tacchi
sulla pista da ballo
- chi sbagliava le note?
chi ha buttato le scarpe? -
le frasi, le linee dei nomi
che disegnano il tuo volto
raschiato dall’immagine,
tu disperso nel click
scivolato dal bordo
di una frase o di un nome.

Aprile 2017, per D. e I.

***

Al buio

La preghiera annotata sul quaderno
è il poco che chiede: incontrare
un uomo – un conguaglio del karma
solo questo. Non troppo alto
- dieci centimetri più di suo padre -
che non gli piacciano le donne che miagolano
le basta che possieda lo stretto superfluo
e pronunci bene le vocali aperte.
Un uomo si sporge dalle parole
vorrebbe entrare nella sua stanza
magari lasciarle una rosa sul letto
ma il miagolio notturno delle donne
e quella suola per sembrare più alto
e la sua pronuncia difettosa
e tutti i pranzi che gli regalano
perché ha le ciglia di una ragazza
è solo questo che lo trattiene
dal presentarsi all’appuntamento
camminarle accanto senza parlare -
giura mentre attraversa la strada
con i pensieri che lo portano altrove
che non è lui, che passava per caso.

***

Explicit

Nessuna mancanza è stata uno
sbaglio, non c’è stato un peccato
(non dico opere, certo omissioni)
che ti sembrasse un graffio sulla tela
o un errore nel disegno. Tutto quello
che dimentichi ti accoglie, è l’indizio
di un giorno incarnato in un volto – forse
puoi riconoscerli i tuoi figli non nati, i baci
sulla punta di un’intenzione, l’avvenire
che intaschi solo quando lo immagini
mentre il resto vorrebbe solo esistere.
Tutto giusto, tutto dentro il solco, anche
ciò che non germoglia e non sente di
esplodere a un passo dagli occhi.

***

Attraversare

Basta seguire la linea del taglio
della ferita su cui camminiamo
questo dicevi mostrandomi i denti
e seguendo la linea scivolavi.
Facundo Filiano

Qui dove nessun segnale può
sfuggirti – mentre passeggiamo
cerco versi facili da intagliare -
non rovinare il legno mi rispondi
quello che scrivi cade dalle mani -
e se una sera tu non fossi caduta
in un’ammaccatura dell’asfalto
e se altre volte non fossi inciampata
nell’ombra di una pozza, in una foglia
camminando sui tacchi o a piedi nudi -
sarebbe stato solo camminare
quel tuo avanzare per lapsus
a zigzag come procede il filo
di sutura – la tua fiducia piena di
parole nelle destinazioni provvisorie -
quel tuo spezzare frasi come rami
restando in equilibrio nell’attesa
che qualcuno possa credere ai tuoi
passi inciampo dopo inciampo
il lampo di un’idea, una partenza
lasciarti andare avanti per trovarti
all’incrocio di arrivi senza approdi
mentre segni un indirizzo sulla mappa.

***
Il menu del giorno dopo

Sarebbe stato facile il baratto:
la tua pubertà appassita
in cambio di un aroma che
dalla cucina resiste alla
prima mano di bianco.
Il pranzo è finito da pochi anni –
il tango di chi passa nell’altra stanza
dopo il dolce è più leggero di un
capello che cade tra le briciole
pietrificate sulla tovaglia
ma tu se vuoi puoi restare in attesa:
il coniglio ripieno non è pronto
perché non hai il coraggio di
ucciderlo, e non è un rimpianto
docile la smania di allontanarti
per non farti trovare dal mattino:
ti siedi a tavola con il sospetto
che i giorni rimasti sulla strada
li hai immaginati perché in sala
da pranzo tu non c’eri – gli altri
spariti inseguendo il coniglio.

***

Anniversario

Tutto il provvisorio
messo tra parentesi
- il resto del rancore
insieme alla tenerezza -
osserva il marito
che si fa la barba
passando il rasoio
piano sullo specchio
per non farsi male.
Aggiorna il promemoria:
proteggere gli uomini
e i cani dalla fame
avvolgere in una benda
il taglio nel costato
tenere lontana
dal suo davanzale
la stagione che cambia
nel gelo di marzo.
Sente nelle narici
il fiato di chi le dorme
accanto l’ultima notte.
Dal covo in cui resiste
il fuoco e non si spegne
neanche al soffio del phon
sui bigodini, sente
il marito che esercita
il mestiere di uomo
il prepuzio che si apre
dentro le sue cosce.
Nel luogo in cui si ostina
la bugia dell’essere
si arrende un’altra volta
alle carezze vuote
ascolta le parole
scritte con le dita
lo scrocchio del sale
sotto la pantofola.