Palermo: stratificazioni, contrasti, esagerazioni

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SILVIA PIO (a cura)

La visita a Palermo è una di quelle esperienze di viaggio nello spazio-tempo con una intensità tale da riverberare per giorni anche una volta tornati a casa. Uno spazio che comprende una fitta molteplicità di edifici, culture, colori e cibi, e un tempo che racchiude quasi tre millenni di storia.

Un porto naturale nella zona nordoccidentale della Sicilia non poteva non attrarre i navigatori del Mediterraneo fino dall’antichità; i commercianti Fenici fondano una città (VIII secolo aC), che diventa in seguito importante alleata di Cartagine. I Greci le danno il suo nome attuale: Panormos (dal Greco παν-όρμος, tutto-porto) e i Romani lo cambiano solo leggermente in Panormus quando inglobano la Sicilia nel loro regno (III secolo aC).
Decadenza dell’impero romano e invasioni barbariche: la Sicilia e Palermo entrano a far parte dell’impero bizantino orientale fino a quando (IX secolo dC) gli Arabi ne fanno la capitale del loro regno nell’isola. Nel X secolo i Normanni lanciano una riconquista.

Questi ‘passaggi di proprietà’ si vedono chiaramente nelle stratificazioni delle mura sotto il Palazzo dei Normanni. Inoltre la miscela di cultura e architettura arabe e normanne hanno creato uno stile unico che ci aiuta a immaginare come si sia formata l’intensa attività culturale, linguistica e poetica di quella che Dante definisce Scuola Siciliana.
A quei tempi convivevano in discreta armonia normanni, ebrei, musulmani, latini, greci bizantini, provenzali, immigrati lombardi e siciliani autoctoni. La natura multietnica di Palermo si è conservata ed è chiaramente percepibile.

Palermo S Giovanni

Si sa, l’armonia è sempre durata poco nel corso della storia, e in Sicilia la dinastia degli Svevi si scontra col Papato e con alcuni Comuni italiani, la dinastia degli Angioini spreme il popolo tanto da farlo ribellare. E poi arrivano gli Aragonesi e il Regno di Sicilia entra a far parte dell’Impero spagnolo e ne acquisisce l’intolleranza religiosa. Gli Aragonesi sono imparentati con gli Asburgo austriaci, quindi ci sono anche loro e poi i Borboni. In questo susseguirsi di dinastie arriviamo a Palermo come capitale del Regno delle Due Sicilie e ai moti rivoluzionari del 1848, che preparano alla Spedizione dei Mille: la Sicilia sceglie l’annessione all’Italia savoiarda, non senza proteste.
Palermo lapide
Mi piace raccontare un po’ di storia per individuare le ulteriori stratificazioni della città, che spesso sono in verticale: gli stucchi barocchi, per esempio, le lapidi inneggianti a Garibaldi e a Crispi sul Palazzo Pretorio, fino arrivare ai graffiti moderni. L’architettura di Palermo ti sovrasta, il Barocco ti circonda con edifici che ne segnano il trionfo, ma ad ogni angolo c’è un rudere, una maceria che somiglia a quelle lasciate dai bombardamenti della II Guerra Mondiale. E il contrasto ti confonde ancor di più della bellezza dei palazzi. La città vecchia è stata ristrutturata con l’arrivo dei turisti, il processo continua con piccoli cantieri, ma alcuni degli edifici in rovina non portano segno di ristrutturazione, anzi diventano ricettacolo di immondizia, compresi rifiuti ingombranti. Anche lo sporco si stratifica…

Palermo graffiti

Il contrasto è anche di colori e rumori. I mercati ti catturano: kasbah italiana con il tocco della multietnicità già citata, le friggitorie di strada ti chiamano, le teste di moro ti guardano dai negozi di artigianato e souvenir e le decorazioni delle maioliche ti agguantano anche su stoffe e altri materiali. Sei circondato e ti immergi in questa città.
Ma dopo un poco ti sembra tutto esagerato. Non tanto i mosaici della Cappella Palatina e l’ostentazione macabra del Convento dei Cappuccini: qui ti manca semplicemente il fiato e sei come folgorato. È la vegetazione tropicale, i boschi di fichi d’india, i cactus alti 10 metri. È il supplizio del traffico se devi uscire dal centro. Sono i fritti infiniti, i dolci parossistici (il dépliant de “I segreti del chiostro – antiche ricette delle monache” ne contiene circa 50 tipi), la milza cotta nello strutto, la brioche con mezzo chilo di gelato… ma forse qui esagero anch’io. Che dire del vino, la cui gradazione proprio non va d’accordo con la temperatura esterna?
Se riesci a consumare qualche pasto leggero e a riposare dalla movida che ti brulica sotto casa la notte, torni ad innamorarti della città, a desiderare ancora una chiesa contaminata da arabi-normanni-bizantini, un angolo gotico e neogotico. Ti ubriachi di Barocco siciliano e sei felice.

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Qualcosa ti ricorda che non hai ancora raccontato tutta la storia. Il murale di Falcone e Borsellino alla Cala ti riporta indietro a quei due omicidi di Mafia successi a breve distanza di tempo nel 1992: il memoriale di Capaci si vede sulla strada dall’aeroporto; in via D’Amelio è stato piantato un ulivo meta di pellegrinaggi tanto quanto il santuario di Santa Rosalia sul Monte Pellegrino. Poco lontano dall’arteria centrale, si trova una targa che ricorda il generale dalla Chiesa, ucciso anch’egli in questa città nel 1982. Sui gradini del Palazzo di Giustizia sono posti in rilievo i nomi e la data di morte dei magistrati falciati da Cosa Nostra. In via Vittorio ha sede il NO MAFIA MEMORIAL, un progetto del Centro Impastato, uno spazio di studio, riflessione, incontro. La passione civile di Palermo è nota, e Danilo Dolci operava poco lontano da qui.
Palermo Dalla Chiesa
Con i Palermitani parlo poco: chiacchiere ai bordi delle strade, nei negozi di souvenir, nelle friggitorie e nei bugigattoli della Vucceria che vendono di tutto. Chiacchiere allegre, quasi di circostanza: la bellezza e la sporcizia, la famiglia (senza doppi sensi), la voglia di godersi la vita. Ma di Palermo non si può non parlare con loro e con i tanti immigrati dal nord. “Una città dal potenziale quasi tutto inespresso… basterebbe davvero poco per renderla ancora più appetibile al turismo e più a dimensione umana per chi ci vive, invece, tristemente, affoga nell’incuria, nello sporco, nella noncuranza di persone che pur non volendo, sono costrette a girarsi dall’altra parte”. “A volte sembra una città persa, che viene affogata dai suoi stessi abitanti che non riescono a capire che con un piccolo sforzo vivremmo tutti meglio”.

Ad una fermata dell’autobus mi imbatto in un cartello vistoso sul quale si leggono le parole di un padre che chiede, per la figlia, “bambina che vive a Palermo”, un luogo migliore per crescere. Lo chiede sotto forma di lettera al Presidente della Repubblica, nato in questa città e qui testimone dell’assassinio del fratello da parte della Mafia nel 1980. Vale la pena riportarla per intero.

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LA LETTERA APERTA PER MATTARELLA

Caro Presidente,

sono il papà di una bimba ancora troppo ingenua per distinguere la differenza tra un diritto e un favore. Troppo innocente per capire cosa significhi avere mille bare in attesa di sepoltura e tutto sommato troppo piccola per soffrire i disagi di chi ogni giorno rimane intrappolato su strade puntellate da cantieri infiniti, buche e ponti pericolanti.

Una bambina che vive a Palermo e che alla fine chiede solo piccole cose come uno scivolo, un’altalena, uno spazio in cui girare in bici senza rischiare di farsi male, un luogo in cui non sia costretta a contendersi con il degrado che avanza inesorabilmente.

Sappiamo tutti che gli ultimi mesi sono stati drammatici. E chiedere una città pulita o un parco giochi, mentre il mondo affronta una crisi senza precedenti, può sembrare quasi offensivo, per non dire oltraggioso. Ma in questo clima di desolante rassegnazione, mi preoccupa pure il fatto che i nostri figli non riescano più a impressionarsi davanti alle discariche e ai sacchetti di rifiuti che accompagnano il tragitto a piedi da casa a scuola: non provano un briciolo di fastidio o disgusto, li scansano senza degnarli di uno sguardo o di un commento, come se ormai facessero parte dell’arredo urbano. Come se fosse normale.

Come se fosse normale…

Mi creda, questo non vuole essere il solito atto di accusa contro chi ha trasformato un luogo così bello, crocevia di culture e di cultura, nella cloaca d’Italia. Anzi, visto che ci siamo voglio essere il primo a sedersi sul banco degli imputati. Dopo tutto il sentimento di sconfitta e di rassegnazione che sta contaminando i nostri figli è un virus che parte da noi adulti e si diffonde attraverso le nostre (troppe) distrazioni.
Però un ultimo tentativo sento il dovere di farlo. Perché in un momento in cui ci troviamo ad affrontare battaglie epocali, la paura più grande è quella di avviare al mondo generazioni di cittadini senza coscienza critica. Incapaci di lottare e di cambiare le cose. E mi rivolgo a lei, caro Presiedente, che nonostante tutto, nonostante le ferite che ha rimediato negli anni, ha continuato ad amare questa città e a vivere a pochi passi dal luogo in cui le è stato inferto il dolore più grande.
Mi rivolgo a lei perché vorrei che usasse la sua autorevolezza per parlare al cuore dei palermitani. Per spiegare loro che esiste una via alternativa alla rassegnazione. Che anche Palermo può riassaporare almeno uno spicchio del suo antico splendore.
Parli a chi potrebbe cambiare le cose ma preferisce cambiare città. E parli anche a quelli che pur non potendo cambiare città, non sanno che volendo (e con poco) potrebbero cambiare le cose.
Insegni loro ad amare Palermo, a rivendicare spazi puliti e accoglienti e ad avere cura del bene comune. Spieghi a chi si ostina a sfregiare con i propri vizi strade, piazze e marciapiedi che un semplice gesto e tante piccole azioni quotidiane possono contribuire a ripulire l’aspetto e l’immagine di questa terra.
Si faccia portavoce di tutti quei genitori che alla fine vorrebbero semplicemente far vivere e crescere i figli in un luogo migliore, allontanandoli da una rassegnazione che non può maturare ad appena 4 anni. Ci dia la forza di cambiare le cose.
Per non continuare a inseguire il coraggio di cambiare città.

Palermo Vucciri

Ringrazio Martina e Matteo che mi hanno guidata nella Palermo che è ora la loro nuova casa, e Rose, che ha fatto della mia città la sua casa ma che si porta Palermo nel cuore. E concludo con le sue impressioni, che ha intitolato Palermomia:

“Da Monrealese, per me Palermo inizia in Corso Calatafimi: la Cuba, il primo dei sollazzi reali palermitani, e le Catacombe con la piccola dolce Rosalia, mia omonima.
Da lì, in genere, giungo a piedi alla Marina, percorrendo un itinerario usuale solo in apparenza, controllando di tanto in tanto la maiolica con l’aquila reale che si avvicina e fingendo di interessarmi alle vetrine, per poi rimanere a bocca aperta quando mi trovo ai piedi dei telamoni saraceni di Porta Nuova. Due giganti severi, minacciosi quasi, eppure per me accoglienti, che da piccola salutavo quando l’autobus sgangherato vi si infilava e io stavo in braccio alla zia che si occupava di me da giugno per una manciata di estati così lucenti da sembrare miracolose.
Ora mi piace arrivarci lentamente e gustarmi il loro sguardo, sapendo che mi apriranno la Strada (così, con la maiuscola, ‘a Strada) lucida e nera, verso la Cattedrale, i Quattro Canti, la Piazza Pretoria, il Palazzo del Comune, San Cataldo e la Martorana.
I vicoli intellettuali che portano alla focacceria e poi sempre più vicino, oltre Porta Felice, azzurro e blu a ritrovarsi e ritrovarmi.
Lungo le Mura delle Cattive (le captivae, le vedove prigioniere del lutto, che passeggiavano sul lungomare in un mondo parallelo) il sole è isolàno, totale. Rinasco, e ritorno. Palermo per me è l’aria azzurra che ti rimane addosso, è la fierezza colorata, sono io, Rosalia, che torno a casa.” (Rose Madonia)
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